Quando il potere non teme i libri
Dacia Maraini al 46° Seminario di lingua e cultura italiana a Capodistria interviene sulla situazione della scuola in Italia, le possibili ripercussioni sulla minoranza italiana in Slovenia e Croazia e su quella slovena in Italia. Un commento
La scrittrice Dacia Maraini, ospite d’onore all’inaugurazione solenne del 46-esimo Seminario di lingua e cultura italiana, svoltosi di recente a Capodistria, ha saputo nuovamente arricchire l’evento con un tocco di intellettuale saggezza in chiara sintonia con il suo impegno di attenta e sensibile testimone del nostro tempo. D’altronde anche il suo ultimo libro, "Il treno dell’ultima notte", un percorso romanzato lungo i totalitarismi del secolo breve, ne è l’ennesima prova. La Maraini, da onesta intellettuale senza compromessi sul piano dell’etica e con quella serenità che viene suggellata da un’intensa esperienza di vita, non si è sottratta alla valutazione di quanto nel mondo e, soprattutto, in Italia, sta accadendo oggi. Si sta scivolando – avverte la scrittrice – verso nuovi lidi autoritari, inediti nella forma, ma ben noti, nel passato, nella sostanza, basati oggi prevalentemente sull’opera di appiattimento culturale imposto dalla TV massificatrice e da un potere che del bene pubblico sembra infischiarsene. E affonda senza mezzi termini la sua critica sulla contestata ma incombente »riforma Gelmini«, sul decreto che tende a svilire la scuola pubblica e premiare quella privata. E la scuola privata – lo si sa, ricorda Dacia Maraini – è soprattutto privilegio della Chiesa.
La scrittrice è dunque schierata nettamente con gli studenti, i professori e i genitori che contestano il decretismo berlusconiano che taglia i fondi alla scuola pubblica, l’accorpa in nome della razionalità e reintroduce l’insegnante unico nelle elementari. Ha l’antifascismo e il libertarismo nei geni, Dacia Maraini. Affascina, Dacia, ma con tono un po’ rassegnato constata che siamo di fronte- fatto nuovo e inquietante – a un potere che non ha nemmeno paura dei libri.
La scuola pubblica italiana sta quindi per mandare a casa, per decreto, alcune decine di migliaia di insegnanti, professori e ricercatori. Sia ben chiaro, francamente la scuola così com’è concepita oggi ha certamente tanti difetti, come tutte le pubbliche istituzioni pecca delle sindromi da mastodonte, e anche di accomodamenti inappropriati. C’è bisogno di riforme. L’accusa di »baronismo« lanciata dalla destra, probabilmente, ha anche qualche spunto veritiero. Ogni mito ha qualcosa di vero. Ma i problemi non possono essere certo risolti con un decreto che ne fa solo uno strumento per le smanie di privatizzazione della società e di imbrigliamento del mondo scolastico-accademico, fin qui, comunque, fucina di pensiero critico. E poi? Rimarranno i »bravi ragazzi«, le teste d’uovo e la grande, confortante mamma TV. E tanta Chiesa, per coltivare i valori, ovvio. Bella prospettiva, non c’è che dire. È in atto una vera e propria strisciante restaurazione che tende a estirpare gran parte delle norme etiche e sociali ereditate dalla lunga lotta per la democrazia e l’impegno civile dal dopoguerra in poi.
Ma i tagli, gli accorpamenti delle scuole e l’introduzione dell’insegnate unico saranno letteralmente micidiali per le minoranze, in primo luogo per quella slovena nel Friuli Venezia Giulia. Anche quella italiana in Slovenia e Croazia si sta accorgendo, sulla propria pelle, cosa significhi un taglio del 30 per cento dei mezzi finanziari destinati alle sue attività. A quella slovena in Italia, nei prossimi tre anni, verrà tolto il 40 per cento dei mezzi. In termini reali questi tagli saranno ancora più grandi. E, contemporaneamente, l’accorpamento e la razionalizzazione delle scuole porterà a inevitabili chiusure di quelle più piccole, fondamentali però per una minoranza. Insomma, potrebbe essere un’ecatombe. A tutto ciò si affianca, inoltre, l’animosità politica e nazionalista con cui si tenta di svilire quanto raggiunto con la legge di tutela e quanto dovrebbe essere tutelato dagli accordi internazionali. E si cerca nuovamente di negare la presenza slovena nella provincia di Udine.
Fatti e tendenze gravi, gravissimi, per ogni minoranza, non solo quella slovena. Una deriva restauratrice che ormai non teme nemmeno chi legge . I libri però teniamoceli, leggiamoli e scriviamoli, comunque. Non sarà mai uno spreco.
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