Papa in Bosnia: la sedia di Salim
Domani Papa Francesco giungerà a Sarajevo. È la terza visita di un Pontefice in Bosnia Erzegovina, con l’obiettivo di sostenere la pace e il dialogo tra le religioni
È arrivata martedì allo stadio Koševo di Sarajevo la sedia realizzata appositamente per la visita di Papa Francesco da un artigiano di Zavidovići, cittadina della Bosnia centrale.
La sedia verrà utilizzata per la celebrazione della messa di domani, alla quale sono attese circa 65mila persone da diverse città della Bosnia Erzegovina e da altri paesi della regione.
L’autore della sedia, l’artigiano Salim Hajderovac, è un bosniaco musulmano, e la sua opera è una testimonianza concreta della collaborazione e del dialogo tra le diverse comunità religiose che vivono nel paese balcanico.
L’idea di realizzare una sedia per la visita papale è stata condivisa da Salim con il parroco di Zavidovići, Miro Bešlić, e finanziata dai fedeli cattolici della cittadina.
La lavorazione del manufatto si è conclusa la settimana scorsa, dopo due mesi e centinaia di ore di lavoro, con intarsi e lavorazioni su legno pregiato di noce. "E’ un messaggio importante quando una comunità decide di aiutarne un’altra – ha dichiarato Salim ai media locali – le persone esistono per unire gli uomini, affinché ci si ami reciprocamente. Io sono una persona così, non ho mai diviso gli uomini in base al colore della pelle, alla nazionalità, all’appartenenza religiosa o altro, perché non mi interessa e mai mi è interessato".
Il messaggio di Langer
Unione e convivenza sono alcune delle parole chiave che aveva utilizzato anche Alexander Langer, pacifista, fondatore dei Verdi italiani ed eurodeputato, nell’appello che l’8 settembre 1994 aveva rivolto a un altro Papa, Wojtyla, che durante la guerra aveva manifestato la propria intenzione di visitare la Bosnia Erzegovina. In quell’occasione, Langer aveva scritto che “se nell’ex Jugoslavia le religioni, da bandiere di guerra quali attualmente vengono impugnate, si trasformassero in elementi per ricostruire ponti di convivenza e di tolleranza, qualche speranza di uscire dal tremendo conflitto potrebbe rinascere”.
Oggi i cattolici in Bosnia Erzegovina sono solo una minoranza, stimata intorno al 15% della popolazione. Circa un terzo della comunità cattolica che viveva qui prima della guerra non c’è più, sono emigrati all’estero durante o dopo il conflitto degli anni ’90. In alcune zone del paese, come la parte settentrionale della Republika Srpska, la loro presenza in questi anni è diminuita radicalmente fino quasi a scomparire. La popolazione di fede cattolica, oggi, è concentrata prevalentemente nell’Erzegovina.
Il viaggio di Papa Francesco
In questi giorni decine di giornalisti, provenienti da tutto il mondo, stanno arrivando a Sarajevo per raccontare il viaggio di Papa Francesco. L’attenzione dei media, soprattutto di quelli occidentali, è concentrata sulla posizione della comunità islamica locale. In un clima di crescente islamofobia, alimentato dalla guerra nel Medio Oriente e dai recenti attentati terroristici in Europa, compreso quello avvenuto poche settimane fa in Bosnia Erzegovina , si guarda con preoccupazione al paese europeo in cui i musulmani sono percentualmente più numerosi e forse, come alcuni prevedono verrà decretato dai risultati del recente censimento della popolazione, sono maggioranza.
I problemi di sicurezza che riguardano questo paese non derivano però dalla presenza di una numerosa comunità musulmana o dalla convivenza di religioni diverse. Sono problemi legati al fallimento del progetto politico su cui è fondata la Bosnia di Dayton, basata su accordi di pace che sono stati efficaci nel porre fine alla guerra degli anni ’90, ma inefficaci nel dare vita ad uno stato funzionale.
L’insufficiente coordinamento tra le diverse forze di controllo del territorio, e la relativa facilità con la quale è possibile trovare armi sul mercato clandestino, sono problemi che non vanno sottovalutati, ma non hanno nulla a che vedere con la religione. Si tratta piuttosto di limiti di tipo politico, che hanno proiettato sul paese conseguenze anche di tipo sociale e psicologico, quali la tendenza alla frammentazione in microcomunità basate su di una propria, e separata, visione del mondo.
In alcuni casi questo fenomeno ha dato vita a vere e proprie comunità separate, come quelle dei fondamentalisti islamici che hanno eletto a proprio domicilio villaggi che in questi anni sono assurti a vario titolo agli onori delle cronache locali, quali Bočinja, Gornja Maoča, Ošve .
Il fardello delle religioni
L’Islam in Bosnia Erzegovina, naturalmente, non è questo. Allo stesso tempo, però, è evidente che l’Islam in questo paese non è un fenomeno statico, ma in movimento. La comunità islamica locale è sottoposta alla pressione di nuovi gruppi, radicali, che in alcuni casi hanno anche preso a bersaglio gli imam ufficiali, considerati nemici, come a Velika Kladuša o nella stessa Sarajevo . C’è una cesura, anche di tipo anagrafico, tra quanti partecipano ai gruppi radicali, per lo più molto giovani, e gli altri credenti. Gli estremisti rappresentano tuttavia l’eccezione, non la regola, ed è importante ribadirlo in un contesto mediaticamente così sensibile come quello dei prossimi giorni, contrassegnato dalla presenza del Papa in Bosnia Erzegovina.
Le religioni in questo paese recano su di sé un fardello particolare, per l’identificazione – percepita o reale – tra gruppo nazionale e religioso, e in generale per il lascito della guerra degli anni ’90. Non si è trattato di una guerra di religione, ma il mutato contesto politico internazionale tende a farci rileggere ex post anche quel conflitto, proiettandovi le categorie attuali. I potenziali effetti sono devastanti per la fiducia che faticosamente cerca di ricrescere in questo paese.
Per questo è così importante che ogni comunità religiosa condanni senza riserve qualsiasi azione che minaccia gli appartenenti ad un altro gruppo in quanto tali. Si tratti di attentati, benedizioni di ex criminali di guerra – si veda il recente episodio, stigmatizzato da un gruppo di artisti e intellettuali di Sarajevo, che ha messo in luce le pericolose relazioni che purtroppo alcuni esponenti della politica e della Chiesa cattolica locale intrattengono con persone condannate per crimini di guerra – o danneggiamenti di edifici e simboli religiosi.
Per questo è importante la sedia di Salim. Così come è importante il messaggio che ha mandato Papa Francesco alla Bosnia Erzegovina, e che rappresenta il motto della sua visita: Mir Vama . Che sia di buon auspicio.
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