Quando bruciano le biblioteche
La Biblioteca nazionale di Belgrado, la più antica istituzione culturale della Serbia, fu distrutta il 6 aprile 1941 dalle forze dell’Asse su ordine esplicito di Hitler. La Serbia perse così in un sol giorno un inestimabile patrimonio culturale
Se, una volta finita la pandemia da Covid 19, doveste recarvi a Belgrado, fermatevi per qualche minuto a Kosančićev Venac e, attraverso un cancello in ferro coperto da piante rampicanti ed erbacce, osservate i resti delle fondamenta di un edificio, o meglio un buco. Le uniche tracce di vita che vi si possono vedere sono quelle lasciate da qualche gatto.
In quel luogo fino al 6 aprile 1941 si trovava la Biblioteca nazionale, la più antica istituzione culturale della Serbia. Fu fondata nel 1832 con un decreto del principe Miloš Obrenović (nonostante fosse analfabeta e avesse un carattere irascibile, il principe aveva compreso l’intento dei colti promotori dell’istituzione della biblioteca).
Ricordo brevemente che le forze dell’Asse attaccarono il Regno di Jugoslavia dopo il colpo di stato e le proteste popolari del 27 marzo contro l’adesione del paese al Patto Tripartito, decisa due giorni prima dal governo Cvetković-Maček. I manifestanti gridavano: “Meglio una guerra che il Patto”, “Meglio morire che essere schiavi”.
Fu il Führer personalmente a ordinare che venisse bombardata anche la Biblioteca nazionale. Il pittore mancato era molto, ma molto arrabbiato con la Jugoslavia, con i golpisti, con Belgrado e soprattutto con i serbi. Ne parlò il comandante dell’Operazione Castigo (il nome in codice degli attacchi aerei su Belgrado), il generale Alexander Löhr, durante il processo nei suoi confronti svoltosi a Belgrado dopo la guerra. Il generale non si sentiva colpevole, riteneva che l’obbedienza agli ordini fosse una virtù e durante il processo si esprimeva con una voce che assomigliava a quella di una persona normale. Affermò tra l’altro: “Durante il primo attacco dovevamo distruggere la Biblioteca nazionale, e solo dopo gli obiettivi di interesse militare”. Alla domanda sul perché avessero deciso di distruggere proprio la Biblioteca, il generale rispose: “Perché quell’edificio custodiva quello che per secoli ha rappresentato l’identità culturale di quel popolo”.
Non dobbiamo rimproverare troppo duramente il generale Löhr, la sua “virtù” a tutt’oggi non è ancora stata sradicata, e di quella “normalità” parleremo più avanti.
Gli aerei tedeschi bombardarono Belgrado, poi Kraljevo, Niš e altre città. Gli attacchi iniziarono senza alcuna dichiarazione formale di guerra (alcuni storici seri sostengono che l’Operazione Castigo avesse influito sull’andamento della guerra: Hitler si preparava ad attaccare l’Urss, ma poi all’improvviso si scagliò contro la Jugoslavia; l’Operazione Barbarossa fu avviata due mesi e mezzo dopo l’invasione della Jugoslavia e l’avanzata dei carri armati tedeschi fu rallentata dal rigido inverno russo. La lezione da trarre: se ti arrabbi, potresti arrivare in ritardo).
Le prima bombe caddero su Belgrado alle 06:30 del 6 aprile, mentre la maggior parte dei cittadini stava ancora dormendo. Nel corso della giornata gli aerei si scagliarono per ben quattro volte contro la città, scaricando bombe incendiarie. Non furono risparmiate nemmeno le colonne di persone in fuga dalla città in fiamme. I bombardieri decollarono dagli aeroporti di Vienna, Graz e Arad. La capitale della Jugoslavia fu attaccata di nuovo l’11 e il 12 aprile. Sulla città vennero scaricate 440 tonnellate di bombe.
Il numero delle vittime non è mai stato stabilito con precisione. Nella lista dei morti a Belgrado, che all’epoca contava 370.000 abitanti, compaiono 2274 nomi, ma alcune stime parlano di 4000 morti. La città aveva subito danni materiali incalcolabili: 714 edifici furono completamente distrutti, 1888 gravemente danneggiati e 6829 danneggiati. Furono bombardati i quartieri densamente popolati, la stazione ferroviaria, gli ospedali, la sede centrale delle Poste, la Casa degli insegnanti, il mercato di Kalenić, l’aeroporto di Zemun. Il primo giorno dell’attacco, nel cortile della Chiesa dell’Ascensione, vennero uccisi e feriti centinaia di civili, mentre alcune centinaia di persone morirono in un rifugio antiaereo situato nel parco di Karađorđe.
Anche nella Prima guerra mondiale
Durante la Prima guerra mondiale la Biblioteca nazionale di Belgrado fu bombardata dall’esercito austroungarico. L’edificio fu evacuato per ben tre volte e la maggior parte del fondo librario venne salvato. Dopo la guerra la Biblioteca nazionale venne trasferita in un edifico costruito in stile neoclassico situato a Kosančićev Venac 12, che fino ad allora ospitava gli uffici dell’imprenditore e filantropo serbo Milan Vapa (dove sono oggi i ricchi filantropi serbi? A cosa rinunciano, cosa fanno per il bene comune? Ovviamente, senza contare i regali del tipo “io faccio un favore a te e tu ne fai uno a me”.)
Nel 1941, l’amministrazione comunale e la direzione della Biblioteca nazionale, tenendo a mente quanto accaduto durante la Prima guerra mondiale, avevano programmato di trasferire l’intero fondo bibliotecario in un altro luogo entro il 10 aprile. Il patrimonio librario, sistemato in decine di scatole di legno, venne colpito, stando alle parole del generale Löhr, verso le 15:30, “solo nel terza attacco di bombardieri”. Nel caos generale, nessuno aveva nemmeno provato a spegnere l’incendio. Gli ultimi a prendere fuoco furono i libri più preziosi, custoditi nel deposito sotterraneo dell’edifico di cui è rimasto solo quel cratere. Che però si distingue da altri crateri. Ma anche di questo parleremo più avanti.
Nell’incendio andarono persi anche i cataloghi della biblioteca, per cui non si conosce il numero esatto delle opere bruciate, ma si stima che fossero andati distrutti circa 500.000 libri, una collezione di 1424 manoscritti medievali in cirillico, una collezione di mappe e grafiche, alcuni documenti ottomani riguardanti la Serbia, un archivio di giornali e periodici, l’intera corrispondenza di alcuni esponenti di spicco della cultura e della politica serba e jugoslava.
Successivamente, il governo collaborazionista costrinse i membri della commissione incaricata di redigere un rapporto sulla distruzione della Biblioteca nazionale ad addossare la colpa per la distruzione di quel patrimonio culturale serbo alle autorità locali, che si sarebbero dimostrate irresponsabili, ovvero avrebbero sottostimato i rischi e affrontato in modo superficiale la questione del trasferimento del fondo librario. Quindi, secondo il governo collaborazionista, la principale causa della distruzione del fondo librario non furono i bombardamenti, bensì l’inadeguata protezione dei libri.
L’incendio si protrasse per diversi giorni. Sono sempre meno i testimoni viventi di uno dei più grandi crimini contro il patrimonio culturale commessi durante la Seconda guerra mondiale in Europa. In un solo giorno, un popolo perse un patrimonio culturale inestimabile. Tutti i ricordi di quel giorno in cui bruciarono i libri sono identici: per molto tempo si avvertì l’odore di carta bruciata, il vento spargeva ovunque le ceneri e i pezzettini di fogli bruciati. Dell’intero fondo bibliotecario si salvò solo una raccolta di materiali musicali che nel 1939 fu prestata all’Accademia Musicale di Belgrado e un manoscritto medievale.
Nuova sede
Nel 1973 la Biblioteca nazionale venne trasferita nella nuova sede situata nel parco di Karađorđe. La Germania non aveva contribuito al finanziamento della costruzione del nuovo edificio perché la Jugoslavia di Tito non voleva accettare aiuti per la ricostruzione dei singoli edifici, insistendo invece su riparazioni di guerra che abbracciassero diversi ambiti. “Tuttavia, quando fu inaugurata la nuova biblioteca, qualche giorno dopo, sempre nel 1973, il primo visitatore straniero fu Willy Brandt, che portò con sé una scatola piena di libri, e quello fu il segnale che la Germania era consapevole di quanto accaduto”, ricorda lo scrittore Ivan Ivanji, che per anni fu interprete personale di Tito.
La Germania aveva restituito alla Biblioteca nazionale di Belgrado una parte dei libri confiscati durante la guerra. Oggi la Serbia e la Germania collaborano intensamente nel campo letterario. Nel 2011 la Serbia è stata ospite d’onore alla Fiera del Libro di Lipsia, mentre nel 2017 la Germania è stata ospite d’onore alla Fiera del Libro di Belgrado. Grazie alla rete Traduki, negli ultimi anni molti libri sono stati tradotti dal tedesco al serbo e viceversa. A Belgrado ormai da cinquant’anni è attivo il Goethe-Institut. Quando Ingo Schulze, uno dei più importanti scrittori tedeschi contemporanei, visitò Belgrado, tenne un discorso nella Biblioteca nazionale. In quell’occasione Schulze affermò di essere onorato di avere la possibilità di parlare all’interno di un’istituzione la cui vecchia sede fu rasa al suolo dai nazisti.
Gli scrittori possono costruire ponti anche sopra gli abissi dell’oblio, ma solo se, oltre ad essere scrittori, sono anche uomini.
Sarajevo
Il 25-26 agosto 1992: la lunga notte in cui bruciarono i libri della Biblioteca nazionale della Bosnia Erzegovina, bombardata dai serbi posizionati sulle colline intorno alla Sarajevo assediata. “I miei” furono precisi, il generale Löhr si sarebbe sicuramente complimentato con loro.
Ordinato, eseguito. L’obbedienza è una virtù.
Il giorno dopo, in Italia… In quel momento ero un traditore o piuttosto un disertore? Non lo so e non mi scervello più di tanto su questo dilemma, ma quel giorno avevo scritto, tutto d’un fiato, un breve testo intitolato “Sarajevo, il falò dei ricordi”, pubblicato sul quotidiano Il Manifesto. Quel testo ormai da qualche tempo fa parte di una mia raccolta di racconti intitolata “I buchi neri di Sarajevo”. Una volta, alla domanda se avrei di nuovo scritto quel testo, risposi di sì. A dire il vero, aggiungerei che nel 1992 la televisione pubblica serba riportava le notizie sulla guerra in Bosnia accompagnandole con le fotografie di Sarajevo scattate prima dell’inizio della guerra. Aggiungerei anche che in realtà fu attaccata anche la più grande città serba della Bosnia. E che nella Biblioteca di Sarajevo, oltre ai libri e documenti appartenenti al patrimonio culturale, storico e letterario bosgnacco, a quello croato e quello ebreo, andarono persi anche molti libri e documenti serbi (ah, noi non abbiamo bisogno del nostro passato! Creiamo il futuro, partendo da zero!). E che la propaganda serbo-bosniaca sosteneva che a Belgrado ci fosse una copia di ogni singolo libro bruciato (al pari delle bugie, anche la propaganda ha le gambe corte). E che, salvo poche lodevoli eccezioni, tutta quanta Belgrado taceva.
Un silenzio profondo, profondo.
Belgrado era forse sprofondata in quel buco a Kosančićev Venac? Lo so, non dovrei fare questa domanda. Se Belgrado fosse davvero sprofondata in quel buco, in quel vuoto che ancora oggi, che lo vogliamo ammettere o meno, funge da monito, un monito terrificante e transnazionale, avrebbe provato empatia nei confronti dei sarajevesi che in quella notte d’estate del 1992 provarono la stessa sensazione provata dai cittadini di Belgrado nella primavera del 1941, ovvero intuirono che non bruciavano solo i libri, non cadeva solo la cenere e non volavano solo “gli uccelli neri” dei fogli di carta bruciati, bensì stava accadendo qualcosa di più grande, più ampio e più profondo. Qualcosa di più grande della memoria, più ampio della Storia in Movimento e più profondo delle tragedie antiche? Dovettero passare 51 anni, 4 mesi e 20 giorni affinché nella coscienza di un popolo si aprisse la voragine dell’oblio? Una voragine enorme, terrificante tanto quanto quei due milioni di libri andati persi e danneggiati nell’incendio che divorò la Vijećnica di Sarajevo?
Quindici anni fa, in occasione del 65° anniversario del bombardamento della Biblioteca nazionale di Belgrado, la nota scrittrice Svetlana Velmar Janković, all’epoca membro del Consiglio di amministrazione della Biblioteca, tenne un discorso. Una parte del suo discorso fu poi scritta su un cartello appeso su quella recinzione in ferro che circonda quel buco: “Fermatevi un attimo, voi che passate! In questo luogo fino al 6 aprile del 1941 sorgeva la Biblioteca nazionale della Serbia. Quel giorno, al mattino presto, iniziarono i bombardamenti su Belgrado. Prima fu spazzata via la pace e poi fu data alle fiamme la Biblioteca nazionale a Kosančićev Venac. Per giorni bruciarono gli antichi monumenti scritti, i libri vecchi e nuovi, manoscritti e lettere, documenti e giornali. Per giorni le fiamme continuarono a distruggere le testimonianze dell’esistenza e della storia di un popolo. Per giorni il fuoco divorò una storia secolare sintetizzata in forma scritta. Poi finalmente, le fiamme si trasformarono in brace e la brace in cenere. In questo luogo sono disperse le ceneri di gran parte della memoria storica del popolo serbo. Pertanto fermatevi un attimo, voi che passate!”.
Un testo commovente. Dovrei forse rimproverare la scrittrice di non aver menzionato Sarajevo? Sarajevo non viene mai menzionata nei discorsi politici (e culturali) durante le commemorazioni del 6 aprile. È più facile bere l’acqua del fiume Lete? Ne ha bevuti due, tre bicchieri anche András Riedlmayer, professore all’Università di Harvard, mentre scriveva il suo saggio “Il genocidio e i libri al rogo in Bosnia ”. Citando tutti i roghi di libri della storia europea, ha dimenticato quello avvenuto il 6 aprile 1941 a Belgrado. Per puro caso? O forse anche Harvard non è più quella di una volta? Ad ogni modo, i fatti sono inconfutabili anche quando vengono taciuti.
E ora, un po’ di luce. Grazie ai molti giovani artisti e attivisti di varie associazioni, compresi i membri dell’Iniziativa dei giovani per i diritti umani (che dal 2007 a Belgrado organizzano un festival intitolato “I giorni di Sarajevo”) sembra che tra i giovani stia crescendo la consapevolezza di quanto accaduto durante la guerra fratricida in Bosnia e, più in generale, durante gli anni novanta. Per loro “scoprire la verità” è più di un dovere. Non concepiscono la memoria come qualcosa che scade in fretta.
Mi fermo qui. È ora che vi riposiate da questo argomento, per nulla divertente.
NB
Questo articolo è principalmente basato sulle informazioni contenute nelle seguenti fonti: il libro “Kuća nesagorivih dusa: Narodna biblioteka Srbije 1838-1941” [La casa delle anime che non bruciano: la Biblioteca nazionale della Serbia 1838-1941] di Dejan Ristić (Belgrado, 2019), il libro “Narodna biblioteka Srbije u ratnim godinama (1941-1944)” [La Biblioteca nazionale della Serbia negli anni di guerra 1941-1944] di Aleksandra Vraneš (Belgrado, 2001) e l’articolo “Mesta zločina – mesta pomirenja: Narodna biblioteka Srbije” [Luogo del crimine – luogo della riconciliazione: la Bibiliotec nazionale della Serbia” a firma di Sanja Klajić, pubblicato dalla Deutsche Welle, il 9 maggio 2020)
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