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(Nord) Macedonia, il prezzo di un nome

Col supporto di alcuni deputati dell’opposizione, il governo di Skopje ha fatto partire il processo di modifica di costituzione e nome del paese. Un percorso che nasce tra le polemiche e che dovrebbe terminare non prima di gennaio 2019

23/10/2018, Ilcho Cvetanoski - Skopje

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Venerdì 19 ottobre, in tarda serata, il Parlamento macedone ha avviato la fase finale dell’attuazione degli accordi di Prespa con la Grecia, ossia il cambio del nome costituzionale della Repubblica di Macedonia in Repubblica di Nord Macedonia, insieme ad altri tre emendamenti costituzionali.

Dopo cinque giorni di dibattiti, negoziati e contrattazioni, i partiti pro-accordo, sostenuti dalla diplomazia internazionale, sono riusciti a ottenere la necessaria maggioranza qualificata di due terzi, 80 parlamentari su 120. Più facile a dirsi che a farsi, poiché i partiti pro-accordo disponevano di 72 voti, e gli altri otto potevano essere ottenuti solo dall’opposizione VMRO-DPMNE.

La storia di come sono stati ottenuti quegli otto voti ricorda il serial tv "House of Cards". Per alcuni, guidati dal motto "il fine giustifica i mezzi", si tratta di un ragionevole prezzo da pagare per sbloccare l’integrazione euro-atlantica della Macedonia. Per altri, invece, evidenzia il problema centrale della società macedone: il disprezzo dei principi democratici e dello stato di diritto. In ogni caso, il processo è ora avviato.

Tuttavia, l’accordo non è ancora sigillato, poiché gli emendamenti devono ancora essere discussi e votati in Parlamento. Nel migliore dei casi, l’intera procedura potrebbe concludersi a metà gennaio 2019. Solo allora il nuovo nome ufficiale sarà Repubblica del Nord Macedonia e non, come hanno scritto molti media internazionali, dopo il voto di venerdì scorso.

Come è successo?

Dopo il fallimentare "referendum sul nome" del 30 settembre, quando l’affluenza è stata del 36,89%, ben al di sotto della soglia del 50% più uno, c’erano due opzioni sul tavolo per il primo ministro Zoran Zaev e la sua coalizione di governo. Trovare 8 voti VMRO-DPMNE per continuare il processo (cosa che sembrava del tutto improbabile in quel momento) o richiedere elezioni anticipate, sperando che tutti i partiti pro-accordo ottenessero una maggioranza di 2/3. Questo, tuttavia, sembrava un obiettivo quasi impossibile, dal momento che in uno scenario del genere il fronte VMRO-DPMNE avrebbe dovuto ottenere meno di 40 seggi, rispetto agli attuali 51. Senza una significativa possibilità di ottenere la maggioranza dei 2/3, le elezioni anticipate probabilmente sarebbero state solo uno spreco di tempo, rischiando di approfondire ulteriormente l’attuale crisi politica.

Pur rifiutando inizialmente una tale opzione, il leader VMRO-DPMNE Hristijan Mickoski, incoraggiato dall’insuccesso del referendum, ha iniziato a spingere per le elezioni anticipate, affermando che gli accordi di Prespa sono politicamente morti. In una tale atmosfera è iniziata la sessione parlamentare di lunedì 15 ottobre. Durante il dibattito parlamentare, la coalizione guidata dallo SDSM, con l’aiuto della comunità internazionale, avrebbe dovuto convincere i parlamentari dell’opposizione a sostenere gli accordi con Atene. E la prima spinta in quella direzione è arrivata il giorno successivo.

L’assistente segretario di Stato americano Wess Mitchell, infatti, ha inviato una lettera a Mickoski, dichiarando la delusione degli Stati Uniti per l’attuale posizione del VMRO-DPMNE. "Vi esortiamo a creare spazio, pubblicamente e privatamente, affinché i parlamentari della vostra coalizione decidano in che modo votare sui cambiamenti costituzionali liberi da minacce di violenza, ritorsione o altre forme di coercizione", dichiara la lettera aperta, aggiungendo che nonostante le teorie di un possibile "accordo migliore" con la Grecia, gli Stati Uniti "non credono che questo sia possibile".

Un’altra spinta fondamentale per assicurare la maggioranza dei 2/3 è stato il discorso di Zaev all’inizio della sessione plenaria. Zaev ha detto che ora è il momento della riconciliazione per quanto riguarda l’assalto al Parlamento dell’anno scorso. "Invio un messaggio di perdono e riconciliazione per il 27 aprile e gli eventi accaduti", ha detto Zaev. Anche se non ha usato la parola "amnistia", tutti hanno letto tra le righe esattamente questo, specialmente perché vari parlamentari VMRO-DPMNE sono tra gli imputati sotto processo per accuse di terrorismo.

Il voto

Venerdì 19 ottobre, la sessione plenaria è durata tutta la giornata, ma il voto era previsto dopo lunedì 22 ottobre, data della visita di Matthew Palmer, vice segretario di Stato degli Stati Uniti, nonostante le ipotesi che la maggioranza fosse stata assicurata e che il voto sarebbe avvenuto più tardi quel giorno. Alle 22, invece, i parlamentari sono stati chiamati a votare sulla proposta del governo di emendare la costituzione. Esattamente 80 parlamentari hanno votato sì, inclusi otto dalla coalizione VMRO-DPMNE.

Durante il voto elettronico, i parlamentari dell’opposizione si sono trasferiti all’estremità della sala, lasciando solo quegli otto a sedere nello spazio designato per l’opposizione. Poi, in seguito alla richiesta del coordinatore VMRO-DPMNE, è seguita un’altra votazione pubblica. Di nuovo, gli stessi otto parlamentari hanno votato sì. Spiegando le loro ragioni, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che condizionava il loro ulteriore supporto a quattro richieste. Tre condizioni si concentrano su ulteriori garanzie per l’identità macedone, mentre la quarta dovrebbe garantire che, se la Grecia continuerà a bloccare l’adesione del paese all’UE e alla NATO, l’accordo sul nome sarà ritenuto nullo.

E ora?

Con il voto di venerdì si è completata la prima parte della fase finale della procedura. Secondo il regolamento interno del Parlamento, l’iniziatore – in questo caso il governo – dovrebbe ora presentare la bozza degli emendamenti costituzionali insieme a una spiegazione al Presidente del Parlamento, che lo distribuirà ai parlamentari e al Presidente della Repubblica.

L’assemblea voterà separatamente ciascuna proposta di emendamento con una maggioranza di 61 su 120 parlamentari. Seguirà la votazione finale e 80 su 120 parlamentari dovranno adottare gli emendamenti alla costituzione. Secondo le proiezioni più ottimistiche, questo potrebbe accadere entro la metà di gennaio 2019 se tutto procede senza intoppi. Questa sarà la fase finale della parte macedone degli accordi di Prespa.

Quindi, l’intesa verrà inviata ad Atene per la ratifica. Marzo 2019 è una sorta di scadenza informale per la piena attuazione dell’accordo. La fretta è legata alle elezioni politiche greche, programmate per la seconda parte del 2019. L’opposizione greca si oppone fermamente all’accordo e se vincesse le elezioni – come è probabile – l’accordo sarà di nuovo congelato.

Le conseguenze

Dopo il voto di venerdì, VMRO-DPMNE ha espulso gli 8 parlamentari che hanno votato sì. Una di loro, Nola Ismajloska-Starova, ha dichiarato ai media locali che non si pente di aver votato sì, aggiungendo che voleva usare lo slancio positivo per avanzare le prospettive del paese. "La mia azione è stata motivata unicamente dall’idea di far progredire la prosperità della Macedonia", ha affermato Ismajloska-Starova.

Il voto è stato seguito da minacce online, bullismo e linguaggio incendiario contro i parlamentari che hanno votato a favore degli emendamenti costituzionali. Come comunicato dai media, un servizio di sicurezza 24/7 è stato assegnato non solo alle famiglie dei parlamentari VMRO-DPMNE che hanno votato sì, ma anche ad alcuni della coalizione di governo.

Tuttavia, il dilemma principale dopo il voto di venerdì è: il fine ha giustificato i mezzi? Zoran Zaev e il governo hanno negato con veemenza ogni trattativa dietro le quinte, affermando che il discorso sulla riconciliazione e il perdono è stato erroneamente interpretato come offerta di amnistia per i parlamentari VMRO-DPMNE sotto processo.

Fatto sta che tre di quegli otto – Krsto Mukoski, Ljuben Arnaudov e Sasho Vasilevski – sono accusati di terrorismo per aver preso d’assalto il Parlamento e sono stati rilasciati dai domiciliari subito dopo il discorso di Zaev sulla riconciliazione e il perdono. L’ex ministro della Cultura Elizabeta Kancheska-Milevska è sotto inchiesta per presunti illeciti durante il suo mandato. Il figlio di Vladanka Avirovikj, deputato dell’opposizione del Partito socialista, è stato condannato a tre anni di prigione. Solo Emilija Aleksandrova e Nola Ismajloska-Starova non sono soggette a sanzioni legali.

È più che evidente che le trattative a porte chiuse sono andate avanti per giorni, fino all’ottenimento della maggioranza dei 2/3. Alcuni media hanno persino ipotizzato che sia stato offerto del denaro. Alcuni diranno che questo è un piccolo prezzo da pagare per un futuro brillante, altri che è solo un altro precedente in una lunga serie. In ogni caso, i prossimi sviluppi daranno una risposta chiara. Le prospettive euro-atlantiche sono state salvate con degli scambi o i parlamentari VMRO-DPMNE hanno davvero cambiato idea sugli interessi della (Nord) Macedonia?

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