‘Non puoi fermare una guerra con i movimenti contro la guerra, ma puoi farla finire prima’
In molti si chiedono il senso dei movimenti pacifisti quando è in corso una guerra. Le posizioni contro l’invasione possono cambiare qualcosa? Valgono i rischi che fanno correre? Che senso hanno queste azioni se la guerra continua a prescindere? Risponde a queste domande Igor Blažević, attivista per i diritti umani
(Originariamente pubblicato dal portale russo Meduza *, tradotto e ripubblicato in italiano da Valigia Blu )
Secondo i media controllati dal Cremlino, la stragrande maggioranza dei russi sostiene la guerra contro l’Ucraina. Non esiste un movimento di massa contro l’invasione, sostengono i propagandisti di stato, anche se le autorità identificano e perseguono senza sosta le persone comuni che criticano l’"operazione speciale" sui social, o durante piccole proteste con striscioni che recitano "No alla guerra!". Queste posizioni contro l’invasione possono cambiare qualcosa? Valgono i rischi che fanno correre? Che senso hanno queste azioni se la guerra continua a prescindere? Maria Sereda della Greenhouse of Social Technologies (Teplitsa) ha discusso queste questioni con l’attivista croato-bosniaco per i diritti umani Igor Blažević, che ha partecipato alle consegne di aiuti umanitari in aree di conflitto e ha contribuito a fondare il gruppo di beneficenza People in Need . Per gentile concessione di Teplitsa, il sito russo Meduza ha pubblicato integralmente le osservazioni di Blažević.
Prima di tutto, voglio chiarire che non sono mai stato un attivista contro la guerra. Durante la guerra in Bosnia vivevo a Praga e non c’erano molti bosniaci. Quindi, quello che dovevo fare, a mio avviso, era qualcosa di elementare e abbastanza semplice: da un lato aiutavo a trasferire quanti più aiuti possibili dall’Europa alla Bosnia, dall’altro miravo a presentare agli europei le prove raccolte dai testimoni bosniaci. Il mio ruolo era solo di "facilitazione", in realtà, ma qualcuno doveva farlo.
Quello che lei vorrebbe sapere è se la società civile è in grado di fare qualcosa di più della "facilitazione". Quello che posso dirle è basato sulle campagne contro la guerra che ho seguito nel corso della mia vita: in Croazia e Serbia durante la guerra di Bosnia, in Russia durante la prima guerra cecena e negli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam.
Casualmente, quando ho controllato su Google, aspettandomi di trovare altre decine di movimenti di questo tipo, non ho visto quasi nulla! Non capisco perché: ci sono così tante guerre nel mondo, ma così pochi movimenti contro la guerra. Forse è solo che le fonti in lingua inglese non lo rilevano.
Fermare la guerra non è l’obiettivo
Le campagne contro la guerra non fanno finire le guerre. Nessuna delle guerre che ho citato è finita a causa di una campagna contro la guerra. Le guerre finiscono per altre ragioni: o l’aggressore subisce una grave sconfitta militare, o il numero di vittime diventa troppo alto. Oppure, se le forze dell’avversario sono equivalenti, la guerra può entrare in una situazione di stallo che dura per anni, finché entrambe le parti non esauriscono le risorse.
È così che finiscono le guerre.
Ma se le cose stanno così, qual è il ruolo di una campagna contro la guerra? Intuitivamente, sembra che l’obiettivo di un movimento contro la guerra debba essere quello di fermare la guerra. Se non può farlo, è inutile, giusto? No. Per evitare la cocente delusione che si prova quando ci si rende conto di essere impotenti a fermare una guerra, è fondamentale capire subito qual è il vero scopo di un movimento contro la guerra.
Prima fase: Voci solitarie
La prima cosa che un movimento contro la guerra può ottenere è creare uno spazio per l’espressione di punti di vista alternativi, dove le persone che non applaudono alla guerra possano pensare, parlare e agire. All’inizio di ogni guerra, la stragrande maggioranza della popolazione applaude: "Evviva!". Quindi, la prima cosa che si può fare è mostrare che non tutti vedono le cose in quel modo. Tutto ciò che si deve fare è mostrare che esiste un’altra prospettiva, e questo è tutto.
Può sembrare una sciocchezza, ma è un passo fondamentale, perché queste voci solitarie contro la guerra creeranno l’opportunità di cambiare gli umori dell’opinione pubblica in futuro. Quando l’umore delle persone inizierà a cambiare, saranno di più le pesone pronte a unirsi a un movimento contro la guerra. Se tutti tacciono e non c’è un movimento in atto, invece, non ci sarà nulla a cui unirsi.
La cosa da capire è che questa prima fase di "voci solitarie" può durare anni. È stato il caso della Serbia e della Croazia: per diversi anni, solo individui isolati si sono opposti alla guerra, e la maggior parte della gente li disprezzava per questo. Le autorità non hanno nemmeno avuto bisogno di reprimere i movimenti contro la guerra: i propagandisti dei media erano perfettamente in grado di gestirli da soli.
In altre parole, non aspettatevi di cambiare le menti durante questa prima fase. Questo sarà possibile solo in seguito. A questo punto, la priorità è portare le dichiarazioni contro la guerra nello spazio pubblico, semplicemente perché esistano.
Seconda fase: piccole comunità
La seconda fase nella costruzione di un movimento consiste nel formare piccole comunità di persone che si oppongono alla guerra. Questo è possibile solo quando le dichiarazioni contro la guerra esistono nello spazio pubblico. Senza questa presenza, coloro che si oppongono alla guerra non saranno in grado di riconoscersi tra la maggioranza favorevole alla guerra.
Queste comunità non devono essere necessariamente grandi; a volte sono letteralmente gruppi di auto-aiuto in cui le persone semplicemente si sostengono a vicenda. Ma questo sostegno è fondamentale perché ogni persona che vive la guerra come una tragedia si sente anche totalmente isolata, sola e impotente. In questo stato, è particolarmente importante trovare persone affini. È importante sapere che: "Ok, sono in minoranza, ma non sono solo! Non sono pazzo – ci sono altri che la pensano come me". Questo è importante perché non si può agire se non si è in grado di affrontare il trauma della guerra e il trauma dell’isolamento.
Terza fase: cambiare l’opinione pubblica
Per comprendere questa fase, è necessario esaminare il funzionamento dell’opinione pubblica in relazione alle guerre. All’interno di una società esistono sempre diversi gruppi.
I "sostenitori attivi" costituiscono il primo gruppo. Sono la maggioranza. All’inizio di una guerra, segnalano attivamente il loro sostegno con parole e azioni. Molte di queste persone mobilitano volentieri anche gli altri, convincendoli che la guerra è qualcosa di buono. Questo tipo di mobilitazione è fondamentale per il regime politico, e le autorità incoraggiano con zelo questo processo attraverso la propaganda, perché è impossibile condurre una guerra a lungo senza il sostegno popolare. All’inizio di una guerra, questo sostegno è sempre massiccio, con fino al 90% della popolazione che fa il tifo.
Anche il gruppo successivo è piuttosto numeroso: i "sostenitori passivi". Si tratta di persone che non amano la guerra e non si sentono a proprio agio nel tifare a favore, ma non hanno la lucidità di pensiero, la determinazione civile e il coraggio umano di base per assumere un atteggiamento negativo nei confronti della guerra. Quindi sostengono la guerra ma passivamente. Se devono sventolare una bandiera a una manifestazione, lo faranno, ma a casa, intorno al tavolo della cucina, diranno: "Sento che c’è qualcosa che non va".
Gli "oppositori passivi" della guerra costituiscono il terzo gruppo. Evitano tranquillamente di partecipare al sostegno attivo alla guerra. Se qualcuno chiede loro di presentarsi a una manifestazione a favore della guerra per sventolare una bandiera, trovano una scusa per non andarci. Alcune persone di questo gruppo potrebbero esprimere apertamente una posizione contraria alla guerra, ma solo in situazioni relativamente prive di rischi. Se è sicuro fare qualcosa come firmare una petizione, la firmeranno.
E poi ci sono gli "oppositori attivi" della guerra. Sono le persone che si esprimono con fermezza, anche se questo provoca l’indignazione della maggior parte delle persone e rischia la persecuzione. A volte lo fanno con proteste pacifiche, altre volte con atti di sabotaggio, come versare sabbia nei serbatoi dei carri armati.
Di norma, le persone non saltano da un gruppo all’altro, ma passano gradualmente ai gruppi più vicini una volta che la loro opinione sulla guerra cambia. Perciò si può pensare al cambio di opinioni come a delle navi collegate: se si convince una parte significativa di un gruppo a trasferirsi in un altro, si può creare un movimento di persone da quest’ultimo gruppo al successivo.
Certo, gli spostamenti sono più difficili quando ci sono dei rischi associati, ad esempio quando le persone contrarie a una guerra possono subire persecuzioni o essere ostracizzate. Ma questo non significa che sia impossibile spostare le persone in più gruppi contro la guerra: occorre invece che la transizione avvenga in modo più graduale.
E quale obiettivo dovrebbe perseguire un movimento contro la guerra nella sua terza fase? Penso che dovrebbe essere quello di reclutare i sostenitori attivi della guerra nella resistenza passiva. Perché non è realistico pensare di poter convertire tutti in audaci e coraggiosi attivisti contro la guerra. Se si allontanano le persone dal sostegno attivo alla guerra, si indebolisce notevolmente la capacità del regime di combattere a lungo.
Si può anche provare a spostare le persone dal "sostegno passivo" al gruppo della "resistenza attiva", ma è importante ricordare che entrambi questi gruppi rappresentano una minoranza della popolazione. Se questa minoranza di "resistenza attiva" è di 1.000 persone e riuscite a farla crescere fino a 10.000 naturalmente è grandioso, ma parliamo comunque di una goccia nel mare in un paese come la Russia, che conta 145 milioni di persone. Una trasformazione più significativa sarebbe seminare dubbi tra la maggioranza che tifa per la guerra. E questo è del tutto realistico. Lo abbiamo visto accadere più di una volta in diversi paesi.
In una certa misura, questi cambiamenti nell’opinione pubblica avverranno da soli. L’opinione pubblica percepirà sempre più i costi della guerra e la propaganda perderà la sua efficacia, facendo diminuire gradualmente il sostegno alla guerra. Ma un movimento attivo contro la guerra può accelerare drasticamente questo processo.
Accettare le responsabilità e creare spazio per il futuro
Un movimento contro la guerra ha anche un altro compito importante. La tempistica di questo lavoro va verso un futuro lontano, ma è strettamente legata a ciò che accade ora. Quando la guerra sarà finita, in molti settori della vita pubblica, ci sarà bisogno delle persone che si sono opposte alla guerra fin dall’inizio – persone con il diritto morale di dire: "Questo incubo è finito. Ora dobbiamo assumerci la responsabilità di ciò che è accaduto e usarla per costruire un nuovo paese e nuove relazioni con i nostri vicini".
Persone come Konrad Adenauer, l’ex cancelliere della Germania Occidentale che ha gettato le fondamenta di un nuovo Stato democratico sulle rovine della Germania nazista, lavorando con una popolazione che fino a poco tempo prima aveva acclamato Hitler e la sua guerra. Persone come l’ex cancelliere della Germania occidentale Willy Brandt, che ha combattuto attivamente il nazismo durante la guerra, mentre era in esilio, e che si è notoriamente inginocchiato a Varsavia nel 1970.
In altre parole, un movimento contro la guerra forma un gruppo di persone che un giorno potranno guidare il paese nel futuro. Questo è un aspetto critico. Oggi, sia in Serbia che in Croazia, ogni personaggio pubblico deve rispondere alla domanda: "Cosa facevi durante la guerra? Hai le mani sporche di sangue?". Questo tema rimarrà importante per gli anni a venire, e non solo per i politici. In tutte le istituzioni e sfere della vita, della cultura, dei mass media e dell’educazione, ci sarà bisogno di persone con il diritto morale di dire: "Assumiamoci la responsabilità di ciò che è accaduto e iniziamo a costruire un nuovo Stato che escluda i criminali dal potere".
Le voci di un movimento contro la guerra
Ogni movimento contro la guerra ha almeno due tipi di voci. In primo luogo, c’è la voce di chi possiamo considerare l’élite morale. Queste persone provengono dalla società civile, dal mondo dell’arte e della musica alternativa. Le loro voci sono di solito le prime a essere ascoltate perché sono in grado di assumersi la responsabilità di ciò che sta accadendo. Ma il grado di influenza che queste persone esercitano è sempre modesto.
Per questo motivo, il punto di svolta di qualsiasi movimento contro la guerra è quando attira le voci di un secondo tipo di persone: quelle direttamente colpite dalla guerra. Si tratta dei veterani che sono tornati dal fronte, delle madri e delle mogli di coloro che non sono tornati affatto o sono tornati a casa menomati. Anche queste persone sono una minoranza, ma la loro voce è difficile da ignorare una volta che si uniscono a un movimento contro la guerra.
È facile screditare un musicista punk che canta una canzone contro la guerra: si dirà che è stato pagato per esibirsi, o che è solo un codardo e un traditore. Quando invece è un veterano in sedia a rotelle a schierarsi contro la guerra, è semplicemente impossibile respingere completamente le sue affermazioni. Chi dà vita ai movimenti contro la guerra deve tenerne conto. È necessario coinvolgere il prima possibile nel movimento le persone che sono state colpite dalla guerra e aiutarle a farsi ascoltare. Questo può cambiare completamente le dinamiche di un movimento contro la guerra.
Mantenere l’egoismo
Affinché un movimento contro la guerra abbia una possibilità di successo, è necessario affinare gli argomenti con cui fare presa sul pubblico. Di norma, le prime persone che si esprimono contro una guerra sono quelle spinte dall’indignazione morale e dal senso di responsabilità per i crimini commessi in loro nome. Le prime dichiarazioni contro la guerra sono di solito in questo senso.
Ma parlare di responsabilità, colpa e vergogna non è il modo migliore per ottenere il sostegno del pubblico. Per questo è necessario discutere degli interessi personali delle persone. La gente non vuole che i propri figli muoiano in guerra. Non vuole un’economia in rovina. Non vogliono che una bomba nucleare cada su di loro. La consapevolezza di tutto questo può ridurre il desiderio del pubblico di continuare a combattere. In questo momento, il costo della guerra è nascosto alla gente in Russia, e i fan della guerra non capiscono realmente quanto costa alle loro tasche. Se volete il loro sostegno, rendete evidenti i costi della guerra.
Anche parlare di crimini di guerra e di assunzione di responsabilità per i danni causati dal paese aggressore è fondamentale, ma questo è un compito a parte. In Serbia hanno gestito bene questo aspetto: molteplici organizzazioni per i diritti umani si sono impegnate a documentare quelli che hanno definito "crimini commessi dalla nostra parte". Hanno ripetuto ostinatamente: "No, non parleremo di ciò che ha fatto il nemico. Sono affari loro, è compito dei loro attivisti per i diritti umani discuterne. Noi facciamo parte di questa società, quindi indagheremo sui crimini commessi dalla nostra parte". E hanno fatto un lavoro straordinario e vitale per documentare i crimini commessi dai serbi. Ma questo non li ha resi popolari in Serbia e non ha nemmeno contribuito
alla crescita del sentimento contro la guerra. Se l’obiettivo è far sì che la gente smetta di sostenerla, non ci riuscirete imponendo alle persone una responsabilità morale. Non sono pronte per questo.
Tenendo presente ciò, penso che anche la società civile russa dovrebbe dividere le sue attività in due direzioni. La prima è documentare i crimini della Russia e assumersi la responsabilità dei danni inflitti all’Ucraina. La seconda è cambiare l’umore all’interno della Russia. Ovviamente, gli attivisti per i diritti umani e i giornalisti che documentano i crimini e invocano la responsabilità non saranno mai popolari in Russia.
Allo stesso tempo, coloro che sostengono che la guerra indebolisce la Russia, distrugge le famiglie russe e impoverisce la popolazione non otterranno mai il sostegno di ucraini ed europei. Questo perché sia l’Ucraina che l’Europa si aspettano naturalmente che si parli di colpe e responsabilità. Ma questo approccio non vi permetterà mai di spostare l’umore della maggioranza dal sostegno attivo alla guerra alla resistenza passiva.
Quando riconnettersi
Sono una persona piuttosto mite. E sono di buon carattere. Per molto tempo dopo la guerra di Bosnia, tuttavia, non ho voluto avere nulla a che fare con i serbi, nemmeno con i serbi che hanno combattuto per anni contro il regime di Milošević. Volevo solo che i serbi uscissero dalla mia vita per un po’. E questo nonostante il fatto che la guerra mi abbia colpito molto meno di coloro che l’hanno vissuta, coloro che ad esempio viveano a Sarajevo. Ho avuto quasi un trauma psicologico. Quindi, si può solo immaginare quanto radicali siano stati i sentimenti degli altri bosniaci nei confronti dei serbi.
Tutto questo per dire che i russi dovrebbero lasciare in pace gli ucraini per un po’. Smettere di essere un fattore nelle loro vite. I russi che si sono opposti al regime e alla guerra potrebbero aspettarsi una qualche forma di comprensione da parte degli ucraini, ma non è il momento di pretendere alcuna comprensione. Penso che la cosa migliore per entrambe le parti dopo la guerra sarà lasciarsi in pace per qualche anno, per lasciare che il tempo faccia il suo lavoro. E poi si potrà iniziare a ricostruire i legami. Oggi ho molti amici in Serbia e sono felice di organizzare lì ogni tipo di evento.
*sito indipendente russo – è possibile sostenere il portale Meduza tramite questa pagina .
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