Profughi via da Tbilisi
Il governo georgiano è alla ricerca di una soluzione in merito alle decine di migliaia di profughi che sin dai conflitti di inizio anni ’90 occupano edifici nel centro di Tbilisi. La situazione dei profughi nella capitale georgiana è spesso precaria, ma un destino ancora più incerto li aspetta se mandati a vivere in piccole località dove non vi sono opportunità lavorative
La questione dei profughi dalle zone di guerra è stata una delle più serie a partire dall’indipendenza georgiana. In totale, i profughi sono circa 250.000, oltre il 5% della popolazione del Paese. Nonostante la maggior parte di loro avesse dovuto lasciare le proprie case nei primi anni Novanta, il problema è stato affrontato in modo organico solo dopo la guerra del 2008. Il fatto è che il presidente georgiano Saakashvili non voleva assolutamente permettere che il problema si aggravasse sotto il suo governo, quindi i 20.000 profughi dall’Ossezia del Sud ricevettero nuove case nel giro di pochi mesi. Per loro furono costruiti appositamente interi villaggi costituiti da cottage a tre stanze identici fra di loro, al costo di 15.000 dollari ciascuno. I fondi provenivano in parte dal budget statale e in parte dalle organizzazioni internazionali. Quando fu chiaro che il problema dei “nuovi profughi” era più o meno risolto, si ripropose la questione di quelli “vecchi”.
I profughi dei primi anni novanta
Dopo l’esodo di 200.000 persone dall’Abkhazia e circa 10.000 dall’Ossezia del Sud nel 1992-93, lo stato si era fondamentalmente disinteressato delle loro condizioni. I profughi occupavano spontaneamente edifici in abbandono, si sistemavano, ove possibile perfino li ristrutturavano e vi abitavano senza basi legali. Nel periodo di Shevardnadze lo Stato chiudeva un occhio, guardandosi bene dall’affrontare il problema.
Con l’arrivo al potere di Saakashvili, tutto cambiò radicalmente. In primo luogo, lo Stato cominciò a sfrattare i profughi dagli edifici di valore, in particolare dagli alberghi nel centro di Tbilisi e sul Mar Nero, dietro una compensazione che andava dai 10.000 ai 30.000 dollari. Oggi questa somma non permette nemmeno l’acquisto di un appartamento nella lontana periferia di Tbilisi, ma nel 2004-2005 bastava per aggiudicarsi un modesto appartamento nelle zone residenziali periferiche.
Oggi a Tbilisi vivono circa 60.000 profughi dall’Abkhazia, che si possono suddividere in tre gruppi. Il primo comprende coloro che vivono nei “centri abitativi compatti”, di norma in grandi edifici sfitti o abbandonati da varie agenzie statali che in parte sono stati dati in proprietà agli stessi profughi. Attualmente, a ricevere questi alloggi sono state 12.000 famiglie a Tbilisi e circa 10.000 in altre province. In questi edifici lo Stato ha effettuato i restauri essenziali: portato acqua corrente, gas ed energia elettrica, riparato i tetti, installato ascensori ove indispensabile. Il processo di regolarizzazione è ancora in corso.
I profughi del secondo gruppo vivono in appartamenti in affitto. A quanto pare, la loro situazione sarà affrontata solo dopo che saranno sistemati i profughi più in difficoltà, appartenenti al primo gruppo.
Infine, la terza categoria è costituita da chi ha comprato il proprio appartamento senza la partecipazione dello Stato. Si sa che, quando saranno sistemati i primi due gruppi, i proprietari di casa potranno contare su una compensazione in denaro. Ma questo non avverrà prima del 2012, e non si sa ancora a quanto potrà ammontare la somma.
I profughi del 2008
Dopo la pulizia etnica avvenuta in Ossezia del Sud, circa 20.000 georgiani si sono trasferiti nelle regioni interne del Paese. Al momento, la grande maggioranza di loro vive in insediamenti costruiti appositamente. Le verifiche condotte da svariate organizzazioni internazionali hanno generato una serie di denunce in merito alla qualità delle costruzioni. A questo proposito, le autorità georgiane attribuiscono il fatto alla fretta con cui sono state costruite le case, 6.000 in tre mesi. Tuttavia, gli osservatori indipendenti non escludono che un’altra causa possa essere la negligenza delle ditte costruttrici. Secondo le informazioni del ministero per i Rifugiati, in caso di violazione degli standard saranno proprio le ditte a porre rimedio a proprie spese.
Problemi
Il processo di reinsediamento dei profughi è comunque molto complesso. La situazione più problematica è innanzitutto quella di chi vive a Tbilisi. Parte di questi ultimi sta venendo trasferita in provincia, nonostante la maggior parte di loro sia già integrata nella vita della città, disponga di un piccolo reddito (spesso proveniente dal commercio al dettaglio) e in campagna non abbia assolutamente nulla da fare.
Il problema è che non sono chiari i criteri per cui alcuni vengono trasferiti e altri lasciati a Tbilisi. Uno di questi è che vengono trasferiti quei profughi che, pur avendo intascato un indennizzo, non hanno acquistato casa, hanno speso i soldi e si sono stabiliti nel primo edificio vuoto che hanno trovato. Ma questa non è la regola e vi sono anche casi di persone che sono state allontanate dalla città senza aver mai ricevuto un indennizzo. Questo naturalmente suscita grande scontento in coloro a cui non è andata bene e che vedono peggiorare bruscamente la propria condizione sociale, dovendo ricominciare di nuovo tutto da capo.
Alcune difficoltà sono oggettive. Emblematico l’esempio di uno stabile a Tbilisi: vi vivevano alcuni profughi e dal nulla è ricomparso il proprietario legale, la Federazione nazionale di Judo, che ne ha rivendicato il possesso. La federazione attualmente è in causa con l’amministrazione di Tbilisi per rientrare in possesso di quella parte dello stabile dove vivono profughi provenienti dall’Abkhazia, le cui prospettive non sono affatto chiare. Chi gestirà lo stabile, se e dove saranno trasferiti: nessuno lo sa.
Nel complesso, nonostante grazie al sostegno internazionale il governo georgiano disponga di mezzi finanziari necessari per affrontare molti dei problemi relativi alla situazione dei profughi, si ritrova ad ogni passo alle prese con le più imprevedibili difficoltà. Cionondimeno, il ministero competente annuncia di essere intenzionato a chiudere la questione dei rifugiati entro la fine del 2012.
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