Orientali? Lo siamo già
La Turchia, stanca di attendere l’integrazione nell’Ue, avrebbe voltato le spalle all’Occidente? Solo speculazioni, affermano i diretti interessati. Ma tra l’opinione pubblica turca la fiducia nell’Unione comincia a calare. Un approfondimento sui rapporti regionali della Turchia e sulle sue prospettive di integrazione nell’Unione
“Il governo del Partito di giustizia e sviluppo (AKP) non sta rivolgendo la Turchia verso l’Oriente come viene percepito a Occidente, noi siamo già in Oriente. E non ci stiamo nemmeno islamizzando, perché la maggior parte di noi è già musulmana”. Si apre così un commento di Cengiz Aktar sul quotidiano Vatan di qualche giorno fa, che sintetizza una posizione diffusa tra l’opinione pubblica turca, in risposta alle recenti speculazioni avanzate dai Paesi occidentali per cui la Turchia starebbe spostando il suo asse dall’Occidente in Oriente.
Alla base di tali speculazioni stanno gli sviluppi che hanno seguito l’accordo sullo scambio dell’uranio siglato dalla Turchia – assieme al Brasile – con l’Iran lo scorso maggio. Rompendo una tradizione che l’aveva sempre vista allineata con la posizione degli Stati Uniti, Ankara ha votato contro la nuova tornata di sanzioni rivolte a Teheran, approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lo scorso 9 giugno. Il congelamento delle relazioni con Israele – peraltro già tese dal periodo dell’operazione Piombo fuso – dopo l’uccisione dei nove attivisti turchi della flotta umanitaria diretta a Gaza e il recente annuncio dell’istituzione di una zona libera di commercio, non soggetta a visti d’ingresso tra Turchia, Siria, Libano e Giordania, hanno suggellato l’immagine di una Turchia sempre più lontana dalle posizioni occidentali.
Ma secondo il segretario alla Difesa statunitense Robert Gates, se Ankara si sta rivolgendo a est forse è perché è spinta in quella direzione dall’Europa “che si rifiuta di dare alla Turchia quel legame organico con l’Occidente ambito dal Paese”. Quella espressa da Gates è una spiegazione analoga ad un’altra fornita da Thomas Friedman del “New York Times” che considera l’atteggiamento temporeggiante dell’Ue nei confronti della Turchia un “vuoto” che potrebbe essere “colmato nel modo sbagliato”. Friedmam sostiene che, approfittando della mancanza di una leadership nel mondo arabo-musulmano, il governo di Ankara potrebbe concentrarsi sul progetto di un’unione araba in sostituzione dell’Unione europea.
Il premier Tayyip Erdoğan però rigetta ogni tipo di accusa riguardo a un cambiamento di rotta del suo governo. “Vi ricordo che è stato proprio questo governo a iniziare le trattative per l’adesione all’Ue” ha detto Erdoğan in un intervento tenuto due settimane fa all’Università tecnica di Trebisonda. “Abbiamo istituito appositamente un ministero, e incaricato un ministro affinché si occupasse solo di questa adesione e che non fa altro che girare come una trottola da un paese Ue all’altro. Nonostante questo continuano a temporeggiare”, ha affermato Erdoğan, aggiungendo che “chi dice che abbiamo cambiato il nostro orientamento o è in cattiva fede, oppure non ha capito il nuovo ruolo e la politica pluridimensionale della Turchia”.
Hugh Pope, direttore della sezione Turchia-Cipro dell’International Crisis Group , ricorda che la politica di apertura condotta dalla Turchia nei confronti dei suoi vicini mediorientali “non può essere considerata come una politica ‘islamica’ o diretta al Medioriente, perché questi progetti di grande apertura e d’integrazione sono già stati utilizzati per rinforzare i legami con la Russia e la Grecia”. Pope ricorda che più della metà delle esportazioni turche sono dirette all’Europa – il doppio rispetto a quelle effettuate verso il Medioriente – mentre il 90% degli investimenti stranieri in Turchia riguardano gli Stati dell’Ue.
Va inoltre ricordato che la politica di allargamento dei rapporti con i Paesi esteri portata avanti dal governo turco per opera dell’iperattivismo del ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu comprende anche l’Africa e i Balcani. Il volume d’affari registrato nel continente africano è salito negli ultimi cinque anni dai 5 ai 16 miliardi di dollari. Si tratta di una collaborazione che include il settore bancario, quello delle infrastrutture e della sicurezza ed è supportato da una rete di consolati di nuova apertura.
Per quanto riguarda i Balcani, invece, la Turchia negli ultimi sei mesi ha avviato un dialogo politico-diplomatico molto intenso nella penisola. Ankara si è ritagliata in questo contesto il ruolo di mediatrice per la normalizzazione dei rapporti tra gli Stati balcanici – in particolare tra la Serbia e la Bosnia-Erzegovina di cui appoggia con vigore l’adesione alla NATO – con i quali si vede unita nella comune meta dell’adesione all’Ue, e spera che questo allineamento acceleri il suo processo negoziale. Solo ieri (23 giugno) si è tenuto a Istanbul il vertice sulla cooperazione dell’Europa sudorientale, in cui il presidente turco Abdullah Gül ha affermato che “i Balcani, quale porta di apertura all’Occidente per la Turchia, sono molto importanti” e che quest’ultima “considera tutti i Paesi balcanici, confinanti o non, come suoi vicini”.
Tuttavia, nonostante questa intraprendenza in politica estera, l’opinione pubblica turca non ha potuto fare a meno di registrare il calo d’interesse verso l’Ue sia tra la popolazione che tra le file dello stesso governo, a causa della situazione di stallo dei negoziati che continuano a protrarsi. Attualmente sono solo 12 su 35 i capitoli negoziali aperti dopo l’avvio delle trattative avvenuto nel 2005. Anche durante il turno di presidenza della Spagna che terminerà il 30 giugno e su cui si faceva affidamento per l’apertura di quattro capitoli non soggetti a precondizioni, si riuscirà forse ad aprire solo il capitolo sulla sicurezza alimentare.
A oggi restano bloccati 8 capitoli condizionati dall’apertura dei porti turchi alla Repubblica di Cipro, non riconosciuta dalla Turchia e che nel 2009 ha posto unilateralmente un veto su 5 capitoli. Assieme al capitolo sull’Energia sono in tutto 14 i capitoli che risultano bloccati per la situazione di Cipro. La Grecia ha posto un veto su tre capitoli della lista cipriota – quello sul “Settore ittico”, sulle “Politiche del trasporto”, e sulla “Giustizia, Libertà e sicurezza”. La Francia di Nicolas Sarkozy si è astenuto sull’apertura di 5 capitoli definiti “determinanti” per l’adesione turca.
L’analista di Milliyet, uno dei principali quotidiani turchi, M. Ali Birand ha fatto notare che “negli anni scorsi l’Ue occupava, nel bene e nel male, un tema attuale per l’opinione pubblica turca. Le persone, anche se se la prendevano con politici come Sarkozy si interessavano della questione perché sapevano che era importante per loro. Negli ultimi mesi invece in politica estera sono all’ordine del giorno altre regioni e ormai nessuno si interessa più dell’Ue. Questo disinteresse si fa sentire anche ad Ankara. Nel percorso verso l’Ue già difficile di per sé, il governo e la burocrazia se la prendono abbastanza comoda, tenendosi lontani dalle operazioni di adeguamento agli standard europei che richiedono una ferma volontà politica”.
Ali Yurttagül, consulente politico del gruppo parlamentare europeo dei Verdi sostiene a sua volta che "la Turchia è sempre più rivolta verso se stessa e verso le elezioni in arrivo [previste per il 2011 ndr] e lo si vede bene nel dilungarsi del processo di riforma costituzionale sostenuto a Bruxelles da tutte le istituzioni e da tutti i gruppi politici”.
Secondo l’ultimo sondaggio sull’opinione pubblica (ATAUM – Centro di applicazione e ricerca delle comunità europee dell’Università di Ankara pubblicato nel gennaio 2010), la prospettiva dell’adesione europea è sostenuta dal 55,3% dei turchi. Colpisce però che il 32,8% degli intervistati abbia poi detto che questa adesione non avverrà mai e che solo l’11% degli intervistati trovi che l’Ue sia sincera nei confronti della Turchia.
Un mutamento di clima potrebbe avverarsi, se si considerano le parole di Štefan Füle, commissario Ue responsabile dell’allargamento, in visita martedì scorso ad Ankara. Füle ha risposto alle domande di dieci giornalisti, cinque turchi e cinque europei, a partire dai dubbi sollevati sul cambio di orientamento di Ankara. “La politica regionale ed estera applicata attualmente dalla Turchia è un valore per l’Europa” ha affermato Füle, aggiungendo di ritenere scorrette molte delle cose dette sul cambiamento di rotta della Turchia. “Per quello che vedo io la Turchia si sta avvicinando sempre di più sia all’Ue che ai Paesi europei”, ha dichiarato il commissario, secondo il quale sarebbe meglio se si stabilisse un maggior dialogo e contatto tra la Turchia e l’Ue in materia di politica estera.
Füle ha inoltre messo in chiaro un punto su cui Ankara è molto suscettibile, ossia l’ipotesi di essere accettata nell’Ue con lo status di membro privilegiato proposto dalla Francia e sostenuto dalla Germania. “Per la Turchia si parla di un’adesione completa”, ha detto Füle aggiungendo però che questa adesione è soggetta a tre questioni essenziali riferite alla politica degli “zero problemi” condotta dal ministro degli Esteri Davutoğlu: sono attesi dall’UE “zero problemi nei negoziati d’adesione, zero problemi nelle riforme interne e zero tolleranza al terrorismo”. Il commissario per l’allargamento ha anche affermato che “La Turchia non è un Paese qualsiasi per noi. È un paese molto importante che sta acquistando un ruolo sempre più importante nella sua regione e l’Ue ne è consapevole”.
Nonostante si prospettino dei tempi d’attesa interminabili per un’eventuale adesione turca – “Quando sarà arrivato il momento la Turchia sarà un paese diverso da quello di oggi. E tutti i paesi membri dovranno essere d’accordo sulla sua adesione”, ha specificato Füle – tempi che confermerebbero a pieno titolo quanto emerge dal sondaggio sopracitato, l’Ue sembra però un po’ più consapevole del fatto di dover dare ai cittadini della Turchia un segno di fiducia in più. “È necessario che venga mostrato in modo più chiaro e esteso quello che può portare loro l’adesione all’Ue. (…) Devo affermare che per una questione di fiducia reciproca è obbligatorio avviare un dialogo sui visti: e alla fine devono essere liberalizzati”, ha chiosato Füle.
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