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Predrag Finci: alla fine, la felicità

È nelle librerie Il popolo del diluvio (Bottega Errante Edizioni, pag.153) di Predrag Finci; libro di racconti filosofici, tradotto da Alice Parmeggiani, con la prefazione di Maria Bettetini. Un commento di Božidar Stanišić, autore della postfazione

17/09/2018, Božidar Stanišić -

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Un libro di Finci, finalmente

Avevo insistito che la postfazione fosse scritta da Angelo Floramo, scrittore e intellettuale dotato della sempre più rara capacità di riconoscere scrittori e pensatori autentici. Il mio consiglio, come si vede, non è stato seguito. Floramo ha in due occasioni1, come curatore e traduttore, presentato Finci al pubblico italiano. Gli editori italiani sono rimasti sordi a questa eccezionale voce filosofica e letteraria, e ciò può facilmente ricordarci il modo in cui, per esempio, Boris Pahor “arrivò” in Italia attraverso la Francia e la Germania, benché non si fosse mai mosso da Trieste. Floramo è l’unico intellettuale italiano che, prima della fama francese e tedesca di Pahor, ne aveva determinato le dimensionieuropee.

Scrivo anche queste righe su Il popolo del diluvio di Predrag Finci consapevole di dover dichiarare di averla raccomandata all’editore esclusivamente in quanto suo lettore. Dico questo perché ritengo che gli escursionisti nella Città della Filosofia debbano rimanere ciò che sono, ossia solo dei curiosi che non celano il carattere temporaneo delle loro visite, né, soprattutto a se stessi, la scelta dei “souvenir” portati da quelle gite. Non so quanto grande sia la mia collezione di tali “souvenir”, ma so che nell’ultimo decennio si è arricchita anche delle opere di Predrag Finci. Se ai suoi gitanti la filosofia insegna anche l’imprudenza della sincerità, allora devo aggiungere: solo alcune delle numerose opere di Finci, sulle quale ritorno più volte. In quelle occasioni Imaginacija (Immaginazione), Osobno kao tekst (Il personale come testo), O Kolodvoru i putniku (Stazioni e viaggiatori), Umjetnost uništenog: estetika, rat i Holokaust (L’arte di ciò che è distrutto: l’estetica, la guerra e l’Olocausto) e, naturalmente, Tekst o tuđini (Il testo dell’esilio) sulla base del quale è stata realizzata l’edizione italiana de Il popolo del diluvio, mi appaiono soprattutto come opere posizionate sulla verticale della filosofia occidentale nelle quali il narrato, da Platone a oggi, opera come una sorta di essenziale trasmissione di punti di vista sui fondamentali problemi filosofici.

È una verticale che non solo attraversa la Città della Filosofia ma è anche in costante osmosi con la Città dell’Arte. In tale contesto considero Finci come vicino soprattutto a Benjamin, ma pure ai pensatori per me sempre interessanti come Hannah Arendt, Karel Kosík e Leszek Kołakowski, per i quali il saggio narrativo è sempre stato un’affine e naturale forma di discorso filosofico.

Una ricerca dell’essenziale

So che dopo il suo arrivo a Londra da Sarajevo, un quarto di secolo fa, per dieci anni Finci non scrisse. Poi – all’improvviso? – ruppe il ghiaccio del silenzio e si mise a scrivere, un libro dietro l’altro. Egli, immigrato nel regno dell’esilio, inutilizzabile per qualsiasi lavoro manuale e, all’inizio di quel suo percorso di immigrato, inutile anche a se stesso (che cosa cerca un filosofo, uno studioso di estetica, dentro un mondo che richiede lavoratori manuali e, in generale, persone utili?), troverà il suo reale esilio nei libri che scrive.

Solo i grandi autori di opere sull’esilio sono capaci di evitare le lamentazioni sulla malasorte. L’esilio è anche per Finci una condizione umana. Nessuno di essi – e lo suppongo a giudicare dalle sue opere che ho letto – allo scopo di arricchire la propria bibliografia, ma come atto di resistenza contro il nulla, contrapponendo gli argomenti del Senso alle molteplici forme dell’Insensatezza. Nella sua resistenza Finci è spietato, sia quando afferma che neppure l’Io è ciò che è, ma è l’Io del racconto che è racconto dell’Io, racconto in cui la personale esperienza si fonde con quella dell’Altro, sia nei confronti del citato cliché.

La sua esperienza è condizionata tanto dalla dissoluzione di un paese che non c’è più sulla carta politica del mondo, assieme al paradosso dell’esistenza politica della Bosnia e dell’evidente sfacelo dei suoi valori sociali e culturali, quanto dall’esperienza di immigrato in una grande, ma oggi solo sulla carta, ex forza coloniale. Ma ogni tentativo di lettura de Il popolo del diluvio questo come frutto di un solo concreto momento sociale e storico, rispecchierebbe invece la selettività con cui il lettore cerca di sfuggire a un importante e imprescindibiledato di fatto: l’espatrio di centinaia di migliaia di ex jugoslavi oggi è solo una particella sulla mappa delle migrazioni, per le quali il logoro attributo bibliche è un falso sostituto per l’enormità del processo di migrazioni da Sud a Nord. Quindi non dimentichiamo che i fatti parlano sempre la propria lingua, a dispetto della sordità, dell’indifferenza o della memoria selettiva dei loro osservatori o ascoltatori.

Chi leggerà quest’opera, troverà meno interrogativi che risposte. Le domande sono connaturate al letterato, le risposte, al filosofo. E le risposte di Finci, su partenza, libertà, asilo, ritorno, arte, nostalgia, libri, sono sì definizioni, ma di natura aperta, e quindi permettono al lettore di completare la scrittura di questo libro. Che è anche uno scritto di ricerca dell’essenziale in Biblioteca, indipendentemente dallo scetticismo dell’autore.

Dalle valli del dolore al respiro

“È un partire e tornare, questo romanzo filosofico di Predrag Finci, ma è anche un emergere dalle nebbie della perdita al tepore della felicità. È ciò che più colpisce di queste pagine in cui le parole fluiscono senza interruzioni: alla fine, c’è la felicità. Laggiù, o lassù, la luce. Non quella che abbaglia, non quella che stordisce, la fiamma tranquilla che scalda senza rumore e ormai nessuno potrà più spegnere. Anche il lettore si sente trascinato per le valli del dolore e sospira, per poi respirare nell’ultimo capitolo (…) In esilio come a casa, coglie le piccole cose che la vita regala, può essere felice. Anche di quei ricordi che tornano a visitarlo: ora non pretendono più di essere vissuti identici, ora sono solo luci, doni che rallegrano. La nostalgia non è più “dolore del ritorno”, è serena convivenza con attimi di passato. E qui davvero il cerchio si chiude”, dice Maria Bettetini nella sua ottima prefazione a quest’opera.

Libro di parole in disuso?

Nel nostro oggi, in cui il Dizionario e la Biblioteca si tirano indietro davanti ad aggressivi mezzi tecnologici e virtuali, mentre il breve e irrefutabilmente funzionale messaggio di natura politica, economica, sociale e culturale domina vantaggiosamente la coscienza di milioni, come e dove situare Il popolo del diluvio? In una sezione della Biblioteca indicata dal catalogo come: libri di parole in disuso? Dopo quell’indicazione seguirebbe, fra parentesi: opere non soggette alla dominazi

one delle parole usate dell’attuale analfabetismo funzionale in cui l’ethos non è più fondamentale dei variabili fenomeni meteorologici.

Comunque, tutti noi, anche senza ricordare il motto di un’antica cronaca di Sarajevo, sappiamo che solo quanto è scritto rimane, in qualsiasi modo sia stato redatto – basato sui fatti ovvero solo come racconto soggettivo dell’esperienza della partenza o della fuga dal proprio paese e dell’arrivo in un altro, della necessità di apprendere la sua lingua, di comprendere la sua cultura, le tradizioni e i costumi. E ciò che so, parlando quindi solo a mio nome e sulla base di esperienze dirette e indirette, è che davvero le persone costrette a emigrare non sono importanti per coloro che non lo sono. Sto forse negando qui tutte le esperienze positive e gli esempi di solidarietà, innanzi tutto nel paese del mio rifugio e, in generale, in Europa e nel mondo? Dio me ne guardi, per niente affatto! Voglio solo dire anche qualcosa di innegabile dal punto di vista statistico: la stragrande maggioranza degli indigeni reagisce all’immigrazione con ostilità o indifferenza. Quando mi assalgono strani pensieri su questo “tema”, talvolta immagino Dio come un medico di famiglia, che a questi pazienti comunica la diagnosi: “Siete assolutamente sani, il vostro cuore batte normalmente ma le vostre anime sono congelate!”.

Non casualmente, all’inizio di quest’opera di Finci, strutturata in tre racconti (Il viaggiatore; Il ritorno; In luogo di un epilogo, felicità) troviamo un lago. L’uomo nell’immagine del lago è l’autore di questo libro. Non cerchiamolo in una facile pseudoanalogia, quel lago è solo suo, tanto che forse più lacustre di così non può essere. E diventa anche nostro se ci immergiamo nei nostri pensieri sulla sua sponda, non soli, ma in compagnia dei nostri interrogativi.

Finisco questo scritto con la sommessa speranza che Il popolo del diluvio tradotto in italiano possa aprire la strada all’interesse per questo autore in un più vasto ambito europeo. I pensatori e gli artisti che sono consapevoli del loro ruolo limitato nel mondo, ma anche fiduciosi della necessità di opporsi all’Insensatezza meritano da parte dei lettori una più ampia e profonda attenzione.

……………….

Frammenti

In basso c’era il lago. E forse non c’era, ma era calmo, abissale, non gli vedevi il fondo. Nella mattinata invernale, dalla casa, lungo il fiume, fino alla diga. Con la punta della penna scorrevo sulla superficie ghiacciata, fino a ciò che non è più. Mais où sont les neiges d’antan? Cosa dimostra che ciò che avvenne è stato davvero? E che ciò che provavamo esisteva? Dov’è il tempo che ci ha abbandonati? (…)

E soprattutto in questo scritto, screziato di parole altrui, parole incorniciate in racconti che ho letto oppure sentito, in questa pallida replica, in questa sempre più debole eco di Joyce, Conrad, Huxley, Borges, Calderon, Kafka, Melville, Dostoevskij, Gogol’, Tolstoj…, in questo scritto, in cui richiamo alla mente quanto ho letto tanto tempo fa, ripeto dopo averlo riscoperto sulla mia pelle ciò che mi è stato raccontato, e combino, adatto, inserisco la mia situazione in una nuova, dipingendola secondo motivi predeterminati, rappresento una situazione altrui come fosse mia, includo la parola dell’Altro nella mia, integro la mia nell’altrui (…)

Se avessi mai scritto una poesia sull’esilio, avrei messo per iscritto che mia madre è morta, che al suo funerale non sono stato, che mio figlio si è sposato, che al matrimonio non son potuto andare. Non ho scritto una poesia, né un testo, ma con questo scritto ho solo voluto confermare che la vita (non è stata solo apparenza: non c’è fine…) si presenta sempre da capo. Si presenta anche attraverso il personale senso di felicità, senso che è un’antitesi dell’angoscia dell’esilio, si presenta attraverso la felicità con cui si conferma la fede nel valore della vita. Si presenta anche attraverso la parola, in cui può esserci tutto, quindi anche la realizzazione della speranza e della felicità, attraverso la scrittura che è anche e solo vita, felicità della vita e felicità per tutta la vita. Si presenta attraverso qualsiasi forma di esistenza in cui la speranza non si sia arresa. E non può soccombere quando si comprende che tutte le perdite non sono niente di fronte a una vita restituita, quando si comprende che l’evento più grande della vita è l’evento della vita, che il maggior bene della vita è la vita stessa. In parole povere: gli esseri superiori aspirano alla spiritualità, quelli terra terra ai valori materiali. E gli schiavi delle cose materiali e le vanità ferite non sono mai liberi né in se stessi né per gli altri, per non parlare della soddisfazione personale. A differenza di loro, felice è colui che anche dopo tutte le avversità e le perdite sa provare nuovamente la felicità dell’esistenza, colui che nella vita aspira alla vita.


1 Parole in esilio tra il sonno e la voce. Spunti per una rapsodia balcanica. Con interventi di Predrag Finci e Giacomo Scotti, Paginazero. Letterature di frontiera, (V), 2004, pp., 21-37; Il libro dell’esilio – Quasi un romanzo, Predrag Finci tra l’esilio e la filosofia, eSamizdat 2007 (V)3, pp.319-326.

Incontri con l’autore

– Giovedì 20 settembre ore 10.30 – Pordenone, Palazzo della Camera di Commercio, Sala Convegni all’interno del Festival Pordenonelegge con Gigi Riva, Predrag Finci, Goran Vojnović

– Giovedì 20 settembre ore 18:00 – Trieste, Circolo della Stampa di Triestecon Pierluigi Sabatti, Božidar Stanišić,  Alice Parmeggiani, Predrag Finci 

– Venerdì 21 settembre ore 18:00 – Udine, Libreria Friuli con Božidar Stanišić,  Predrag Finci

– Venerdì 21 settembre ore 20:30 – San Daniele del Friuli, Biblioteca Guarneriana con Božidar Stanišić,  Predrag Finci, Angelo Floramo

– Sabato 22 settembre Tarcento ore 18:00 – CICT (via Roma 26) con Predrag Finci, Božidar Stanišić, Lucio Tollis

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