Querele bavaglio, in arrivo uno scudo anti-SLAPP
OCCRP, la piattaforma transnazionale di giornalismo investigativo contro il crimine e la corruzione, ha ideato un sistema per prevenire le querele, impedire l’autocensura e difendere i giornalisti dalle querele bavaglio, un vero e proprio scudo a difesa dei reporter. Ce lo spiega Drew Sullivan, cofondatore di OCCRP
Prevenire le querele, impedire l’autocensura, schierarsi da subito in difesa dei giornalisti e del loro lavoro, e soprattutto evitare che accettino compromessi magari ammorbidendo i toni o tacendo informazioni di rilievo pubblico. Questi gli ambiziosi obiettivi di un progetto di consulenza e sostegno legali che sarà attivo tra qualche mese grazie all’idea di OCCRP , la piattaforma transnazionale di giornalismo investigativo contro il crimine e la corruzione. Drew Sullivan, cofondatore di OCCRP, ne spiega da Sarajevo i dettagli.
Ricevere una querela o una richiesta risarcimento danni fa parte dei rischi del mestiere per un giornalista, che si trova a maneggiare una materia altamente fragile e controversa come la reputazione dei soggetti di cui si occupa, si tratti di aziende, organismi politici o singoli. Ma contro questi rischi, come era emerso durante il simposio di Greenpeace che ha poi portato alla costituzione della rete CASE contro le SLAPP, pare non esista la possibilità concreta di stipulare un’assicurazione. È così in tutti i paesi?
Quando inizialmente abbiamo pensato a questo progetto, lo avevamo presentato come un’assicurazione: l’associato paga un premio e l’assicurazione gli garantisce copertura in caso di bisogno. Ma poi ci siamo resi conto che se avesse funzionato come le altre polizze – più incidenti fai, più aumenta la quota da versare – si sarebbe creato un effetto intimidatorio a carico di alcuni giornalisti particolarmente esposti. Quindi, pur continuando a usare il termine “assicurazione”, sappiamo che funzionerà diversamente. Nel nostro caso ad esempio, sarà ininfluente il numero di volte in cui l’assistito chiederà aiuto, si valuterà caso per caso e si cercherà di tutelare i giornalisti a prescindere dal numero di querele che ricevono, e dai costi che questo implica.
Attualmente, ovunque, ci sono milioni di dollari e di euro che vengono spesi per difendere i giornalisti in tribunale, durante i processi e dopo, in caso di condanne a pene pecuniarie. Ma questi investimenti non coprono tutti i rischi. Ecco perché abbiamo pensato a qualcosa di leggermente diverso: è un sistema di difesa dei media che cerca di agire anche preventivamente, cerchiamo di agire in anticipo.
La tempistica di intervento è un elemento fondamentale nel caso delle querele pretestuose alias SLAPP, lo conferma il fatto che il pacchetto proposto dalla Commissione UE invita il sistema giudiziario a riconoscerle subito, prima che si imbastisca un processo, e ad archiviare quei casi dove vi sia in gioco l’interesse pubblico. Quanto influiscono le tempistiche nel vostro progetto?
Fondamentale. Il nostro obiettivo è agire preventivamente, non solo prima che si arrivi ad un processo, ma anche prima che si arrivi ad una querela e a una causa. Il giornalista sa che sarà tutelato in caso di querela, e quindi non tenderà ad auto-censurarsi: ci saranno più storie pubblicate, meno giornalisti intimiditi, più partecipazione da parte del pubblico. E questo perché tra i servizi forniti ci sarà una consulenza legale sui contenuti delle inchieste: si farà una revisione prima della pubblicazione, contribuendo alla verifica dei fatti. In questo modo affronteremo anche eventuali problemi della testata con gli standard giornalistici, con la deontologia. Faremo in modo che una volta pubblicata la storia sia inattaccabile, e a farlo saranno gli stessi avvocati che poi si troverebbero a difenderla davanti a un giudice.
Sull’altro versante, resta la minaccia degli autori delle cause pretestuose, i politici che non accettano critiche, le aziende che vogliono agire indisturbate, i capetti a livello locale che mal sopportano le inchieste giornalistiche benché documentate. Come pensate di affrontare questi avversari?
Il terzo elemento di forza del nostro progetto è la componente di deterrenza: pensiamo che l’esistenza stessa di questo nostro scudo possa in qualche modo scoraggiare i potenti dal voler colpire i giornalisti investigativi. Al momento la situazione è sbilanciata, come Davide e Golia, perché gli oligarchi, i politici insofferenti alle critiche, i potenti, sanno di essere più forti, sanno che i giornalisti non hanno soldi. Se noi invece possiamo garantire i migliori avvocati, allora le cose cambieranno e non sarà così facile intimidire i reporter con una querela o una richiesta danni.
Aggiungo poi che la filosofia della nostra rete di giornalisti investigativi è sempre stata questa: quando ci querelano, non solo non ci fermiamo, ma ne scriviamo ancora di più. Continuiamo a fare le nostre inchieste con ancor più aggressività nei confronti di chi ci querela, l’idea è di non ritirarsi ma di affrontarli a testa alta. E questo secondo noi ci protegge ancora di più. Attualmente la nostra rete sta affrontando 41 cause, e sono tutte pretestuose, sono tutte cause bavaglio: siamo convinti che le vinceremo tutte, perché le nostre sono inchieste frutto di mesi e mesi di attenzione e verifica. Ma i tempi della giustizia sono un elemento di preoccupazione in tutti i paesi.
A proposito di paesi, come funzionerà lo scudo legale nei diversi sistemi giudiziari?
La nostra intenzione è di coprire tutto il mondo, tranne i posti dove non c’è proprio speranza di ottenere giustizia, come ad esempio Cina, Russia, Corea del Nord, e dove sarebbe solo una perdita di soldi. Nella maggior parte degli altri paesi lo scudo sarà in contatto con altre reti di supporto, con avvocati in loco; abbiamo già cominciato a raccogliere fondi, un finanziamento di 9 milioni di dollari è arrivato da donatori statunitensi, presto annunceremo il nome della persona che ha contribuito con 2 milioni di dollari, l’obiettivo è raggiungere i 20 milioni in modo che lo scudo possa partire da subito, e poi auto-sostenersi con le quote degli associati. Non saremo noi di OCCRP a gestirlo, ma avrà vita propria.
Contiamo molto sull’utilità di questo nuovo sistema, anche perché attualmente siamo in difficoltà nell’aiutare la nostra rete quando le cause arrivano dall’estero e sono molto più costose rispetto a cause nazionali.
Lei ha la doppia cittadinanza irlandese e statunitense, e lavora da Sarajevo, ha fatto il giornalista ma ha anche una laurea in ingegneria aerospaziale ed è stato attore e cabarettista, oltre a occuparsi di musica. Che idea si è fatto del giornalismo e dei cambiamenti degli ultimi anni?
Il giornalismo è cambiato perché non siamo più solo venditori di giornali, ma siamo più affini a difensori dei diritti umani. I giornalisti sono parte integrante della società civile, hanno un nuovo ruolo in difesa della democrazia, della trasparenza, della verità, della giustizia economica e sociale. Quindi dobbiamo anche essere flessibili, per ricoprire il nostro ruolo in società. Ma dobbiamo stare attenti a non ergerci a giudici, non siamo una giuria. Dobbiamo limitarci a dire la verità, “la verità del momento” come mi piace dire, ma dobbiamo anche rispettare dei limiti. Per questo serve il contributo di tutti, degli artisti, degli scrittori, dei cabarettisti: anche loro fanno in modo che il giornalismo contribuisca alla salute della democrazia.
Una condanna per KRIK in Serbia
Tra le 41 cause che sta affrontando la rete di OCCRP ci sono anche le 11 che coinvolgono i giornalisti di KRIK in Serbia, per un totale di risarcimenti che potrebbe arrivare a 800mila dollari, tre volte il budget annuale della testata. Pochi giorni fa, KRIK ha perso una di queste cause, ma il caso è controverso e la solidarietà a KRIK è arrivata da diverse ong a livello internazionale. Una concreta manifestazione di solidarietà è giunta da altre testate, che hanno ripubblicato l’articolo oggetto di querela, esponendosi così agli stessi rischi. Si tratta di Danas, N1, Nova, Cenzolovka, Glas Šumadije, JUGpress, Autonomija and Žiginfo.
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