Quando il gas è più importante dei diritti umani
La crisi nelle acque di Cipro si è allargata all’Egeo, coinvolgendo la Grecia. La ricerca di giacimenti di idrocarburi influisce direttamente sulla situazione geopolitica che diventa incandescente. Bruxelles si è schierata con Cipro e la Grecia contro Ankara, la motivazione però è discutibile
(Originariamente pubblicato dalla Gazzetta di Mantova l’8 settembre 2020)
È dalla fine del 2010, anno in cui Israele ha annunciato la scoperta di un importante giacimento di gas naturale nelle proprie acque territoriali, che nella parte orientale del Mare Mediterraneo si è scatenata fra i paesi della regione una corsa forsennata alla ricerca di idrocarburi che ha portato, più di recente, a un’affrettata conclusione di accordi bilaterali di demarcazione.
All’annuncio israeliano ha fatto seguito cinque anni più tardi quello egiziano di un altro giacimento di gas ancora più consistente destinato a modificare gli equilibri geopolitici dell’area. L’eventuale autosufficienza energetica di Israele ed Egitto, infatti, cambia le prospettive economiche di questi due paesi.
Sulla scorta di quanto avvenuto nella parte meridionale anche gli altri stati della zona hanno cominciato a sondare il fondo marino per verificare la presenza di metano e petrolio.
Risalgono al 2014 le prime frizioni in mare fra Cipro e Turchia quando navi turche hanno condotto operazioni di esplorazione nelle acque dell’isola interferendo a distanza con quelle ufficiali portate avanti da una compagnia italiana su licenza del governo di Nicosia.
Nonostante Cipro, dopo l’intervento dell’esercito turco nel 1974, sia divisa in due parti esiste un’unica entità riconosciuta a livello internazionale. La Repubblica di Cipro formalmente comprende tutta l’isola ma, di fatto, controlla solo la parte meridionale corrispondente a due terzi, circa, di territorio popolato nella stragrande maggioranza da greco-ciprioti. La parte settentrionale è amministrata dalla Repubblica di Cipro Nord, entità riconosciuta solo dal governo di Ankara.
La città di Nicosia è la capitale di entrambe le repubbliche. È divisa da una linea verde che separa la parte greco-cipriota da quella turco-cipriota. Dal 2004 la Repubblica di Cipro è membro dell’Unione Europea. In quell’anno si è svolto anche il referendum sul piano di pace promosso dalle Nazioni Unite che avrebbe dovuto portare alla riunificazione dell’isola. Fu approvato dalla comunità turco-cipriota ma bocciato da quella greco-cipriota.
Il processo di integrazione europea che, si auspicava, potesse facilitare la riconciliazione interetnica dopo il doloroso conflitto ha, purtroppo, mancato l’obiettivo. Cipro Nord non sopravvivrebbe senza il generoso sostegno di Ankara che protegge e difende ovunque gli interessi della comunità turco-cipriota.
Lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi nelle acque dell’isola, è la tesi delle autorità turche, dovrebbe beneficiare tutti gli abitanti di Cipro e non solo una parte. Giusto o sbagliato che sia dal punto di vista del diritto internazionale, il ragionamento ha un suo fondamento logico. Perché non utilizzare il gas naturale come catalizzatore per riprendere il processo di pace partendo da una gestione condivisa delle risorse naturali dell’isola?
La crisi nelle acque di Cipro si è allargata negli ultimi mesi al Mare Egeo coinvolgendo la Grecia che si oppone a sua volta all’intrusiva politica estera di Erdoğan. Alle navi che conducono operazioni geognostiche si sono affiancate quelle dei rispettivi corpi di marina che conducendo esercitazioni militari hanno alzato pericolosamente la tensione.
I ministri degli Esteri dell’Ue riuniti la scorsa settimana informalmente a Berlino hanno appoggiato Grecia e Cipro contro la Turchia minacciando nuove sanzioni se Ankara non metterà fine alle sue attività entro la fine del mese.
Più o meno nelle stesse ore, dopo 238 giorni di sciopero della fame per protestare contro una condanna iniqua, moriva nel carcere di Istanbul Ebru Timtik, avvocata curda che si occupava di diritti umani. Con lei sono centinaia gli oppositori, i giornalisti, gli avvocati, i giudici, i dissidenti che stanno marcendo nelle carceri turche a seguito di processi sommari.
Fra diritti umani e gas naturale sembra, però, che alla diplomazia di Bruxelles interessi più quest’ultimo. Non varrebbe la pena riaggiustare l’obiettivo delle sanzioni liberandosi una volta per tutte dalla dipendenza dagli idrocarburi? Opporsi agli autocrati è giusto. Un conto, però, è farlo per i diritti umani, un altro per il diritto alle trivelle.
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