Oltre Dayton
Presentata a Sarajevo la conferenza internazionale sul decennale di Dayton. L’appuntamento, organizzato dalla Associazione BiH 2005, originale luogo di incontro di esperienze provenienti dal mondo della cultura, della politica e della società civile bosniaca ed europea, si terrà a Ginevra il prossimo ottobre
Giovedì 7 aprile, a Sarajevo, è stata ufficialmente presentata la conferenza internazionale sulla Bosnia Erzegovina "Dieci anni di Dayton e oltre". La conferenza, organizzata dall’Associazione BiH 2005, si terrà a Ginevra il prossimo 20 e 21 ottobre, momento culminante di un lavoro avviato oltre due anni fa. L’inedito percorso, cui collaborano sia espressioni della società civile che rappresentanti di realtà politiche e diplomatiche bosniache e internazionali, ha come obiettivo quello di ragionare sul futuro della Bosnia Erzegovina, elaborando soluzioni per il progressivo trasferimento delle responsabilità dalle autorità internazionali a quelle locali e promovendo la piena sovranità del Paese, condizione indispensabile per l’integrazione europea. Nel comitato consultivo dell’Associazione, presieduta da Jakob Finci, ci sono, tra gli altri, Wolfgang Petritsch, Sonja Biserko, Lakhdar Brahimi, Erhard Busek, Daniel Cohn-Bendit, Predrag Matvejevic e Tadeusz Mazowiecki.
Proprio Wolfgang Petritsch, ex Alto Rappresentante della comunità internazionale in Bosnia, ha aperto la conferenza stampa di Sarajevo, presentando l’appuntamento di Ginevra e l’Associazione, "non una organizzazione di Stati ma una iniziativa civica con una composizione internazionale perché, insieme ai cittadini bosniaci, ne fanno parte amici della Bosnia Erzegovina di tutto il mondo" (Fena, 7 aprile). Jakob Finci ha invece ricordato che la scelta di Ginevra, come sede della conferenza, avviene proprio per porre nuovamente la Bosnia Erzegovina al centro dell’attenzione internazionale.
La stampa locale ha dato ampio risalto all’incontro di presentazione tenutosi a Sarajevo, come anche ai temi posti al centro dell’agenda dell’Associazione. Oslobodjenje ha titolato: "Per liberarsi dalla presenza delle organizzazioni internazionali" (8 aprile); Dnevni Avaz e Vecernj List: "Ritiro dell’Ohr" (8 aprile); Nezavisne Novine: "La Bosnia non potrà entrare nell’Unione Europea fintanto che ci sarà l’Ohr".
L’incontro di Ginevra rappresenterà l’apice di un lavoro preparatorio di oltre due anni. Come sottolineano gli organizzatori, si tratterà soprattutto di una conferenza di lavoro. Il programma, che prevede sessioni plenarie con la presenza di alcuni tra i più importanti protagonisti della storia recente della Bosnia Erzegovina, punta in modo particolare sul lavoro dei numerosi workshop, tutti già confermati. Tra questi, da segnalare quello sulla costruzione istituzionale (state building, diretto da Vehid Sehic e Donald Hays), economia (Vladimir Gligorov e Rajko Tomas), cultura (Predrag Matvejevic e Jasmina Husanovic-Pehar), educazione (Mirza Kusljugic e Zdravko Grebo), oltre alle sessioni su giustizia e riconciliazione, integrazione europea e stabilità regionale.
Osservatorio sui Balcani, insieme a Le Courrier des Balkans, Nezavisne Novine e Oslobodjenje, farà parte del pool di media che seguiranno l’evento e la sua preparazione, pubblicando con cadenza quindicinale articoli e interventi dell’Associazione BiH 2005. Il processo di registrazione e accreditamento per la conferenza di Ginevra sarà aperto a partire da sabato prossimo.
Cristophe Solioz, direttore esecutivo dell’Associazione e animatore dell’intero percorso, ci ha presentato le ragioni dell’iniziativa all’indomani della conferenza stampa di Sarajevo.
Perché una conferenza a dieci anni da Dayton?
Questo decennale cade in un momento cruciale per la Bosnia Erzegovina. Se da un lato il Paese ha fatto qualche passo in avanti nel processo di integrazione europea, in generale resta fermo e in una condizione di dipendenza rispetto alla comunità internazionale. La comunità internazionale dovrebbe essere più convinta nell’accelerare questo processo, che Wolfgang Petritsch ha definito di "emancipazione", concetto importantissimo, anche se d’altro canto – come ben sottolineato da Tihomir Loza – non c’è una chiara volontà politica interna, in Bosnia, nel portare a compimento questo processo di affrancamento. C’è una sorta di sindrome di dipendenza nei confronti della comunità internazionale, che continua e si acuisce non solo perché non c’è un consenso su quale sarà il futuro della Bosnia, ma anche perché non c’è una volontà politica per elaborare questo consenso. Dieci anni dopo, dunque, l’elemento centrale su cui concentrare l’attenzione, come noi ci proponiamo di fare attraverso la conferenza di Ginevra, è questo processo di emancipazione, che vede da un lato la comunità internazionale e dall’altro la società bosniaca. Lo stesso Paddy Ashdown attuale Alto Rappresentante, ndr del resto ha detto che la comunità internazionale è in una fase di transizione, e deve puntare ad avere un nuovo ruolo, più di facilitatore, abbandonando ad esempio i "poteri di Bonn"…
Anche se lui li ha appena usati nel caso Covic…
Sì, ma ormai è solo una questione di tempo. Avverrà entro la fine di quest’anno o – come più probabile – con le elezioni dell’anno prossimo, ma non solo i "poteri di Bonn" dovranno essere abbandonati, ma anche l’OHR Ufficio dell’Alto Rappresentante, ndr dovrà progressivamente porre fine al proprio mandato.
Voi pensate che Ashdown sarà l’ultimo Alto Rappresentante?
Personalmente è una cosa che spero. La mia posizione in questo senso è chiara, ho sempre detto che la prossima persona dovrà avere solamente il ruolo di Rappresentante Speciale dell’Unione Europea e non più quello di Alto Rappresentante.
Perché avete scelto Ginevra per ospitare la conferenza sul decennale?
Perché è importante riportare a livello della comunità internazionale la questione della Bosnia Erzegovina e della stabilizzazione della regione. Ginevra non solo è città di pace e aperta al dialogo politico, ma anche la sede europea delle Nazioni Unite. Io propendevo per Sarajevo, ma i membri bosniaci dell’associazione, una parte consistente di loro, hanno deciso così.
Come sarà strutturato l’appuntamento di Ginevra?
Questa conferenza è preceduta da un processo che abbiamo iniziato due anni fa, che abbiamo definito di consultazione, fatto di seminari, riunioni, incontri. Sarà una conferenza dove si lavorerà molto e dove verranno presentati i risultati dei vari gruppi che in parte già stanno lavorando in Bosnia Erzegovina.
Quale sarà il valore di questa conferenza?
Il suo valore risiede da un lato nel processo di preparazione, nel lavoro approfondito che precede questo incontro. L’altra chiave del successo speriamo sarà nel dopo, su cui stiamo già lavorando, cioè nella realizzazione dei risultati della conferenza. Il punto focale del nostro lavoro sia di preparazione che di follow up è un manifesto, che abbiamo chiamato "Next step manifesto", che cercherà di chiarire non solo la necessità di trasformazione del Paese, ma anche di dare delle linee ben precise sulla direzione e sulle piste per realizzare concretamente un certo numero di cambiamenti a livello dello Stato, della costituzione, dell’economia e della società civile.
A chi presenterete queste proposte? Direttamente al Peace Implementation Council, alle diplomazie europee, al governo bosniaco?
Questo fa parte del nostro processo di follow up. La nostra conferenza avrà luogo a Ginevra in ottobre, per novembre abbiamo già un seminario previsto – per il quale sono in corso i contatti con le diplomazie europee – a Vienna.
Perché Vienna?
L’Austria avrà la presidenza dell’Unione Europea all’inizio del 2006. Si può parlare di Bosnia solo parlando del triangolo di Dayton, per così dire, e dell’integrazione europea dell’insieme dei Balcani. Questa è la sfida che ci prefiggiamo, da una parte qui in Bosnia cercare di far progredire le cose appoggiando le forze che vogliono davvero riformare il Paese, d’altro lato a livello della UE avere di nuovo una strategia efficace nei confronti dell’insieme della regione.
Pensate che una eventuale dichiarazione di indipendenza del Kosovo potrebbe influenzare la situazione bosniaca?
Credo ci sia una sopravvalutazione della questione del Kosovo, relativamente alle eventuali conseguenze sullo scenario bosniaco. Questo si è visto già un anno fa, quando ci sono stati i disordini e le violenze in Kosovo, gli effetti sulla Bosnia sono stati minimi. Noi crediamo che non ci sia un collegamento diretto tra le due questioni. Se c’è collegamento, questo va visto a livello della regione. Per questo diciamo che non si può mantenere l’attenzione solamente sulla Bosnia, perché se ad esempio la Croazia entra nell’UE significa che una parte dei cittadini bosniaci, che hanno anche la cittadinanza croata, saranno membri dell’UE, se uno Sloveno divenisse il prossimo Alto Rappresentante o Rappresentante Speciale dell’Unione Europea sarebbe un segnale fortissimo per l’insieme della regione, è sbagliato avere un discorso centrato solo su uno o due elementi. Ovviamente la questione del Kosovo è importante, ma credo ci sia una sopravvalutazione dell’impatto che questo unico elemento potrebbe avere sulla Bosnia.
Che cosa potrebbe contribuire al progresso e al cambiamento nella Bosnia di oggi, dieci anni dopo la fine della guerra?
Uno choc, uno choc politico. Credo che l’arresto di Karadzic e Mladic potrebbe esserlo, un cambiamento che potrebbe spingere avanti i politici locali. Un altro elemento estremamente importante sarebbe una mobilitazione della società civile, paragonabile a quella che ha avuto luogo prima della guerra. Da quando è iniziata la guerra ad oggi non c’è più stata una mobilitazione di massa della società civile in Bosnia, per dire no, bisogna cambiare e andare avanti in altro modo. Credo che questo potrebbe cambiare le cose molto più di quanto ad esempio potrebbe avvenire in Kosovo.
Dayton ha fatto il suo tempo?
Dayton non esiste più, esiste Bruxelles. Ovviamente bisogna tenere conto del passato della Bosnia, del suo lungo passato, cioè anche di quello che è stata la Bosnia prima della guerra, ma Dayton è passato. C’è una porta che si apre verso l’Unione Europa, non è una porta grande, ma pur sempre un’apertura, che rappresenta un avvenire. Questo futuro, senza dubbio difficile, esigerà però che la solidarietà internazionale si esprima in modo diverso da come è stato fino ad ora, meno in forma di influenza diretta, meno alla "Poteri di Bonn", più con un ruolo di facilitatore, cioè con quell’atteggiamento sin qui espresso da tanti progetti di una parte della società civile, come le Agenzie della Democrazia Locale ad esempio. Credo che quella sia la direzione giusta, aiutare ma senza prendere il posto di chi deve stare alla guida, che è il cittadino bosniaco sia di origine cristiana, musulmana, ebrea o altro.
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