Polli turchi
Tre vittime e dodici ricoverati con prognosi certa sono il bilancio provvisorio del nuovo attacco dell’influenza aviaria in Turchia. La situazione nelle province orientali dopo la morte dei tre fratelli Kocyigit, le critiche al governo e le reazioni della popolazione. Più di 100.000 gli animali già abbattuti. Il punto della situazione dal nostro corrispondente
La Turchia da alcuni giorni è vittima di un nuovo attacco del virus dell’influenza aviaria. A differenza di quanto accaduto nello scorso ottobre, questa nuova apparizione del virus H5N1 ha però assunto caratteri molto aggressivi, trasmettendosi dagli animali alle persone. Il bilancio provvisorio parla di tre vittime e di dodici persone ricoverate con diagnosi certa. Un centinaio invece quelle per cui si attendono i risultati degli esami di laboratorio.
La preoccupazione per un’ulteriore estensione del contagio si è diffusa anche nei paesi vicini. L’Iran ha deciso di chiudere il posto di frontiera di Esendere, la Russia ha avvertito i suoi cittadini di non mettersi in viaggio per la Turchia e sei paesi dell’Unione Europa hanno bloccato le importazioni di pollame dalla Turchia
Le prime avvisaglie della crisi si sono avute nella notte di Capodanno a Dogubeyazit, una cittadina stretta tra il monte Ararat e la frontiera iraniana, fino ad oggi nota soprattutto per il palazzo di Ishak Pasha. I quattro figli della famiglia Kocyigit sono stati ricoverati con il sospetto di influenza aviaria. Si erano sentiti male poco dopo aver mangiato le carni di uno dei polli trovato morto nel cortile di casa. Uno dei fratellini, Mehmet Ali di 14 anni, è morto prima che fossero resi noti i risultati delle analisi effettuate nell’Istituto di Medicina di Ankara.
E proprio sui risultati delle analisi per alcuni giorni ha aleggiato un clima di incertezza e confusione. In un primo tempo i portavoce del governo e delle autorità sanitarie nazionali hanno parlato di polmonite, escludendo l’influenza aviaria come causa di morte. Una spiegazione messa però in dubbio successivamente dai medici di Dogubeyazit, che hanno fatto riferimento ad un virus sconosciuto. Solamente il 4 gennaio il ministro della Sanità Akdag ha ufficialmente dichiarato che i fratelli Kocyigit erano stati colpiti dall’influenza aviaria e non rispondevano alle cure. Nelle ore successive sono morte altri due sorelle di Mehmet, Hulya di 11 e Fatma di 14 anni.
L’incertezza ed il ritardo con cui le autorità hanno affrontato l’inizio della crisi hanno provocato critiche feroci che hanno portato il ministro Cicek, portavoce del governo, a chiedere scusa alla popolazione. Intanto si moltiplicava il numero di persone che si presentava negli ospedali delle città orientali del paese, denunciando i sintomi dell’influenza aviaria. Con il passare dei giorni, le segnalazioni della presenza del virus si sono moltiplicate in altre parti del paese. Solo ad Ankara negli ultimi due giorni sono stati ricoverati 5 bambini nei quali è stata riscontrata la presenza del virus, anche se non presentano i sintomi della malattia. Ad Istanbul invece il virus è stato individuato in alcuni animali, mentre i test effettuati sui membri di una famiglia per i quali si sospettava il contagio hanno dato esito negativo.
Il problema principale in questa fase della crisi è la difficoltà di controllarne l’estensione, eliminando gli animali contagiati o sospetti. Un problema che nasce dalle caratteristiche con cui si è manifestato questo attacco del virus. Mentre lo scorso ottobre il virus si era manifestato nella parte occidentale del paese in un allevamento di tacchini, in condizioni che in qualche modo potevano favorirne il controllo e l’isolamento, l’attacco di questi giorni ha preso il via in una parte del paese che presenta condizioni profondamente diverse. Nelle regioni orientali gli allevamenti di pollame su scala industriale sono praticamente inesistenti. Largamente diffuso è invece un allevamento di sussistenza. Praticamente tutte le famiglie allevano nel cortile di casa polli, tacchini, anatre ed oche. In una situazione economica di forte precarietà, gli animali da cortile rappresentano spesso una fonte di sostentamento insostituibile. Non solo vengono consumate le carni degli animali, ma anche la vendita quotidiana delle uova garantisce delle entrate importanti. Gli animali da cortile sono per molte famiglie della regione "il capitale principale", come ha sagacemente osservato un contadino intervistato dai giornalisti. La famiglia Kocyigit costituisce in scala ridotta un campione rappresentativo delle condizioni in cui vive gran parte della popolazione della regione: il capo famiglia, Zeki, è disoccupato, e a provvedere al sostentamento della famiglia composta di 6 persone di fatto era il quattordicenne Ali, la prima vittima di questa epidemia. Ogni mattina Ali – come ha raccontato il padre – prima di andare a scuola preparava a casa con una macchina rudimentale 30 confezioni di zucchero filato che vendeva per la strada, riuscendo a guadagnare 3 euro al giorno.
In queste condizioni appare comprensibile la reticenza che spesso i contadini mostrano nel consegnare i loro animali per l’abbattimento. Molti di loro non credono di poter avere il rimborso promesso dallo stato per gli animali abbattuti – 5 nuove lire per un pollo (3 euro circa), 20 (13 euro) per un tacchino.
Secondo i dati ufficiali, nella zona di Dogubeyazit sarebbero stati abbattuti fino a questo momento circa 13.000 volatili, un cifra ritenuta però insufficiente. Anche il sindaco della città, la signora Mukaddes Kubilay, si sta impegnando direttamente nell’opera di sensibilizzazione della popolazione passando casa per casa e parlando con i suoi concittadini. Accanto alla resistenza di alcuni, però, c’è la disponibilità a collaborare di molti che si presentano con i loro animali di fronte agli uffici delle autorità.
Le autorità hanno programmato per la giornata di lunedì l’inizio di una sistematica raccolta degli animali nella città, da estendere progressivamente agli 80 villaggi della regione. Nell’operazione sono coinvolte squadre del ministero dell’Agricoltura coadiuvate dai militari. La vastità del territorio, le difficoltà di comunicazione, la potenziale ampiezza dell’epidemia e le difficili condizioni climatiche – la neve e temperature che nella regione la notte raggiungono anche i 30 gradi sotto zero – sono fattori che contribuiscono a rendere più difficili le operazioni.
Con il propagarsi del contagio, il problema della raccolta e dell’abbattimento degli animali ha ormai però assunto una dimensione nazionale cessando di essere un "problema orientale". Ormai è salito a 13 il numero delle province nelle quali sono stati individuati animali contagiati dal virus.
Sembra ormai accertato come sia il contatto diretto con animali infetti ad aver provocato i contagi registrati finora. Dagli schermi televisivi continuano però a rimbalzare immagini di bambini che giocano con i polli nei cortili oppure consegnano a mani nude quelli morti. In molti mercati dell’est, a Batman e Diyarbakir, nonostante il divieto emanato dalle autorità locali, si continuano a vendere animali vivi. Spesso, dopo l’acquisto, i polli vengono spennati da ragazzini che in questo modo riescono a guadagnare qualcosa. "Li spenniamo perchè siamo poveri" è la risposta più frequente alle domande dei giornalisti. Anche i membri della commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in visita in questi giorni nella regione di Van, hanno messo in guardia le autorità dal pericolo rappresentato da questa situazione: "Gran parte della popolazione continua ad avere contatti con i volatili. Una situazione che potrebbe portare ad una diffusione dell’epidemie ed a conseguenze gravi".
Il governo, di fronte alle critiche che lo accusano di non fare abbastanza, si difende ricordando come la prima circolare inviata alla prefetture con la quale il ministero dell’agricoltura metteva in guardia dai rischi dell’influenza aviaria risale addirittura allo scorso maggio. Successivamente, in ottobre, una nuova circolare chiedeva di "ostacolare la vendita di animali vivi nei mercati" e si sottolineava la necessità che le zone umide, meta degli uccelli migratori, fossero tenute costantemente sotto controllo. Le immagini di questi giorni mostrano però come queste indicazioni siano rimaste spesso solo sulla carta.
Con il passare delle ore l’azione di contrasto sembra però guadagnare in coordinamento ed efficacia. Anche la commissione dell’OMS ha riconosciuto come "in questa fase la Turchia si sta muovendo nella giusta direzione nella lotta all’epidemia".
In molte province del paese, anche in quelle in cui il virus non si è ancora manifestato, sono cominciate le operazioni di raccolta e di abbattimento, anche con la creazione di zone sottoposte a quarantena o a "controllo speciale". Secondo i dati ufficiali, fino ad ora sono stati abbattuti più di 100.000 animali in tutto il paese.
Ad Ankara ed Istanbul sono stati attrezzati ospedali verso i quali indirizzare i casi sospetti. Il ministero dell’Agricoltura e quello della Sanità hanno sospeso tutte le ferie del personale previste per la Festa del Sacrificio (Kurban Bayram), che comincia martedi. Si moltiplicano alle televisioni gli appelli e gli spot pubblicitari nei quali si chiede alla popolazione di collaborare alle operazioni di abbattimento ed evitare contatti diretti con il pollame. Sul versante strettamente sanitario, il ministro della Sanità in queste ore in visita nella regione di Van, ha dichiarato che gli ospedali possiedono sufficienti scorte di Tamiflu per fronteggiare l’emergenza. La Roche ha inviato 100.000 dosi del farmaco – dopo la crisi dell’ottobre scorso la Turchia ha ordinato 2.500.000 confezioni – e confezioni di Tamiflu sono state inviate anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’attenzione è rivolta ora a quanto accadrà nei prossimi giorni. A destare preoccupazione è l’atteso arrivo di uccelli migratori e la possibilità che essi favoriscano la diffusione del virus. I cieli della Turchia infatti sono sulle più importanti rotte migratorie dei volatili che sfuggono ai freddi della Russia. "Nel mese di febbraio cominceranno grandi ondate migratorie, sarà il periodo più pericoloso, dovremo essere molto attenti e scrupolosi" ha avvertito il professor Adizel, biologo all’università di Van.
Infine, due notizie giunte nelle ultime ore hanno contribuito ad alleggerire il quadro della situazione: la prima riguarda il piccolo Hasan, il minore dei fratelli Kocyigit, che nella serata di lunedì è stato dimesso dall’ospedale di Dogubeyazit ed ha raggiunto i genitori. La seconda arriva dai laboratori londinesi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: i risultati dei test effettuati sui campioni inviati dalla Turchia hanno confermato che, per il momento, il virus H5N1 individuato nel paese non appartiene ad un ceppo in grado di trasmettersi da uomo a uomo.
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