Ossezia del Sud, donne dopo la guerra
Irina Janovskaja è direttrice di “Giornalisti per i diritti umani”, un’Ong che opera in Ossezia del Sud e dedica particolare attenzione ai diritti delle donne. OBC l’ha intervistata per parlare di libertà di stampa e di impegno sociale in quest’area gravemente colpita dal conflitto dell’agosto 2008
Il nome della vostra associazione suscita una domanda: perché i giornalisti dovrebbero occuparsi di diritti umani?
Il rispetto dei diritti umani è una delle condizioni per lo sviluppo della democrazia e per questo motivo di diritti umani ci dobbiamo occupare tutti. Soprattutto i giornalisti, il "quarto potere". È proprio attraverso i media che si ha la possibilità di informare i cittadini sui diritti umani, di far riflettere attraverso i materiali pubblicati sulle pagine dei giornali o trasmessi per TV e radio, fare critica, e molto altro ancora.
Gli anni d’isolamento, dal 1991 fino al 2008, e l’assenza di possibilità per i giornalisti dell’Ossezia del Sud di migliorare le loro capacità professionali hanno lasciato il segno. La difficoltà di accedere ad Internet ha costituito e tuttora rappresenta un ostacolo importante per il lavoro dei giornalisti.
In Ossezia del Sud vi sono molti problemi. Il tema di maggiore attualità in questo periodo è la questione della ricostruzione delle case distrutte dalla guerra. Attualmente sempre più giornalisti dedicano attenzione anche a queste questioni quotidiane.
Qual è la situazione in Ossezia del Sud per quanto riguarda la libertà di stampa e di parola? Il governo ha controllo diretto della stampa?
Vi è un giornale di Stato, “Ossezia del Sud”, promosso da Parlamento e governo dell’Ossezia del Sud. Una censura ufficiale non esisteva e non c’è tuttora su questo quotidiano, anche se bisogna ammettere che fino all’agosto del 2008 i giornalisti esercitavano una forma di autocensura. La maggior parte dei giornalisti preferiva lavare i panni sporchi in casa, in virtù dell’esistenza di un nemico esterno, vale a dire la Georgia. Dopo l’agosto del 2008 l’autocensura è fortemente diminuita, come dimostra la presenza di materiali critici pubblicati sul giornale e indirizzati in sostanza a tutti i funzionari governativi, inclusi i promotori del giornale.
Parliamo adesso un po’ più in dettaglio dell’attività della vostra associazione. So che ad esempio avete un programma focalizzato sui diritti delle donne con particolare attenzione alla problematica della violenza domestica. Ci può raccontare più in dettaglio il vostro lavoro?
L’Ossezia del Sud si è trovata in una situazione di conflitto con la Georgia fin dal crollo dell’URSS. Di regola, in qualunque zona di conflitto si verifica un alto livello di violazioni dei diritti umani, inclusi i diritti delle donne. Vi è anche il problema della detenzione illegale di armi da fuoco da parte della popolazione e, come conseguenza, della violenza sulle donne esercitata con armi da fuoco.
Il nostro primo progetto dedicato alla sfera femminile risale al 2001 ed era dedicato alla documentazione delle violazioni dei diritti delle donne in Ossezia del Sud (finanziato da Open Society – Georgia Foundation OSGF ). Le cento storie di donne raccolte nell’ambito del progetto hanno confermato un alto livello di violazione dei diritti delle donne in Ossezia del Sud. Prodotto finale del progetto è stato una serie di raccomandazioni rivolte alle autorità su misure da intraprendere di carattere preventivo, riabilitativo e di monitoraggio delle condizioni, per un’analisi approfondita dei problemi e l’approntamento delle possibili soluzioni.
Dal 2005, invece, grazie ai finanziamenti ricevuti dall’associazione svedese Kvinna Till Kvinna (“Da donna a donna”) è stato possibile condurre una serie di progetti che hanno coinvolto giornalisti e studenti della locale facoltà di giornalismo, con la realizzazione di eventi e prodotti multimediali.
Che tipo di risultati concreti avete ottenuto grazie al vostro impegno?
Siamo soddisfatte dei risultati raggiunti. Abbiamo ottenuto una disposizione del ministero dell’Interno dell’Ossezia del Sud, secondo la quale le donne vittime di violenza sessuale vengono assistite da funzionarie del ministero. La procura è obbligata a informare la donna vittima di violenza sessuale riguardo al diritto di richiedere un team inquirente della procura costituito da sole donne. Sono sicuramente dei risultati positivi, anche se certo questi sono processi che richiedono tempo.
Quanto accaduto nell’agosto 2008 ha toccato e peggiorato la condizione della popolazione in tutte le sfere: economica, sociale, psicologica, giuridica, ecc. E se già prima del conflitto del 2008 le autorità locali non prestavano attenzione ai problemi delle donne, ora che sono occupati con la ricostruzione degli edifici distrutti lo fanno ancora meno.
C’è una storia particolare che vuole raccontare?
Ci preoccupa molto la situazione delle allieve della scuola-collegio di Tskhinvali che ospita orfani, bambini con un solo genitore o provenienti da famiglie disagiate, socialmente deboli o con troppi figli. Di regola, la loro istruzione non prosegue oltre la scuola media. Le ragazze si sposano presto, convinte che grazie al matrimonio la loro vita migliorerà. In alcuni casi le allieve del collegio si sposano già a quattordici-quindici anni senza terminare le scuole e partoriscono in giovane età, il che danneggia la salute non solo della madre, ma anche del bambino. Queste ragazze diventano completamente dipendenti dal marito e sono frequentemente vittime di violenza domestica.
Per le allieve del collegio è arduo immaginare un futuro e una vita diversi, acquisire un’istruzione, e competenze professionali, approfondire le proprie conoscenze, lavorare usando il computer e internet, essere economicamente indipendenti fino al matrimonio, conoscere i loro diritti. Nell’ambito del progetto “Il mio futuro”, sostenuto dal Global Fund for Women nel 2009, abbiamo affrontato il problema dell’insufficienza di informazione sui diritti delle donne fra le educatrici e le alunne del collegio-scuola di Tskhinvali.
Che ruolo ricopre oggi la donna in Ossezia del Sud?
Partiamo da qualche statistica sconfortante: nel governo della Repubblica dell’Ossezia del Sud sono presenti solo due donne, il ministro delle Finanze (che viene dalla Russia) e il ministro dell’Istruzione (locale). Su trentaquattro deputati solo cinque sono donne. Godiamo del loro sostegno, ma purtroppo nessuna di loro ha una formazione giuridica, e per il momento la nostra attività di lobbying in parlamento per la legge “Su pari diritti e opportunità per donne e uomini nella Repubblica dell’Ossezia del Sud” non ha portato risultati positivi.
Le donne che in Ossezia del Sud occupano una posizione di leadership si possono contare, ahimè, sulle dita di una mano. Molte donne cercano di avviare delle attività imprenditoriali al femminile, ma non esistono appositi programmi di supporto. La maggior parte delle donne sostiene la propria famiglia dedicandosi al commercio, senza una minima formazione in questo campo, affidandosi soltanto all’istinto e all’esperienza. Poche donne lavorano nel settore terziario, mentre la loro presenza è dominante in quello dell’istruzione. Le donne hanno un ruolo prevalente nel settore delle Ong, anche se è vero che di Ong effettivamente funzionanti ne sono rimaste molto poche.
La riconciliazione con la parte georgiana rientra fra gli scopi della vostra associazione? Esistono programmi di collaborazione con organizzazioni e associazioni di altre repubbliche caucasiche?
Io preferisco parlare di riconciliazione con il popolo georgiano. Di questo certamente ci occupiamo. Prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica esisteva la Regione Autonoma dell’Ossezia del Sud all’interno della Georgia. Osseti e georgiani costituivano la popolazione originaria dell’Ossezia del Sud anteguerra. Questi due popoli per secoli hanno vissuto fianco a fianco, le due culture sono intrecciate. Dalle statistiche sovietiche risulta che la percentuale più alta di matrimoni misti si registrava proprio fra osseti e georgiani.
Alla vigilia della prima guerra osseto-georgiana negli anni ’90 la maggior parte dei georgiani ha abbandonato Tskhinvali, trasferendosi prevalentemente a Tbilisi, una seconda ondata è partita durante la guerra, e quei pochi georgiani che sono rimasti in Ossezia del Sud ci vivono ancora oggi. In tal modo la comunità osseto – georgiana, che viveva unita in passato, ora è stata separata dalla guerra.
Abbiamo in cantiere un progetto per cui, purtroppo, non abbiamo ancora reperito i finanziamenti necessari. Ci piacerebbe pubblicare un libro dal titolo “Ricordi”, selezionando come fondamento solo i fatti positivi, i ricordi dei nostri anziani, osseti e georgiani, finché sono ancora vivi, i loro ricordi su una vita condivisa, sulle loro gioie, e perché no, su aneddoti divertenti accaduti nel corso di una coesistenza pacifica durata molti anni.
Se i nostri giovani leggeranno questi documenti, forse i loro cuori diventeranno meno duri.
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