Piccola, grande vittoria
Dopo una lunga odissea giudiziaria, sedici giornalisti macedoni hanno vinto la loro battaglia giudiziaria contro lo stato, dopo essere stati sottoposti illegalmente a intercettazioni telefoniche. Un precedente importante per la protezione dei diritti umani e per la libertà d’informazione
Una piccola notizia, forse, ma al tempo stesso un grande passo avanti per la democrazia.
Dopo una lunga odissea giudiziaria, il mese scorso sedici giornalisti macedoni hanno vinto la loro battaglia legale contro lo stato, dopo aver denunciato di essere stati vittime di intercettazioni telefoniche sistematiche e organizzate.
Alla fine di sette anni di battaglie, combattute nei corridoi impolverati del sistema giudiziario macedone, con vari giudici che hanno lavorato al caso per poi abbandonarlo, la corte alla fine ha dato ragione ai giornalisti, che si sono visti riconoscere un risarcimento di seimila euro a testa per il danno morale ricevuto.
"Questo non è abbastanza", hanno fatto però sapere i reporter, annunciando di voler ricorrere in appello.
Il risarcimento può sembrare modesto, ma il verdetto, primo nel suo genere in Macedonia, costituisce un precedente importante. Se viene violata la privacy di un cittadino, pratica che sembra essere applicata su vasta scala nel paese, questi può recarsi di fronte ad un giudice e chiedere protezione.
"La cosa più importante è che il caso sia stato chiuso, e che a chi ha fatto ricorso sia stato riconosciuto un risarcimento, evento prima sconosciuto nella cornice giudiziaria macedone", ha dichiarato Dimitar Dangov, legale dei giornalisti, aggiungendo poi: "credo comunque che questo risarcimento dovrebbe essere di maggiore entità, e quindi faremo appello".
Nonostante il fatto che la sentenza sia stata largamente inaspettata, e che il caso riguardasse molti nomi importanti del giornalismo macedone, la notizia non ha raggiunto le prime pagine dei giornali, limitandosi ad essere riportata in modo piuttosto dimesso. Forse i giornalisti coinvolti hanno voluto evitare troppe fanfare e paroloni per raccontare quella che per loro è stata, almeno simbolicamente, una grande vittoria.
Lo scandalo delle intercettazioni venne alla luce alla fine del 2000, e fu battezzato, con chiaro riferimento a suggestioni orwelliane "Il grande orecchio". Fu il presidente Branko Cervenkovski, allora leader della maggiore forza di opposizione, il Partito Socialdemocratico (SDSM) che, durante una conferenza stampa, mostrò le trascrizioni di conversazioni telefoniche di più di cento tra politici, imprenditori e giornalisti, raccontando di averle ricevute da una fonte anonima, che è riamasta non identificata fino ad oggi.
Il conflitto interetnico del 2001 mise in ombra lo scandalo, ma questo tornò al centro dell’attenzione pubblica nel 2003, quando la procura accusò l’ex ministro degli Interni Dosta Dimovska e il capo del personale tecnico delle operazioni dello stesso ministero, Ljubomir Cvetkov. Secondo l’accusa era stata proprio la Dimovska a ordinare le intercettazioni. Le perizie tecniche accertarono che in Macedonia tali intercettazioni potevano essere effettuate solamente da due strutture: il ministero degli Interni e l’operatore di telefonia pubblica.
Non appena il processo fu iniziato, il presidente Boris Trajkovski, con una decisione che scioccò l’opinione pubblica, decise di utilizzare i propri poteri costituzionali per bloccare la procedura e garantire l’impunità agli accusati.
Trajkovski si giustificò sostenendo di proteggere onesti ufficiali dell’intelligence dalla persecuzione politica, e di disinnescare al tempo stesso ogni lotta per il controllo delle stesse strutture della sicurezza. Secondo Trajkovski, poi, il coinvolgimento della Dimovska era di carattere politico, più che penale.
Il processo veniva così fermato, ma i giornalisti decisero di dare vita ad una causa civile. Ci sono voluti sette anni per giungere ad un verdetto di primo grado, e nel frattempo i giornalisti hanno deciso di fare ricorso anche alla Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo.
E’ stato il giudice Gordana Jakova ad emettere la sentenza: ognuno dei giornalisti ha diritto a seimila euro di risarcimento per i danni morali subiti e le sofferenze emotive patite. I tre giudici che hanno avuto in mano il caso prima della Jakova, lo avevano poi abbandonato prima di giungere ad un verdetto.
Il risarcimento dovrà essere pagato dal ministero degli Interni e dall’operatore di telefonia, in quanto unici soggetti in grado di effettuare le intercettazioni.
"La corte dovrebbe riconsiderare il caso tenendo conto delle proporzioni", ha affermato Dijana Mladenovska, reporter del quotidiano "Spic". "Se il presidente Crvenkovski e Hari Kostov ex primo ministro e uno dei più influenti banchieri nel paese, ndr. hanno ottenuto 25mila euro, dopo un dibattimento molto costoso, a causa di un singolo articolo di giornale, come potremmo accettare un risarcimento così modesto?"
Crvenkovski e Kostov avevano portato in giudizio il settimanale "Focus" per un articolo in cui si sosteneva che avessero conti segreti all’estero. "Focus" è stato rapidamente condannato per diffamazione, e costretto a pagare i danni.
"Le multe solitamente comminate ai giornalisti sono in genere tre volte più alte dei risarcimenti che ci vengono assegnati per essere stati sottoposti ad intercettazioni illegali", è il commento amaro della Mladenovska.
Anche in presenza di un verdetto, il nocciolo della questione relativa allo scandalo del "grande orecchio" rimane avvolto nel mistero. Alcune delle prove fondamentali usate in aula non possono infatti essere mostrate al pubblico, visto che sono considerate segreto di stato.
Nel complesso, la senteza che giunge alla fine di questo processo è molto più importante di quanto si pensi. Mostra che si può fare qualcosa e, nel lungo periodo, i suoi effetti si faranno sentire. E’ un grande passo in avanti nella difesa dei diritti civili, e chi fino a oggi ha ordinato o effettuato intercettazioni con la certezza di impunità, adesso avrà un motivo in più per riflettere.
Questa è poi una vittoria per la libertà dei media. Nonostante il fatto che in Macedonia il numero degli organi di informazione sia cresciuto a dismisura in questi anni (oggi ci sono 5 tv nazionali e 50 locali, 160 radio e 20 quotidiani) i media in Macedonia non sono ritenuti liberi. Nel suo rapporto annuale per il 2007, Freedom House posiziona i media macedoni come "parzialmente liberi", voto assegnato anche a quelli di Bosnia. Nella regione, solo i media di Albania e Turchia sono considerati meno liberi di quelli macedoni.
Il giudizio severo di Freedom House è basato su diversi fattori: estrema vicinanza dei media privati con interessi politici ed economici, controllo governativo sui media pubblici, pressioni sui giornalisti che hanno portato addirittura ad un caso di arresto (quello di Zoran Bozinovski).
Secondo Freedom House la grande densità di organi di informazione, date le piccole dimensioni della Macedonia, finisce per determinare una debole base economica e un basso livello di professionalità, ed è quindi un fattore di debolezza piuttosto che di vitalità.
"L’analisi fatta da Freedom House delinea un quadro che conosciamo bene. Le forti connessioni tra media e mondo politico ed economico restano forti e si perpetuano", ha dichiarato Robert Popovski, presidente dell’Associazione Macedone dei Giornalisti.
"Il problema più grave riguarda la proprietà dei mezzi di informazione", è stato il commento di Erol Rizaov, caporedattore del quotidiano "Utrinski Vesnik". "Di cinque canali a diffusione nazionale, tre sono controllati dai vertici di partiti politici, uno da una compagnia petrolifera e l’ultimo è quello di un servizio pubblico ancora lontano da essere riformato".
Per quanto riguarda la stampa, i tre principali quotidiani sono invece proprietà del potente gruppo tedesco "Waz".
Sono tempi difficili per il giornalismo macedone, ma anche tempi di speranza. Nel giorno della sentenza del processo "Il grande orecchio", anche se con spirito di moderazione, c’è stato di che festeggiare.
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