Ossezia del sud, poche speranze per l’economia
A ormai cinque anni dal conflitto che ha visto contrapposte Russia e Georgia, le ingenti risorse destinate allo sviluppo economico dell’Ossezia del sud non hanno portato risultati tangibili. In molti se ne sono andati. Neppure gli scambi economici con la Russia sono pienamente regolamentati
Il 2013 sarà l’anno della pianificazione per lo sviluppo dell’Ossezia del Sud: "Costruiremo un programma di investimenti, strategie per lo sviluppo socio-economico e interventi normativi, e nel 2014 inizieremo seriamente a guardare avanti per lo sviluppo economico della Repubblica", ha dichiarato nel corso di una riunione intergovernativa Aleksander Khloponin, rappresentante speciale di Mosca per il Caucaso del nord.
La dichiarazione di Khloponin suscita qualche perplessità. A partire dal 2008, l’Ossezia del Sud ha ricevuto almeno 43 miliardi di rubli (circa un miliardo di euro), destinati anche alla ripresa economica, senza contare gli aiuti umanitari. Secondo le dichiarazioni ufficiali, “il programma è stato completato con successo". Tuttavia, il presidente della repubblica Leonid Tibilov mi ha detto di persona e senza mezzi termini: "I soldi sono andati sprecati. L’economia è a terra". Il Paese si trova ancora in rovina: la popolazione vive nella miseria, gli alloggi non bastano, le infrastrutture non sono state completamente ristrutturate. E ora, dopo cinque anni, i funzionari parlano solo di investimenti futuri. Nessuno accenna alla questione della responsabilità penale del governo per i miliardi sprecati.
La principale "ricchezza" dell’Ossezia del Sud è la sua posizione geografica. Il territorio della regione occupa 3.900 chilometri quadrati, ma circa l’85 per cento è costituito da altopiani inadatti agli insediamenti. A collegare Russia e Ossezia del Sud c’è l’autostrada trans-caucasica che si snoda attraverso una gola profonda. La strada, costruita negli anni ’70 del Novecento, è al momento una delle più importanti autostrade in Russia e la via più breve per il Caucaso meridionale (Georgia, Armenia, Azerbaijan), Turchia e Iran. Oltre la galleria di Roki che attraversa le montagne del Caucaso inizia un’altra realtà. Il clima qui è più temperato e caldo che nel Caucaso del nord, anche grazie alle catene montuose che proteggono la regione dai venti settentrionali.
Durante l’era sovietica, in Ossezia del Sud si è sviluppata l’agricoltura: ampie zone di frutteti, viticoltura e orticoltura davano un ricco raccolto. C’era un impianto per la produzione di macchine industriali e uno per la lavorazione del legno. L’allevamento, la produzione lattiero-casearia e la lavorazione delle carni davano pienamente da vivere alla popolazione locale.
L’epoca del contrabbando
A partire dal 1989, il conflitto georgiano-osseto ha avuto conseguenze drammatiche per l’economia. Le forniture di luce, acqua e gas (direttamente dipendenti dalla Georgia) vacillavano, l’industria si è fermata, i campi sono stati abbandonati. Se dall’inizio del conflitto l’agricoltura era di fatto passata alla popolazione georgiana, dopo il conflitto del 2008 anche i georgiani sono fuggiti dai loro villaggi. Ora le loro case sono in rovina, i campi abbandonati.
Dai primi anni novanta, la regione ha cominciato a vivere praticamente di contrabbando, inizialmente soprattutto di alcool e armi. Ma poi il commercio illegale si è esteso a tutto: benzina, sigarette, prodotti alimentari e beni industriali dalla Russia alla Georgia e in tutto il Caucaso meridionale. Da Georgia, Armenia e Azerbaijan il flusso di prodotti agricoli passava attraverso l’Ossezia del Sud verso la Russia.
Dal 1999, questi flussi illegali di prodotti si erano "cristallizzati" spontaneamente nel mercato di Ergneti, piccolo centro abitato al confine con la Georgia a 500 metri dalla capitale dell’Ossezia del Sud Tskhinvali. Il mercato era una vasta area che ospitava improvvisate “bancarelle” in legno, ardesia e tela cerata, dove privati vendevano direttamente le loro merci. Il commercio, che si svolgeva quasi senza sosta, era diventato fonte non solo di arricchimento per la popolazione del Caucaso impoveritasi dopo il crollo dell’URSS, ma anche di sopravvivenza fisica per gli abitanti dell’Ossezia del Sud.
Nel corso dei sei anni successivi, il mercato di Ergneti contribuiva a determinare i prezzi di molti prodotti nell’intera regione. Secondo stime di economisti, nel periodo 1998-2004 Ergneti aveva causato al governo georgiano perdite annuali in tasse non riscosse per circa 120 milioni di dollari. Il mercato dava un reddito a migliaia di persone e aveva portato a un significativo calo dei prezzi dei prodotti alimentari. Inoltre, nonostante le tensioni etniche, Ergneti esisteva al di fuori della zona di conflitto: non vi erano georgiani e osseti, ma solo le “leggi del mercato”.
Nell’estate del 2004, però, le autorità georgiane hanno deciso di chiudere il mercato, provocando un altro conflitto armato tra georgiani e osseti, allora attivamente aiutati dalla Russia. La questione era ancora più complicata dal fatto che nel contrabbando erano coinvolti gli alti ranghi della cinquantottesima armata dell’esercito russo, al tempo di stanza in Ossezia del Nord. La chiusura del mercato ha portato alla rovina migliaia di piccoli commercianti e all’esodo di massa in Russia della popolazione locale, rimasta senza reddito.
Dopo la chiusura di Ergneti
Ora la popolazione dell’Ossezia del Sud è per lo più costituita da chi non ha la possibilità di andarsene. A importare manufatti e prodotti alimentari dalla Russia – unica attività a disposizione di chi non voglia dipendere dal governo e dai soldi pubblici – sono rimaste poche persone intraprendenti, ma il loro lavoro non fa che complicarsi.
“In passato il problema principale erano le grosse tangenti che ci costringevano a pagare alla dogana da parte russa”, racconta Zarema, 48 anni, residente a Tskhinvali. “Dopo la riorganizzazione dei confini, questo non succede più, ma ora sono i nostri doganieri dell’Ossezia del Sud a richiedere somme enormi per noi, fino a mille dollari per il passaggio di un furgoncino per alcuni tipi di prodotti. Questo ci manderà in rovina. La situazione è aggravata dal fatto che i doganieri russi possono in qualsiasi momento chiudere il confine. Tecnicamente hanno ragione, ma in pratica ci mettono in una posizione impossibile, perché in Ossezia del Sud viene importato dalla Russia oltre l’80% di tutti i beni e prodotti.”
Nei 14 anni trascorsi dall’inizio del conflitto georgiano-osseto, tutte le infrastrutture produttiva della regione si sono rese irrimediabilmente obsolete, le vie di trasporto verso la Georgia sono rimaste bloccate e la costruzione della ferrovia per la Russia sembra un sogno irrealizzabile. Secondo i dati ufficiali, su 24.000 ettari di terra arabile, ben 22.000 non sono mai stati coltivati negli ultimi 20 anni. E, soprattutto, nel corso degli anni la regione ha irrimediabilmente perso una generazione intera di manodopera qualificata, cresciuta invece con le armi in mano.
Nonostante le iniezioni di liquidità per miliardi di dollari non abbiano portato a nulla, i funzionari russi parlano ancora seriamente di rimettere in sesto la produzione e l’agricoltura. Lo status politico dell’Ossezia del Sud non è ancora chiaro, ma nei cinque anni trascorsi dal conflitto del 2008 la Russia non ha ancora preso la decisione più fondamentale e importante per lo sviluppo economico locale: regolamentare pienamente le relazioni commerciali con l’Ossezia del sud. Nel frattempo, agli abitanti della regione non resta che ricorrere al contrabbando per importare tutti i prodotti non inclusi in precedenti accordi, e ai doganieri russi non resta che continuare a chiudere un occhio.
* Irina Gordienko è corrispondente speciale della Novaja Gazeta, Mosca
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