Non si è mai stati così bene in Serbia
Un commento sarcastico e tagliente, un ritratto della Serbia di oggi visto da chi ha vissuto le proteste degli anni ‘90 contro quello che pensava fosse il peggiore regime possibile
In Serbia non si è mai vissuto meglio. Già da tre anni le casse pubbliche registrano un avanzo. L’élite al potere sta conseguendo un successo dopo l’altro. Non c’è stato alcun taglio alle pensioni. Le persone non lasciano il paese in massa. I rapporti con i paesi vicini sono ottimi, non sono mai stati migliori. Omicidi e crimini non avvengono quasi mai. E quelli avvenuti in passato sono stati ormai risolti. La polizia arresta e il tribunale emette subito la sentenza.
Siamo quasi diventati membri dell’Unione europea, ancora uno, due passi e ci siamo. Manteniamo ottimi rapporti con la Russia e nessuno ce lo rimprovera. Siamo un fattore di stabilità. Risolveremo presto anche la questione del Kosovo, perché il nostro presidente non dorme ed è costantemente impegnato nella ricerca di una soluzione pacifica, sostenibile e reciprocamente accettabile.
Le minoranze godono di tutti i diritti. Anche le ultime due edizioni del Gay Pride si sono svolte senza problemi. E i media? Non sono mai stati così liberi! Ognuno può dire quello che vuole e quando vuole, senza suscitare alcuna protesta. Le conferenze stampa straordinarie convocate d’urgenza appartengono ormai al passato.
Il parlamento funziona benissimo. I deputati della maggioranza, non quelli dell’opposizione, presentano diverse centinaia di emendamenti ad ogni singola legge. Svolgono il loro lavoro con coscienza. Leggono attentamente le proposte di legge, individuano le lacune e le correggono in tempo. Così i deputati dell’opposizione non devono fare nulla. Possono tranquillamente stare seduti e ricevere il loro stipendio parlamentare.
Il sistema sanitario e quello scolastico funzionano alla grande. Negli ultimi tre anni nessun medico è partito per la Germania, la Slovenia o qualche altro paese. Tutto funziona. In Serbia non si è mai stati meglio.
Proteste
Sabato, 2 febbraio. Una giornata sorprendentemente bella e calda per questo periodo dell’anno. Mio marito e io stiamo aspettando l’autobus. Vediamo alcuni conoscenti avvicinarsi. Ci scambiamo sguardi. Noi chiediamo: “Andate alla protesta?”. Loro rispondono: “Andiamo alla protesta”. Non ci siamo visti per anni. Ed eccoci di nuovo qui, spinti dagli stessi motivi, pronti ad andare alla manifestazione di protesta che da diverse settimane viene organizzata a Belgrado, in Piazza degli Studenti, dove negli anni Novanta protestavamo contro l’allora governo serbo, che pensavamo fosse il peggiore possibile.
Per quelli che non lo sanno – ed è del tutto normale che ci siano persone che non lo sanno, perché si tratta di fatti appartenenti al passato – , a Belgrado e in tutta la Serbia, per un intero decennio, dal 1991 al 2000, i cittadini hanno protestato contro un governo che li ha umiliati, ridotti in miseria, sotto le sanzioni e spinti in conflitto coi vicini; un governo che ha combattuto e perso guerre; un governo che ha ucciso i suoi oppositori politici.
Poi nel 2000 abbiamo finalmente vinto. Noi, cittadini “normali” di questo paese. E pensavamo che fosse finita, che fosse finalmente giunto il momento di tirare un sospiro di sollievo, che non saremmo mai stati costretti ad andarcene dal paese, che sarebbe bastato avere un po’ di pazienza finché la nuova élite politica non fosse riuscita a ricostruire il sistema, che non avremmo più dovuto scendere in piazza, che avremmo potuto dedicarci alle nostre vite, lavorare, costruire una famiglia, goderci la pensione.
Ho passato la mia giovinezza a quelle proteste. E non me ne pento. È stato difficile. È stato pericoloso. Ma è stato anche bello. Ed è stato necessario.
Pensavo che non avrei mai più dovuto protestare. Lo pensava la maggior parte dei miei coetanei. E di quelli un po’ più vecchi di me. E di quelli molto più vecchi di me che anche adesso, ogni sabato scendono in strada per protestare; alcuni sono ormai in età avanzata, altri camminano a malapena.
Déjà vu
Sabato, 2 febbraio. Siamo arrivati in piazza. Questa volta abbiamo portato anche i nostri figli. Ovunque mi girassi vedevo facce familiari. Vedevo le stesse persone che avevano partecipato alle proteste del 1996. Siamo un po’ invecchiati ma ci riconosciamo ancora. Siamo molti. Molti di più rispetto ai sabati precedenti, così dicono. Pian piano sempre più persone si aggiungono alla manifestazione, perché evidentemente non sanno ancora che in Serbia oggi si vive meglio che mai.
L’atmosfera è noiosa. Non c’è quell’energia degli anni Novanta. Il tutto è organizzato in modo amatoriale. I relatori sono in ritardo. Li conosciamo quasi tutti. Tenevano discorsi anche negli anni Novanta. Parlano troppo a lungo. Ci fanno male i piedi. Dopotutto, abbiamo vent’anni in più.
Non c’è alcun palco, ma un camion con altoparlanti. Anche se volessi ascoltarli, non riuscirei a sentire niente. Per capire quello che stanno dicendo dovrei raggiungere le prime fila. Non so molto sugli organizzatori delle proteste. Sono giovani. Non sono membri di alcun partito politico. Non mi sembrano molto creativi e non sono sicura che abbiano idee chiare su cosa fare. Eppure, eccomi qui, alla manifestazione di protesta. Che si fa sempre più grande. E, guarda caso, ci sarò anche il prossimo weekend con la mia famiglia e i miei amici. E non si protesterà solo a Belgrado. Pian piano le proteste si estendono, come piccoli incendi, a tutto il paese. Novi Sad, Niš, Kragujevac, Požega, Kula, e anche Kosovska Mitrovica.
Protestiamo perché in Serbia non si riesce più a respirare. È stato cancellato quel poco di democrazia che avevamo conquistato. Un uomo decide tutto. Gli esponenti del partito al governo assomigliano a clown. Ogni notizia pubblicata viene accompagnata da elogi ad Aleksandar Vučić. Siamo stufi di ascoltare che Vučić non dorme di notte perché si preoccupa di noi. Ci viene la nausea a sentirlo parlare a mezza voce di come si dimetterà quando glielo chiederà il popolo. O quando dice che non cederà alle richieste dei cittadini che protestano nemmeno se fossero in cinque milioni.
Siamo di nuovo diventati – come diceva anche la propaganda del regime di Milošević – mercenari al soldo degli stranieri e traditori della patria. Ci tornano in mente tutte le immagini degli anni Novanta, quando l’attuale presidente diceva quello che pensava veramente, cioè, giusto per ricordare, l’ideologia dell’odio nei confronti del diverso. Dall’odio non può nascere l’amore.
Perché protestare
Protestiamo per le pensioni tagliate e per gli stipendi che non ci permettono di vivere dignitosamente, e questo nonostante un surplus di bilancio. Protestiamo perché non abbiamo più né il parlamento, né il governo, né i tribunali, né le procure, né alcuna istituzione indipendente.
Abbiamo solo il presidente. E quelli che la pensano come lui e non temono nulla. I media non sono liberi, ad eccezione di poche emittenti che coprono solo Belgrado e la Vojvodina e alcuni giornali a bassa tiratura. La Radio televisione della Serbia ha quasi superato quello che faceva negli anni Novanta. Chi si informa attraverso il servizio pubblico forse non sa nemmeno che in Serbia sono in corso le proteste. Ogni notizia, su qualsiasi emittente televisiva inizia con queste parole “Il presidente Aleksandar Vučić…” e così per venti minuti.
Protestiamo contro la crescente povertà dei cittadini e contro l’arricchimento vergognoso delle persone vicine al governo. Protestiamo per le leggi abolite, per il progetto Belgrado sull’acqua e il caso Savamala, per i criminali con dei passamontagna in testa che di notte distruggono quello che vogliono, per i criminali che decidono delle nostre vite, per le luminarie natalizie a Belgrado che brillano da settembre ad aprile, mentre i soldi spesi per acquistarle potrebbero essere usati per risolvere problemi sempre più numerosi.
Siamo scesi in strada a causa dell’arroganza che non conosce limiti, a causa di politici incapaci, semianalfabeti e analfabeti che non fanno altro che accondiscendere al volere del leader.
Protestiamo anche in nome dell’opposizione penosa, disorganizzata e colpevole di molte cose.
Protestiamo perché non abbiamo altra scelta. Protestiamo per salvare la nostra vita e quel poco di dignità che ci è rimasta.
Dicono che in Serbia non si è mai vissuto meglio.
Mentono spudoratamente.
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