Nuova indagine parlamentare sull’uranio impoverito
Il parlamento italiano ha istituito una nuova Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito, operativa da dicembre. Si indagherà questa volta non solo sui militari ma anche sui civili. Nostra intervista al primo firmatario, senatore Gigi Malabarba
Ad inizio ottobre è stata istituita una nuova Commissione parlamentare d’inchiesta sulla questione uranio impoverito. Quali le differenze rispetto alla precedente?
La Commissione Difesa ha deciso l’istituzione di una nuova Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito in sede deliberante, sulla base dell’accordo tra tutti i gruppi, e questo dovrebbe far superare le difficoltà che abbiamo avuto nella passata legislatura. Il dato estremamente positivo è che non abbiamo neanche dovuto ricorrere al voto dell’aula. L’istituzione di questa Commissione è stata la più veloce nella storia della nostra Repubblica, anche perchè si tratta della continuazione di un lavoro già avviato che gode del sostegno del 20% dei senatori di tutti i gruppi, concordi sul fatto che il lavoro debba continuare. Io sono il primo firmatario, ma se non ci fosse stato il sostegno di tutti i gruppi non ci sarebbe stata la possibilità di istituirla così velocemente.
Che cosa era successo allora? Sappiamo che sono state molteplici le difficoltà incontrate durante l’anno di lavoro della prima Commissione…
C’erano state reticenze di alcuni gruppi, in particolare Forza Italia, che aveva sia il Ministro della Difesa che il Presidente del Senato, ed ha avuto un ruolo forte di freno e sabotaggio. Questa volta, credo grazie soprattutto al lavoro fatto da tutta la Commissione l’anno passato, si sono fugati tutti i dubbi relativi a possibili attività propagandistiche che avrebbe potuto svolgere la Commissione ai danni delle gerarchie militari, del ministero della Difesa o delle Forze armate. Le cose che avevamo chiesto e che non ci sono state date allora le dobbiamo ottenere assolutamente ora, da parte del ministero della Difesa, e riguardano innanzitutto i dati su cui è possibile costruire degli elementi statistici fondanti.
Con quali presupposti parte il lavoro della nuova Commissione?
Allo stato attuale il lavoro è stato parziale, perché non ci sono mai stati forniti i dati. Penso che la Commissione possa entrare in funzione già prima di Natale e possa riconfermare la squadra molto valida che abbiamo avuto l’anno passato. Conterà sempre 21 membri e anche il numero dei consulenti dovrebbe essere riconfermato, anche perché sono persone che si sono dimostrate molto valide e sono ormai diventate di fama internazionale. Dopodiché abbiamo avuto anche la possibilità, che ho voluto introdurre come elemento legato alle valutazioni che avevamo fatto nella passata legislatura, di allargare il campo alle popolazioni civili sia attorno ai poligoni di tiro sia ai teatri di guerra che sono stati oggetto dell’intervento delle nostre missioni militari.
Come intendete allargare il campo di indagine ai civili?
Non è possibile pensare di fare un’indagine epidemiologica di massa nei territori dei Balcani, in Afghanistan e Iraq. Però è possibile acquisire degli elementi mirati in situazioni specifiche in cui ci sono state delle evidenze sulle popolazioni civili, che possono essere di conforto rispetto alle presenze più limitate nel tempo dei nostri militari. Raggiungere la verità sul rapporto causa effetto rispetto a determinati munizionamenti, all’uranio impoverito ma anche altri, è più facile se allarghiamo la possibilità d’indagine sul territorio a chi è stato stabilmente in quella realtà dall’inizio. Per quanto riguarda i Balcani questo è fondamentale perché lì abbiamo popolazioni civili che, benché vi siano dati dispersi, hanno vissuto tragedie immani, sono cadute come mosche.
Nel 2001, scoppiato lo scandalo a seguito delle prime denunce di militari morti, si era avviato in Italia con decreto il monitoraggio sanitario dei militari e dei civili italiani che avevano operato nei Balcani. Si è concluso il primo quinquennio di raccolta dati. Sebbene l’adesione al monitoraggio fosse su base volontaria e i numeri dei soggetti che hanno aderito non siano alti, esistono oggi dati sui risultati?
Sappiamo che ci sono delle persone che durante il servizio civile si sono ammalate, ma non abbiamo i dati statistici neppure di quelli che avevamo chiesto istituzionalmente, e cioè dei militari. C’è stato un sabotaggio da parte del ministero delle Difesa, che è quello che ci potrebbe dare degli elementi e che ha fatto di tutto per disperdere i dati. Parlo soprattutto di militari, perché è ciò di cui ci siamo occupati nel lavoro di indagine della prima Commissione. Avremmo avuto la possibilità, attraverso anche la stessa Commissione Mandelli che prevedeva monitoraggi prima, durante e dopo la missione, di avere un passaggio anche in alcune zone particolari, cioè in alcuni ospedali militari. Lavorando a ritmo serrato, ad esempio presso l’ospedale militare di Padova, avremmo potuto avere una campionatura molto precisa di tutti i dati. Invece, nonostante ci fosse il problema di recuperare questi dati statistici, i militari sono stati invitati a rivolgersi a ospedali qualsiasi con la scusa che sarebbe stato più comodo magari curarsi vicino a casa. Il risultato è che si è disperso il dato degli stessi militari, e neppure i distretti militari delle singole realtà sono stati in grado di fornire il dato specifico della loro zona.
La nuova Commissione prevede di allargare l’indagine ai civili, potreste quindi pretendere di conoscere i dati del monitoraggio effettuato su di loro in questi anni, per quanto esiguo…
La Commissione non ha oggi a disposizione nessun dato rispetto ai civili. Introducendo il nuovo elemento della ricerca anche su questa categoria, però, la Commissione è abilitata oggi ad occuparsene e dunque a pretendere di analizzare i dati. In alcune realtà, anche a Baghdad, piuttosto che a Kabul o altrove, ci sono ospedali che possiedono elementi relativi all’evoluzione sanitaria nel corso degli anni. Conosciamo i disastri della guerra… Ma esistono pur sempre dei dati. Anche a Sarajevo, che è stata completamente distrutta, e i cui archivi sono stati dispersi, ci sono dati significativi che, se utilizzati all’interno della prima Commissione d’inchiesta, ci avrebbero aiutato a capire meglio l’evoluzione delle patologie in relazione ai bombardamenti. Mettere ad esempio la dottoressa Gatti responsabile del laboratorio dei biomateriali presso l’Università di Modena, ndr in condizione di poter analizzare le persone che hanno subito gli effetti dei bombardamenti è un percorso che ci può aiutare per scoprire la verità rispetto ai nostri militari.
Il sistema Italia opera nei Balcani con interventi di cooperazione grazie a fondi, come la legge 84/01, stanziati ad hoc per la stabilizzazione dell’area. Progetti di tutela e recupero ambientale, di sviluppo del turismo, di valorizzazione delle risorse locali, di sminamento, e tanto altro. Possibile pensare di chiudere il cerchio e far sì che l’Italia, se dovesse essere riconfermato il rifinanziamento della legge 84, possa indagare ma anche riparare in qualche maniera ai danni causati dai bombardamenti con uranio impoverito di cui siamo anche noi responsabili?
Si tratta di un auspicio. La mia valutazione è molto negativa e sono un po’ pessimista, a riguardo, sebbene mi auguro di sbagliarmi. Io ho chiesto al sottosegretario Casula, che si occupa della parte sanitaria presso il ministero della Difesa, che ci sia la possibilità di avere nel nostro paese un centro di eccellenza per riuscire a monitorare queste situazioni. Il centro potrebbe basarsi sul lavoro fatto all’Università di Modena e Reggio Emilia dalla dottoressa Gatti, e all’ospedale militare di Padova dal dottor Enzo Chinelli. Se noi mettessimo insieme queste energie potremmo dare un contributo importante anche ai fini dell’attività disinquinante di quei territori, perché mettiamo a disposizione anche le competenze del nostro paese in quel settore. Se però non abbiamo la volontà di andare a concentrare le energie laddove le cose stanno funzionando, ho l’impressione che anche la cooperazione rischi di vanificarsi e addirittura diventare uno dei supporti alle attività militari… La mia preoccupazione è data dal fatto che su questo il nuovo governo non ha espresso una forte discontinuità, almeno fino ad oggi. Mi auguro di sbagliarmi…
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