Petrolio in Adriatico: la Croazia come la Norvegia?
Un’azienda norvegese avrebbe confermato l’esistenza di ingenti giacimenti di petrolio e gas lungo le coste croate. All’euforia dei politici fa riscontro la cautela degli esperti e i timori degli ambientalisti
Ivan Vrdoljak, ministro dell’Economia croato, la scorsa settimana a Spalato ha euforicamente annunciato che a breve la Croazia potrebbe diventare una “piccola Norvegia”, ovvero “il gigante energetico della regione, se non di tutta l’Europa”. La dichiarazione è arrivata dopo cinque mesi di ricerche nel fondo marino dell’Adriatico da parte dell’azienda norvegese Spectrum, che ha reso noto che i risultati della ricerca indicano la presenza di una grande quantità di giacimenti di gas e di petrolio lungo tutta la costa croata. Questa notizia ha infuso un’ondata di ottimismo nonostante la ferma cautela dei norvegesi sul fatto che è ancora troppo presto per parlare di quantità di gas e di petrolio e del valore dei giacimenti scoperti.
La norvegese Spectrum – la cui nave Seabird Northern Explorer è equipaggiata delle più sofisticate attrezzature per le registrazioni sottomarine in 2D e 3D – è l’azienda leader mondiale del settore delle registrazioni sismiche e sulla sua lista di referenze compaiono le più grandi compagnie petrolifere del mondo.
Concessioni
Rune Eng, il direttore della Spectrum, è convinto che i risultati ottenuti, così come la bassa profondità dell’Adriatico – cosa che rende più semplice lo sfruttamento dei giacimenti e abbassa molto i costi di estrazione rispetto alle trivellazioni e al pompaggio su zone con grandi profondità – saranno particolarmente attraenti per i grandi player internazionali. Questo è ciò che spera anche il governo croato, il quale ha annunciato che in meno di tre mesi sarà emesso il bando con cui verranno dati in concessione i giacimenti di petrolio sottomarino.
Una ventina di compagnie hanno già espresso interesse per lo sfruttamento del
gas e del petrolio presente in Adriatico. Alla Croazia ora spetta il compito di suddividere in blocchi una fascia di 12.000 chilometri quadrati, che verranno offerti in concessione per più anni ai vari interessati.
I norvegesi – il cui lavoro si stima frutti loro circa 12 milioni di dollari – guadagneranno sulla documentazione ottenuta con la ricerca vendendola alle compagnie interessate che una volta presa visione delle ricerche decideranno se partecipare al bando per la concessione. I ricavi ottenuti dalla vendita dei primi cinque pacchetti di documentazione appartengono esclusivamente alla Spectrum, mentre il denaro ricavato dalle vendite successive verrà diviso con lo stato croato, nell’ordine del cinquanta percento ciascuno.
Le stime
La compagnia petrolifera croata INA (se si può ancora chiamarla così dal momento che l’ungherese MOL possiede tutti i diritti di amministrazione di questa azienda) che già in passato aveva fatto indagini sul potenziale dei giacimenti petroliferi dell’Adriatico, ha pubblicato alcuni dati secondo i quali sul fondo marino potrebbero trovarsi circa 2,8 miliardi di barili (di gas e petrolio).
I norvegesi non hanno pubblicato numeri, pertanto non si sa se le stime di INA sono troppo basse o troppo alte. Tuttavia, se 2,8 miliardi di barili sono la cifra verosimile che potrebbe giacere sul fondo del mare Adriatico, si tratterebbe certamente di un’enorme ricchezza. Per fare un confronto: le riserve di petrolio della Norvegia sono stimate in 6,8 miliardi di barili; quelle attuali della Croazia sono solo 80 milioni di barili, mentre INA in tutta la sua storia dai giacimenti in Croazia ha estratto solo 184 milioni di tonnellate di equivalenti al petrolio (gas e petrolio). Con l’attuale produzione di petrolio e gas la Croazia copre circa il 30 percento del proprio fabbisogno.
Cautela
A differenza dei politici, gli esperti di petrolio nello loro stime sono stati molto più cauti. Non solo per quel che riguarda le possibili quantità, ma anche per quanto concerne il tempo che servirà prima che si possa iniziare lo sfruttamento del gas e del petrolio. Così per esempio Mirko Zelić dell’INA avverte che delle potenziali quantità menzionate si potrà sfruttare solo tra il 20 e il 40% delle riserve. Persino se fosse così, si tratterebbe pur sempre di oltre un miliardo di barili. Se il prezzo del petrolio sul mercato si aggira attorno ai 100 dollari per barile, il petrolio adriatico varrebbe almeno 100 miliardi di dollari.
Per quel che riguarda invece l’inizio dello sfruttamento, nel migliore dei casi potrebbe partire tra una decina di anni. La compagnia che sulla base dei dati offerti dai norvegesi decidesse di prendere in concessione i giacimenti, dovrà condurre un’ulteriore ricerca della durata dai 3 a i 5 anni, dopodiché le serviranno altrettanti anni per installare le piattaforme e le trivelle per raggiungere i giacimenti.
Come la Norvegia?
Ancora non è noto il modello secondo il quale la Croazia concederà lo sfruttamento del gas e del petrolio. Il più probabile sembra quello adottato dalla maggior parte dei paesi: una percentuale sulle quantità prodotte, invece del pagamento unico per l’acquisto del giacimento, come è stato adottato dagli Stati Uniti. Un modello interessante è quello adottato dalla Norvegia, paese che il ministro Vrdoljak ha già paragonato alla Croazia. Il paese scandinavo dai concessionari riceve persino il 78% del valore del petrolio estratto, ma nella stessa proporzione copre alle compagnie le spese che hanno sostenuto prima dell’inizio della produzione. Spese che per altro non sono certo marginali.
Il possibile profitto ottenuto dal petrolio potrebbe rigenerare la Croazia, perché il denaro ricavato dai contratti di concessione andrebbe a colmare le voragini delle casse statali, che sono attualmente frutto di un continuo indebitamento con il debito estero prossimo ormai alla vertiginosa cifra di 50 miliardi di euro.
Gli ecologisti ambientalisti, dal canto loro, avvertono che lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio nell’Adriatico andrebbe analizzato con molta cautela, perché ogni grande avaria – e nello sfruttamento del petrolio queste avarie non sono certo una rarità – potrebbe irreparabilmente danneggiare il turismo croato, un’industria che porta alla Croazia almeno sette miliardi di euro all’anno.
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