Progress report sul Kosovo: nessuna responsabilità, nessun futuro
Il recente progress report della Commissione UE è fortemente critico rispetto ai progressi fatti dal Kosovo in chiave di giustizia. Ma allora perché la missione Eulex non ha più un ruolo guida nella giustizia kosovara? Un commento di Andrea Capussela
La Commissione europea ha appena presentato la sua analisi annuale del Kosovo dal punto di vista dei criteri generali per l’adesione all’Ue, i "criteri di Copenaghen". Vorrei commentarne alcuni estratti riguardanti lo stato di diritto e confrontarli con dichiarazioni o scelte realizzate da altre strutture dell’Unione europea. Le citazioni sono dal progress report 2014; la pagina da cui sono tratte è indicata tra parentesi; l’enfasi messa in corsivo, è sempre mia.
Come sappiamo (p. 6), «[s]otto il nuovo mandato di EULEX, tutte le istituzioni per lo stato di diritto sono diretti da funzionari del Kosovo. I giudici e pubblici ministeri EULEX sono incorporati nelle istituzioni del Kosovo e i quadri misti sono in linea di principio composti da una maggioranza di giudici del Kosovo e presiedute da un giudice del Kosovo. EULEX non avvia nuove indagini, se non in circostanze eccezionali".
Queste due espressioni, "in linea di principio" e "circostanze eccezionali", sono corrette, ma incomplete: secondo la legge del Kosovo sul nuovo mandato di Eulex, Eulex necessita del consenso delle autorità giudiziarie o della magistratura del Kosovo anche per condurre nuove indagini o per avere una maggioranza di propri giudici in un pannello giudicante. Senza consenso, niente indagine o maggioranza; questo non è un punto secondario, come vedrete. Questa decisione, presa dal Consiglio dell’Unione europea nel mese di aprile, si basa sulla valutazione di Eulex e SEAE (Servizio europeo per l’azione esterna) del "progresso" fatto, almeno sino ad allora, dal sistema giudiziario del Kosovo.
Ma apprendiamo anche (p. 4) che «[i]l dialogo strutturato sullo stato di diritto continua. Le discussioni hanno riguardato le interferenze politiche nella magistratura». Questo sarebbe un difetto piuttosto grave: quale, allora, è stato il tenore di queste "discussioni"?
La risposta può essere trovata nelle conclusioni della sezione dedicata al sistema giudiziario (14 p.): «[n]el complesso, c’è stato qualche progresso nel settore giudiziario. Il Kosovo ha iniziato ad affrontare alcune delle priorità, ma rimangono gravi preoccupazioni per quanto riguarda l’indipendenza, responsabilità, imparzialità ed efficienza di giudici e pubblici ministeri».
Lasciamo da parte l’efficienza, che riguarda la capacità di rendere giustizia: concentriamoci sulla volontà di rendere giustizia. La giustizia deve essere imparziale (tautologia) e deve essere amministrata da giudici e pubblici ministeri indipendenti (ovvio presupposto) e responsabili (presupposto altrettanto fondamentale, perché senza responsabilità l’incentivo sistemico ad essere sia imparziali che diligenti svanisce e la giustizia viene a dipendere unicamente dalla rettitudine personale del giudice, come nei sistemi pre-moderni di giustizia tribale; si veda, per un’illustrazione eloquente, l’esempio del giudice costituzionale degli Stati Uniti in Kosovo: egli probabilmente è un buon giudice in Minnesota, perché lavora all’interno di un sistema ben funzionante, ma un cattivo giudice in Kosovo, perché il sistema gli permette di seguire le sue inclinazioni personali).
In linguaggio diplomatico, dire che ci sono "gravi preoccupazioni" circa tre presupposti fondamentali per l’esercizio della giustizia (imparzialità, indipendenza, responsabilità) equivale effettivamente a dire che queste tre condizioni non sono soddisfatte. Perché non sono soddisfatte? A causa di "interferenze politiche", suggerisce fortemente il progress report.
In effetti, questa risposta è coerente con le osservazioni espresse da innumerevoli e affidabili rapporti e analisi rilasciati da rispettabili istituzioni pubbliche e private dell’Unione europea e di altri organismi a partire dal 2008. In particolare, una relazione del 2012 sul Kosovo da parte della Corte dei conti europea cita con approvazione un precedente rapporto OSCE secondo il quale giudici e pubblici ministeri in Kosovo "tendono ad agire in obbedienza preventiva alle influenze esterne": per dirla senza mezzi termini, questo significa che l’élite politica, economica o criminale non ha bisogno di dire loro ciò che vuole che facciano, perché lo fanno spontaneamente.
Dove sta il "progresso", allora? La Commissione europea ha una risposta anche per questo (p. 12-13.): i progressi riscontrati consistono nell’aver dato al sistema giudiziario più soldi e più (e, presumibilmente, migliori) regolamenti interni. Evidentemente – a differenza della Commissione – Eulex, SEAE e il Consiglio hanno ritenuto questo un vero progresso non considerando che senza responsabilità non verranno rispettate le nuove regole, se ritenute scomode, e che senza cambiare gli altri incentivi è altamente improbabile che stipendi più alti abbiano un qualsiasi altro effetto che rendere i destinatari più ricchi.
Quindi c’è una contraddizione piuttosto evidente tra la valutazione offerta dalla relazione (e tutte le altre analisi) e la decisione dell’UE, sei mesi prima, di trasferire il controllo su gran parte (e di tutte le principali istituzioni) del sistema giudiziario del Kosovo da Eulex alle autorità nazionali.
Più precisamente, se (1) Eulex è stata istituita al fine di – cito dall’Articolo 2 (il cui titolo è "Mission Statement") dell’Azione congiunta dell’Unione europea che ha istituito la missione – "assistere [le autorità giudiziarie del Kosovo] nei loro progressi verso la sostenibilità e la responsabilità…, assicurando che tali istituzioni non subiscano ingerenze politiche e in adesione agli standard internazionali e alle migliori pratiche europee [nota: tali standard e pratiche comprendono imparzialità e indipendenza]", e tuttavia (2) il sistema giudiziario del Kosovo manca ancora di imparzialità, indipendenza e responsabilità, in primo luogo perché (3) rimane soggetto a forti interferenze esterne, allora (4) perché il controllo sulle parti più delicate del sistema giudiziario è stato recentemente trasferito da Eulex alle autorità nazionali?
La domanda è duplice: perché il mandato di Eulex è stato interrotto prima che l’obiettivo indicato nella sua "mission" fosse stato raggiunto? E perché la giustizia in Kosovo è stata lasciata a un sistema giudiziario che non ha nemmeno la volontà di amministrarla? La questione, in altre parole, è rilevante dal punto di vista sia del cittadino UE, che finanzia il costo di Eulex, e del cittadino del Kosovo, la vittima di questo sistema giudiziario parziale, irresponsabile e controllato esternamente.
Tre sono le spiegazioni possibili per tale contraddizione. Uno: la situazione era critica fino al 2013, poi è migliorata nettamente, ma nella seconda metà del 2014 si è deteriorata altrettanto bruscamente. Secondo: la decisione del Consiglio di trasferire il controllo si basa su una valutazione di fatto diversa da quella effettuata dalla Commissione e praticamente da chiunque altro. Terzo: la decisione del Consiglio non dispone di una base fattuale sufficiente ed è basata su altri fattori.
Chiaramente, l’unica spiegazione plausibile è l’ultima. E gli "altri fattori" sono probabilmente una combinazione del desiderio di piena indipendenza da parte del Kosovo, articolato sia dall’élite del Kosovo che da chi vi si oppone (pur per motivi ampiamente divergenti), con il riconoscimento da parte dell’UE, da un lato che tale desiderio non può (e non dovrebbe) essere ignorata, e dall’altro che Eulex non è comunque in grado di raggiungere il suo obiettivo entro un lasso di tempo ragionevole.
Questo ha senso: ma se questi sono i motivi della decisione di consegnare il sistema giudiziario alle autorità nazionali, dovrebbero essere apertamente riconosciuti. Ciò è necessario per motivi non solo di trasparenza, ma anche di responsabilità politica, sia in Kosovo che nell’UE. I cittadini europei devono essere informati che Eulex ha fallito, se c’è qualche speranza di ritentare il (buono) esperimento che è stata e, più in generale, migliorare la conduzione della politica estera comune. Allo stesso modo i cittadini del Kosovo devono essere informati che ora sono da soli, di fronte a una magistratura controllata dall’élite politico-economico-criminale, se vogliono cominciare a rendersi conto di quanto grande sia la responsabilità di tale élite per il loro poco invidiabile tenore di vita.
Sistema giudiziario, responsabilità legale, responsabilità politica, irresponsabilità politica e cattive condizioni socioeconomiche: tutto è collegato. (p. 24) La Commissione europea, ad esempio, nota che «genuine fonti di crescita sostenibile rimangono assenti» in Kosovo, e che «[l]a diffusa economia informale, la debolezza dello Stato di diritto e la mancanza di prevedibilità fiscale rimangono i maggiori ostacoli all’imprenditoria, alla concorrenza e alla produttività dell’economia».
Fermiamoci per un secondo sulla gravità della prima frase e la scelta della parola ‘assenti’: significa che oggi il Kosovo non ha futuro ed è tenuto a galla solo dalle rimesse, che figurano in parte come investimenti esteri, e dagli aiuti stranieri. Questa non è una novità, ma raramente questa osservazione è stata espressa in termini più nitidi.
Consideriamo ora le principali cause di questo stato di cose, vale a dire i tre principali ostacoli menzionati nella seconda frase: tutte si riducono alla mancanza di responsabilità legale (diffusa economia informale e debolezza dello stato di diritto) o politica (mancanza di prevedibilità fiscale) delle istituzioni politiche. I cittadini del Kosovo dovrebbero sapere che, se oggi il loro paese non ha futuro, è in gran parte a causa del suo sistema di governance.
Un’ultima osservazione. La Commissione europea ha ancora una volta dimostrato di essere analista affidabile della situazione in Kosovo, così come la Corte dei conti europea. Lo stesso non si può dire di Eulex e SEAE. Una differenza notevole tra questi quattro bracci della UE, e una spiegazione plausibile per la differenza che separa le loro analisi, è che i primi due sono istituzioni autenticamente europee, mentre Eulex e SEAE (e, a fortiori, i servizi del Consiglio) rispondono de facto ai 28 Stati membri, e ai compromessi generalmente instabili e spesso poco chiari raggiunti fra i loro 28 interessi nazionali. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che che una maggiore chiarezza di mandato (e di responsabilità) abbia prodotto prestazioni superiori, anche nel campo dell’analisi.
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