Posticipato il ritorno dei serbi in Kosovo
Il rientro in massa previsto per sabato 21 settembre è stato posticipato per ragioni di sicurezza. Non sono mancati dissidi e contrasti tra le organizzazioni che si occupano del rientro, che si accusano vicendevolmente di aver fatto fallire l’azione.
Il tentativo di ritorno in massa in IDPs serbo kosovari dall’intraprendere il ritorno previsto. "È troppo pericoloso e abbiamo informazioni circa provocazioni pianificate di estremisti albanesi provenienti dai confini del Kosovo", sentenzia il comunicato ufficiale. La cancellazione della manifestazione è stata annunciata nel notiziario principale di RTS, venerdì alle 7.30, con grande insoddisfazione di una parte di chi sarebbe dovuto rientrare. Nel frattempo però, un gruppo di circa 100 IDPs tra i più determinati, principalmente dell’area di Niš, hanno deciso di auto organizzarsi per il rientro in Kosovo. Il gruppo è stato fermato dalla polizia dell’UNMIK a Merdare, vicino al confine, e gli è stato impedito di entrare nella provincia. Il gruppo dei leader ha accusato Miroslav Solević, presidente del Comitato per il ritorno in Kosovo, di aver posticipato erroneamente l’azione. Dušica Mirković, membro del gruppo dei leader ed ex presidente del Comitato regionale per il ritorno, ha detto "la pazienza è quasi finita e presto gli IDPs non seguiranno alcun leader ma si organizzeranno da soli".
Il principale organizzatore del 1253 rientro in massa dei serbi kosovari, Miroslav Solević ha detto al quotidiano locale "Narodne Novine" che ci sarà una sessione del Consiglio esecutivo dell’Associazione "Ritorno" già questa settimana. Il meeting si sforzerà di raggiungere qualche conclusione sugli ulteriori passi da fare, dal momento che molti non hanno compreso il perché sabato il ritorno non c’è stato. Egli ha definito la situazione come "seria" e ha aggiunto che molta gente non vuole sentire parlare di ulteriori slittamenti. Solević ha inoltre concluso dicendo che ci sono stati veramente dei problemi legati alla sicurezza che hanno causato la posticipazione del rientro e ha insistito dicendo che "ci sono altri fatti che per ora non possono essere resi pubblici".
Il Commissario jugolavo per i rifugiati Sandra Rašković Ivić ha detto lunedì di essere insoddisfatta della decisione del governo di bloccare l’adozione della Strategia nazionale per risolvere i problemi dei rifugiati. "Quando è venuto fuori che abbiamo bisogno di 300 milioni di dinari per risolvere permanentemente i problemi dei rifugiati, il progetto è stato bloccato". Dal momento che questo documento è stato adottato dal Parlamento, il governo non ha il diritto di impedirne la sua implementazione, ha aggiunto. La Rašković si è lamentata inoltre del fatto di non essere stata in grado di contattare il premier Djindjić nei mesi scorsi, cosa che non si è verificata con altri politici, incluso il presidente Koštunica. Anche sul mancato rientro in Kosovo, la Ivić ha detto che crede sia stato un "atto di disperazione", ma ha aggiunto che il programma di rientro individuale dell’UNMIK è attualmente l’unica opzione possibile. "Un abitante su dieci in Serbia è un IDP" ha detto la Ivić, "nel paese ci sono circa 700.000 persone in queste condizioni, 35.000 delle quali vive in centri collettivi. Il 52% sono in Vojvodina, il 16% nella Serbia centrale, le restanti vivono a Belgrado. La registrazione dello scorso anno ha mostrato che il 64% desidera rimanere in Serbia, il 6% desidera ritornare mentre il resto è indeciso (circa il 30%). L’integrazione locale è ancora scarsa e a questo riguardo parlare di catastrofe umanitaria sarebbe il temine migliore da utilizzare per la Serbia di oggi. Più della metà dei rifugiati dalla Bosnia ha recuperato la proprietà, ma in Croazia la percentuale è ancora un modesto 17%" ha concluso la Ivić.
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