Ottanta anni fa l’Italia invadeva l’Albania
Nell’aprile del 1939 l’Italia invadeva l’Albania. Ad 80 anni di distanza un quadro su quanto accadde, ripreso da EastJournal
(Pubblicato originariamente da EastJournal )
Esattamente ottanta anni fa, tra il 7 e il 12 aprile del 1939, l’Italia invadeva l’Albania. Con l’obiettivo di rispondere all’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’alleato Adolf Hitler, finalizzata a marzo dello stesso anno, Benito Mussolini scelse la vittima più facile: paese già da anni sotto tutela italiana, e con un esercito di dimensioni minime, l’Albania venne conquistata in pochi giorni. Un successo, però, che si rivelerà effimero: proprio dall’Albania le truppe italiane lanciarono poco dopo l’assalto alla Grecia, in quella che sarà ricordata come una disfatta.
Le relazioni Italia-Albania
L’invasione dell’aprile del ’39 non fu che l’apice di un crescente controllo esercitato dall’Italia fascista sul piccolo paese balcanico. Dal 1925 in poi, difatti, i due paesi stipularono una serie di accordi, che prevedevano una forte penetrazione economica italiana in territorio albanese, ingenti prestiti da Roma a Tirana e assistenza militare al nascente esercito albanese. Un’influenza crescente, quella italiana, ma non soddisfacente agli occhi di Mussolini. L’Albania era difatti guidata da re Zog I , autoproclamatosi re degli albanesi nel 1928 dopo esser stato primo ministro e presidente della Repubblica: personaggio eccentrico, re Zog cercò, da metà degli anni ‘30, di uscire dall’orbita italiana, o quantomeno di limitarne la pressione.
Il 1939
La situazione precipitò nel 1939, quando Hitler prese il controllo della Cecoslovacchia. Per rispondere all’ingombrante alleato, Mussolini, suggerito dal suo ministro degli Esteri e genero Galeazzo Ciano, decise allora di porre fine alle resistenze di re Zog. Il 25 marzo Roma inviò un ultimatum al governo albanese, contenente otto punti che avrebbero legato ulteriormente i due paesi, facendo di fatto dell’Albania una colonia italiana. Il rifiuto di re Zog fu il pretesto tanto atteso da Mussolini.
Il 7 aprile le truppe italiane, guidate dal generale Alfredo Guzzoni, attaccarono l’Albania. Se da una parte l’Italia contava su 100.000 soldati, accompagnati da circa 600 aerei e 50 navi da guerra, Tirana poteva opporvi un esercito di 15.000 uomini male equipaggiati e privi di armi pesanti, per lo più addestrati dagli italiani stessi. In poche ore, i principali porti del paese caddero in mani italiane e il giorno successivo, l’8 di aprile, gli italiani entravano a Tirana. L’invasione si concluse il 12 aprile, quando il parlamento albanese fu costretto a deporre re Zog e a votare in favore dell’unione con l’Italia, affidando la corona a Vittorio Emanuele III. Già il primo giorno dell’invasione, inoltre, re Zog si era dato alla fuga in Grecia con la sua famiglia, tra cui il figlio Leka, nato solo due giorni prima dell’attacco italiano.
Nella disastrosa sconfitta, tra le fila albanesi si registrarono casi di eroica resistenza. Tra queste si ricordano quella di Abaz Kupi e Mujo Ulqinaku, rispettivamente ufficiale militare e sottufficiale della marina, che riuscirono a resistere per ore nel porto di Durazzo; o quella della città di Scutari, dove un manipolo di soldati asserragliati nel castello della città tennero testa agli italiani per 12 ore.
L’Albania fascista
Conclusa l’invasione, l’Albania fu successivamente incorporata nel Regno d’Italia, tramite l’unione doganale, la fusione tra i due eserciti e l’estensione della legge italiana su tutto il territorio albanese. Il governo fascista impose una rigida politica di italianizzazione, e le risorse naturali del paese divennero preda delle aziende italiane. A livello politico, fu imposta la creazione del Partito fascista albanese e l’istituzione delle camicie nere locali, con l’obiettivo di mettere a tacere, con violenze ed arresti arbitrari, qualunque forma di opposizione.
Per quanto concerne le reazioni all’occupazione fascista, è noto che all’alba dell’invasione vasti strati della popolazione scesero in piazza contro l’espansionismo di Roma ed esponenti del governo albanese parlarono apertamente di “pugnalata alla schiena” da parte di un paese considerato amico. Al contempo, non mancarono personalità, soprattutto tra chi non aveva mai digerito il potere assoluto di re Zog, che videro l’annessione all’Italia in termini favorevoli . Gli investimenti infrastrutturali, oggi ancora facilmente visibili nel centro di Tirana, inoltre, fecero sperare in una possibile ondata di modernizzazione del paese.
La guerra
Ben presto, però, l’Albania fu trascinata nel pieno della seconda guerra mondiale. Nell’ottobre del ’40, l’Italia lanciò l’attacco alla Grecia: una pagina nera della storia italiana, a causa del palese fallimento sul piano militare, ma anche un periodo molto duro per l’Albania, dato che per lunghi tratti del conflitto le truppe greche occuparono il sud del paese. Solo l’intervento della Germania nazista, come è noto, permise all’Italia di registrare una vittoria, riuscendo poi ad allargare l’area sotto il proprio controllo.
Nella primavera del ’41, con l’annessione del Kosovo e di parti del Montenegro e della Macedonia, si realizzava inoltre la “Grande Albania”: gli albanesi si ritrovarono così in un unico Stato, ma sotto controllo italiano. Per alcuni, si trattò della realizzazione di un sogno nazionale, e questo spiega in buona parte il diffuso sostegno che gli italiani registrarono tra i kosovari albanesi, che videro nell’arrivo delle truppe di Mussolini la fine del dominio slavo nella regione.
Un “sogno”, però, che durò poco. Con l’armistizio dell’8 settembre ’43, all’Italia si sostituì la Germania di Hitler, e seguirono mesi segnati dall’intensificarsi dei combattimenti e dal susseguirsi di eserciti, fino al 1945. Soprattutto, in tutta la regione si fecero largo le forze partigiane: mentre il Kosovo tornava sotto il controllo jugoslavo, in Albania emergeva la figura di Enver Hoxha. Il leader della resistenza antifascista sarebbe ben presto divenuto il protagonista assoluto delle vicende albanesi per molti decenni a venire.
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