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Questione di conti

Mancanza di riforme strutturali e peso della crisi sulle spalle del settore privato. Ora i dati sulle finanze pubbliche della Bulgaria sono sott’analisi da parte delle istituzioni europee. Pur insoddisfatti dei propri governanti, a differenza di greci e rumeni, i cittadini bulgari non scendono però in piazza

11/06/2010, Tanya Mangalakova - Sofia

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“I ricchi resteranno ricchi, mentre la classe media sarà la più colpita dalla crisi”. E’ questa l’opinione di Rosa, contabile di un’officina meccanica di Sofia, che dallo scorso dicembre si è vista ridurre lo stipendio e viene chiamata al lavoro solo per due settimane al mese. Nel tempo restante Roza potrebbe teoricamente trovare un’altra occupazione, ma le reali possibilità sono scarse, visto che il settore privato in Bulgaria è stato colpito duramente dalla crisi e molti datori di lavoro hanno licenziato numerosi dipendenti o, come nel suo caso, hanno ridotto le paghe.

Secondo Roza, se i proprietari dell’azienda in cui lavora avessero speso meno in lussi non necessari, oggi potrebbero evitare di risparmiare sugli stipendi dei dipendenti. La crisi economica in Bulgaria ha colpito molto di più il settore privato di quello pubblico: nel primo gli indicatori sono scesi significativamente, mentre il secondo sembra incapace di contenere le spese.

Secondo un’analisi di Macro Watch, progetto dell’Open Society Institute bulgaro, il settore pubblico non si sta caricando della propria responsabilità di adattarsi alla situazione di crisi, peso che ricade quasi interamente sulle spalle del mondo delle imprese. Secondo gli analisti, nonostante il governo Borisov abbia annunciato una politica di tagli alle spese, nei fatti queste sono aumentate e il deficit dello stato, conseguentemente, è cresciuto.

Le cifre dello studio mostrano che il budget per il 2010, annunciato come budget di austerità, lo è in realtà soltanto a parole, ma che le spese per l’anno corrente superano quelle di 2007 e 2008, anni precedenti allo scoppio della crisi. Nel primo trimestre 2010, in confronto allo stesso periodo del 2009, le spese sono aumentate del 17%, mentre rispetto al primo trimestre 2008 sono maggiori del 37%. CI sono effettivamente tagli in alcuni settori, ma questi sono compensati dall’aumento di spesa in altri.

Riduzione della riserva fiscale

Mentre l’economia, la produzione industriale e gli investimenti dall’estero segnano il passo, nei primi tre mesi del 2010 il deficit accumulato è di 1,7 miliardi di leva ( circa 900 milioni di euro). A maggio il governo ha deciso di ridurre la riserva fiscale da 6,3 a 4,8 miliardi di leva. Con i fondi sottratti alla riserva si tapperà il deficit della cassa sanitaria (220 milioni di leva-112 milioni di euro) e si pagheranno debiti dello stato nei confronti delle aziende per 660 milioni di leva (338 milioni di euro). Altri 148 milioni di leva (76 milioni di euro) saranno utilizzati per spese in campo sociale. Ulteriori spese verranno fatte per i sussidi ai produttori di tabacco e per il mantenimento della rete ferroviaria.

Molti analisti economici non hanno nascosto le proprie critiche alle decisioni dell’esecutivo, sostenendo che il governo non dovrebbe spendere più di quanto incassa. Tra questi gli economisti di punta dell’Istituto per l’economia di mercato – tra i principali centri di analisi economica in Bulgaria – che hanno rese pubbliche le proprie posizioni durante una conferenza stampa tenuta a fine maggio. “La spesa della riserva fiscale è una misura inaccettabile, che evidenzia l’incapacità del governo di amministrare le finanze pubbliche. E’ anche un segnale negativo nei confronti degli investitori stranieri”, ha dichiarato durante la conferenza Svetla Kostadinova, direttrice dell’istituto.

Gli economisti hanno suggerito all’esecutivo di tagliare le nuove spese programmate, come i sussidi ai produttori di tabacco e alle ferrovie, di ridurre del 30% il budget della difesa e di pagare i propri debiti nei confronti del settore privato invece di pensare a costosi elicotteri per i militari.

Nonostante la riduzione dei salari, e la riduzione conseguente della spesa delle famiglie, i bulgari per il momento non protestano. Chi governa si giustifica sempre più spesso con un semplice “non ci sono più soldi”, mentre la disoccupazione ha raggiunto il 9,7% (pari a circa 340mila persone), cifra che secondo la Camera di commercio bulgara è destinata con tutta probabilità a salire ancora.

Prospettive difficili

Il premier Boyko Borisov ha preannunciato che ci sarà ancora da stringere la cinghia. L’esecutivo targato GERB (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria) che è salito al governo con la promessa ambiziosa di affrontare la crisi e assicurare l’assorbimento dei fondi europei si trova ora di fronte alla difficile sfida portare avanti riforme reali nell’amministrazione pubblica, nel sistema sanitario e in quello pensionistico.

Il rischio, nel caso in cui il governo non riesca a limitare la spesa pubblica, è il possibile concretizzarsi di uno scenario economico pericoloso, con lo spettro della vicina Grecia a giocare il ruolo di vero e proprio spauracchio. La crisi di Atene, tra l’altro, continua a far sentire il suo effetto in Bulgaria. Secondo Iliyan Skarlatov, direttore dell’agenzia di analisi economiche KBC Securities Bulgaria, il paese è il più colpito nell’Ue dalla crisi in Grecia, anche perché il 28% del settore bancario bulgaro è nelle mani di istituti finanziari greci.

La Bulgaria ha anche rinunciato a candidarsi ad entrare nel meccanismo ERM2, anticamera dell’ingresso nella zona euro a causa del deficit al 3,7% (poi rivisto al 3,9%), superiore a quello necessario per iniziare il percorso di avvicinamento alla moneta unica. Tra l’altro c’è chi sottolinea che se la Bulgaria fosse già nella zona euro, oggi si troverebbe a dover pagare circa 400 milioni di euro in aiuti al vicino meridionale.

Nel dicembre 2009 il ministro delle Finanze Simeon Dyankov mostrò in conferenza stampa una pizza senza condimento come simbolo della finanziaria in approvazione per il 2010. Oggi sembra però che le misure anticrisi del governo non funzionino con efficacia, e mentre le riforme ancora aspettano di essere realizzate i bulgari temono che al posto della pizza, per quanto “leggera”, dovranno digiunare.

A differenza di quanto accade nelle vicine Romania e Grecia, i bulgari non sono scesi in piazza per contestare le misure adottate dal governo.

Molti bulgari vivono e lavorano in Grecia, e hanno un punto di vista diverso sulla crisi. Andrey, 40 anni circa, da quindici vive da emigrante per sostentare la propria famiglia, rimasta nella sua città natale, Kardzhali.

Al momento Andrey porta al pascolo pecore e capre nella Grecia settentrionale, nel villaggio di Yasmos, per 500 euro al mese. A Yasmos ci sono anche bulgari che lavorano nei campi di tabacco. Andrey parla con ammirazione del premier greco Papandreou, che ha intrapreso un lungo viaggio in Europa e negli Stati Uniti per cercare aiuti per il proprio paese.

“I greci non vivono male, sono furbi e adesso riceveranno miliardi di prestiti. Alla fine continueranno a vivere meglio di noi bulgari, perché hanno amministratori migliori dei nostri, che non fanno nulla e sanno solo aspettare”, ci dice deluso Andrey. “Per questo siamo noi ad emigrare in Grecia, e non credo che accadrà mai il contrario”.

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