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Prijedor, non si può restare indifferenti

Il 31 maggio si ricorda in decine di città in tutt’Europa la tragedia della pulizia etnica in Bosnia Erzegovina. Una riflessione. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

30/05/2018, Edvard Cucek -

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A partire dal 31 maggio 1992 i cittadini non serbi di Prijedor, nella Bosnia nord-occidentale, furono costretti a legarsi sul braccio, quando erano fuori di casa, una fascia bianca. In casa dovevano appendere invece, ad una finestra, un lenzuolo. Le autorità locali ufficialmente lo chiedevano come segno di lealtà nei confronti del nuovo governo, ma tutti da subito sapevano che era un sistema per individuare le future prede, la ricetta degli anni trenta nella Germania nazista.

Nel ventennale di quanto accaduto, nel 2012, le autorità di Prijedor negarono alle associazioni di vittime civili di guerra della città il diritto a organizzare una commemorazione pubblica. Per protesta, il 31 maggio del 2012, un ragazzo di Prijedor, Emir Hodžić, decise di mettersi da solo in piedi nella piazza principale della città con una fascia bianca al braccio.

Non c’era bisogno di ricordare a chi abitava a Prijedor che si era divisi in due: chi aveva subito sulla propria pelle l’umiliazione di essere marcati con uno straccio di tessuto bianco e chi è rimasto testimone muto di una delle vergogne che hanno lasciato un segno indelebile sugli anni novanta nella Bosnia Erzegovina.

Non a caso nessuno gli rivolse nemmeno una parola, una domanda. Nemmeno i poliziotti, arrivati per tenere sotto controllo la situazione, gli chiesero nulla. Emir rimase tutto il tempo in silenzio, suo, voluto, e quello dei passanti, che o lo ignoravano o giravano la testa come dopo una piccola scossa, un flash di ricordo scomodo e turbante.

Non credo che questo giovane uomo abbia avuto tanto da dire ai suoi concittadini. Il suo messaggio era per noi, per quelli lontani. Un grido al mondo che ama chiamarsi civile e democratico.

Da allora, da quel gesto di Emir Hodžić, nella cittadina bosniaca e in decine di altre città europee viene promossa l’iniziativa "Giornata internazionale delle fasce bianche", anche grazie all’iniziativa "Jer me se tiče" (Perché mi riguarda) avviata da un gruppo di giovani della società civile di Prijedor e che dal 2013 ha portato al costante aumento di partecipazione di cittadini provenienti da diverse città della Bosnia Erzegovina.

A Prijedor però non ha mai ottenuto il patrocinio del comune e di istituzioni locali a cui è stato richiesto. Solo l’anno scorso una delle sedute del consiglio comunale locale è terminata qualche minuto prima per permettere ai consiglieri che intendevano farlo di partecipare al corteo. Solo l’anno scorso sulle pagine di giornale locale Kozarski vjesnik ( negli anni novanta una ruota di ingranaggio rilevante nel sistema della pulizia etnica) sono stati pubblicati per prima volta i nomi dei 102 bambini uccisi negli anni novanta a Prijedor.

Ecco perché è importante esserci il 31 maggio a Trento a Palazzo Thun alle ore 17.30. È un dovere denunciare l’ingiustizia. A Prijedor, a Trento e ovunque. Non possiamo permetterci di essere indifferenti. Ed è proprio questo che Emir Hodžić ci chiese 6 anni fa, da solo in piazza.

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