Tipologia: Intervista

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Parla Staša Zajović, Donna in nero di Belgrado

Con Staša abbiamo parlato di una recente conferenza, del ruolo della donna nella Serbia di oggi, dei cambiamenti politici e sociali del paese, del processo di riconciliazione, del nuovo governo e infine le abbiamo chiesto come vede il futuro della Serbia

07/06/2004, Luka Zanoni -

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Osservatorio sui Balcani: So che qualche giorno fa le Donne in nero hanno organizzato una conferenza internazionale a Belgrado. Di cosa avete discusso?

Staša Zajović: Dal 28 al 30 maggio si è tenuta a Belgrado una conferenza dal titolo Tutto per la pace, la salute e la conoscenza, niente per gli armamenti. Con questa conferenza abbiamo commemorato il 24 maggio, giornata internazionale delle azioni femminili per la pace e il disarmo e il 28 maggio, giornata internazionale per la salute delle donne e il diritto alla procreazione.

Inoltre, a questa conferenza sono state promosse diverse forme di obiezione di coscienza quali: l’obiezione alle spese militari, alla militarizzazione del sistema educativo, alla fascisticizzazione delle istituzioni educative e culturali. Il tutto nell’ottica di affrontare la questione della sicurezza con la popolazione femminista e antimilitarista.

Nell’ambito della conferenza si sono tenuti i seguenti panel La globalizzazione del conservatorismo e del fondamentalismo, due gruppi di lavoro e un panel dal titolo Né in nostro nome, né col nostro denaro! (in tutto circa 60 partecipanti dalla Serbia e Montenegro, dalla Bosnia Erzegovina, dalla Croazia, Gran Bretagna, Israele e USA).

Il primo panel, dove tra gli altri hanno parlato Anissa Helie Lucas (Londra), Ankica Cakardic (Zagabria) e Ksenija Forca (Belgrado), ha mostrato che non esiste un solo tipo di fondamentalismo, quello islamico, ma anzi nella regione si manifestano in modo evidente anche il fondamentalismo ortodosso e quello cattolico, che sono in connubio con le altre tendenze retrograde della ri-tradizionalizzazione e della ri-patriarcalizzazione della società (sia in Serbia e Montenegro che in Bosnia Erzegovina e Croazia). Sul versante internazionale è evidente la relazione tra i differenti tipi di fondamentalismo e la globalizzazione dell’economia neoliberale (e la politica delle grandi potenze), in cui si ispirano e si aiutano reciprocamente . Le vittime maggiori di questa congiuntura sono i popoli dei paesi non sviluppati, ed in particolare le donne.

Il secondo panel ha tematizzato la relazione tra militarismo e povertà, la privatizzazione dei servizi sanitari, la questione della sicurezza e il problema del dirottamento delle spese militari su quelle dell’educazione, della salute, ecc.

Le relazioni introduttive sono state fatte da: la vice ministra serba della salute, professoressa Snežana Simić, Anissa Helie Lucas (coordinatrice del WLMUL di Londra), Orli Fridman (Donne in nero di Tel Aviv), professor Lino Veljak (Università di Zagabria), Jadranka Miličević (Donne in nero di Sarajevo), Ruža Ćirković (giornalista del settimanale NIN, Belgrado) ed io (Donne in nero di Belgrado). Anche in questo panel al centro dell’attenzione c’era la questione della divisione dei poteri e le tendenze della loro ridistribuzione (sia di quelli ambiti che di quelli non desiderati), durante il panel è stata sottolineata la necessità dell’adattamento delle esperienze mondiali alle condizioni locali, le quali segnano le tendenze negative sulla ridistribuzione dei poteri.

Infine, dopo questa conferenza, il 1° giugno si è tenuta una conferenza analoga a Novi Pazar, dove davanti ad oltre cento persone hanno discusso sulle differenti forme di fondamentalismo e sulla relazione con i poteri economici mondiali e le tendenze retrograde, la professoressa Marta Delafuente, dall’Argentina, poi Anissa Helie Lucas, Lino Veljak ed io.

OB: Qual è oggi il ruolo delle donne in Serbia?

SZ: L’incremento delle tendenze retrograde e il continuo indebolimento economico del paese fanno in modo che il ruolo delle donne stia peggiorando. Sul piano ideologico sono sempre più dominanti i toni che indicano come la donna debba tornare ad occuparsi della casa e consacrarsi ai bambini e alla famiglia, ma la disoccupazione reale fa in modo che queste idee retrograde siano imposte dalle circostanze. Però, d’altra parte cresce anche l’autoconsapevolezza delle donne, che dichiaratamente si oppongono al ritorno al ruolo tradizionale.

OB: Qual è l’influenza delle donne nella sfera politica?

SZ: Le donne in ambito politico sono più riconosciute che al periodo del regime di Milošević, nonostante siano lontane dalla parità. Tuttavia, devo dichiarare che non è importante che una qualche funzione pubblica sia occupata da una donna, se quest’ultima mantiene delle posizione retrograde e reazionarie, che conducono la società al medioevo e che riportano le donne al loro ruolo tradizionale. Così che non possiamo appoggiare quelle politiche che assumono posizioni fasciste e nazionaliste o che si impegnano nel governo per delle riforme non democratiche. Per esempio, Gordana Pop Lazić, vicepresidente del Partito radicale serbo e vice presidente del Parlamento della Serbia, certo è una donna, ma la sua politica non va nel verso né della democratizzazione della società né verso una reale parità dei sessi – ecco perché non può avere il nostro appoggio.

OB: Voi siete sempre state tra le prime organizzazioni a manifestare contro il regime di Milošević. Avete sempre optato per la scelta non militarista. Ora, che Milošević non c’è più di cosa vi occupate e cosa organizzate per la società civile?

SZ: Il fatto che Milošević non sia più al potere non significa che le sue idee siano morte. Anzi, esse sono purtroppo riconosciute da una parte consistente della popolazione, dal corpo elettorale radicale e socialista, e non si deve dimenticare che il nuovo governo del premier Vojislav Koštunica è stato formato con l’appoggio parlamentare dei socialisti di Milošević. La Serbia è ancora lontana dalla società civile e dalla cultura della politica democratica. Ecco perché il lavoro non ci manca, in particolare sul versante dell’educazione delle donne ad una autocoscienza civile e ai valori della società civile, come la pace e la non violenza. Il nazionalismo (l’etnocentrismo) è tuttora la matrice centrale dell’opinione pubblica, e negli ultimi tempi in questo spazio si è gettata sempre più la componente maggiormente reazionaria della Chiesa ortodossa serba, quella componente che ha benedetto i crimini di Arkan, Karadžić e Mladić e che oggi desidera giustificarli. Si crea un connubio specifico tra la Chiesa e l’Esercito, che fino alla fine è stato fedele a Milošević, e oggi desidera l’ingresso nella NATO, credendo che in Iraq e in luoghi simili ci sia il bisogno della loro esperienza nella lotta al terrorismo. Queste due strutture autoritarie, la Chiesa e l’Esercito, rappresentano un grosso pericolo per il futuro democratico della Serbia.

OB: La Serbia è cambiata? e in che modo?

SZ: I cambiamenti dopo il 5 ottobre erano evidenti. E’ scomparsa la paura. Tuttavia, grazie alla eterogeneità della nuova coalizione di governo, e soprattutto alla impreparazione di Koštunica a decidersi di prendere le distanze con l’eredità del regime di Milošević, si è giunti ad un blocco: la caduta del potere non si è risolta in una sostanziale presa di distanza dal passato, si è giunti all’apatia della popolazione, e ciò è stato usato dalle forze conservatrici, con a capo Koštunica, con l’intento di eliminare dalla coalizione di governo i favorevoli ai cambiamenti. Ma questo non è tutto: ringraziando la mancanza di un confronto col passato, oggi sono in auge le forze dell’ultradestra (in prima fila i radicali), ed è forte pure l’influenza degli esponenti del capitale forte, il Berlusconi serbo, che si chiama Bogoljub Karić, oggi cerca di presentarsi come l’alternativa all’ultradestra. Direi una situazione piuttosto triste.

OB: Cosa pensi della preparazione del governo e dei cittadini rispetto all’assunzione della responsabilità per i crimini di guerra?

SZ: Il governo attuale non ha alcuna intenzione di farlo (una parziale eccezione è Vuk Drašković, l’attuale ministro degli esteri della Serbia e Montenegro). I cittadini sono per la maggior parte sotto l’influenza di quei media e di quelle politiche che relativizzano i crimini, così da dire: certo, forse i Serbi hanno anche commesso qualche crimine, ma i crimini sono stati commessi innanzitutto sui Serbi, dimentichiamoci di tutto che è meglio. In Serbia il processo di catarsi sarà molto duro, e ancora di più si deve far sì che la popolazione possa in modo adeguato confrontarsi col passato.

OB: In Serbia è in corso un qualche dialogo sul passato anche tra i paesi vicini? E come è condotto il cosiddetto processo di riconciliazione?

SZ: La società civile lavora a questo, ma senza la collaborazione della politica dominante e senza aiuto della maggior parte dei media. I media che lavorano al confronto col passato e su questa base anche sulla riconciliazione sono una vera minoranza.

OB: Che fine ha fatto la Commissione di Koštunica sulla verità e la riconciliazione?

SZ: Quella commissione non ha mai avuto altro fine al di fuori della relativizzazione dei crimini e in ultima battuta di giustificare Milošević, Arkan, ecc. Lo si è visto già dalla sua costituzione. Tutti i membri positivi di quella commissione hanno presto dato le dimissioni, quando si sono accorti di cosa si trattava. È un bene che quella commissione sia sparita, perché la sua esistenza avrebbe solo creato confusione.

OB: Inutile chiedere se siete soddisfatte del nuovo governo…

SZ: Sì, ho già risposto. Però bisogna dire che ci sono uomini e donne di governo con cui si può ancora collaborare, ma molto meno che col governo precedente.

OB: Cosa farete se vincerà il candidato dei radicali alle imminenti elezioni presidenziali?

SZ: Vedremo.

OB: Come vedi il futuro della Serbia?

SZ: O una graduale liberazione dal peso del passato, attraverso una catarsi e una riconciliazione (presupposti per la normalizzazione della società) oppure ad un crollo totale della civilizzazione. Questa è l’unica alternativa. La società civile lavora in modo di evitare tale crollo, ma, purtroppo, abbiamo pochissimo sostegno sia dall’Europa che dal mondo. Evidentemente a nessuno importa che la Serbia venga aiutata per poter uscire da questa terribile situazione in cui l’ha condotta Milošević e le cui conseguenze percepiamo tuttora, mentre queste pessime conseguenze spaccano l’intera società e alimentano solo il radicalismo di destra, il quale prepara il crollo del paese e a lungo andare può portare a nuove instabilità nei Balcani e in Europa.

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