Nobel a Handke: non c’è futuro per la letteratura
Dopo che lo scrittore Peter Handke ha vinto il premio Nobel per la letteratura si sono scatenate una serie di reazioni sia nei Balcani che a livello internazionale. Al centro delle controversie il revisionismo storico dello scrittore austriaco e il suo sostegno a Slobodan Milošević
La notizia che il premio Nobel per la letteratura 2019 è stato assegnato allo scrittore Peter Handke ha occupato per qualche giorno le prime pagine dei giornali, e questa è certamente un’eccezione nel mondo di oggi in cui la maggior parte delle notizie dura al massimo 24 ore. La letteratura ha semplicemente perso la battaglia contro il sensazionalismo, l’infotainment e altre forme della cultura dello spettacolo, e questo fenomeno ha ormai raggiunto dimensioni preoccupanti.
Reagendo alla notizia dell’assegnazione del premio Nobel a Handke, il PEN America ha emesso un comunicato stampa, firmato dalla scrittrice Jennifer Egan, affermando di essere “sconcertata dalla scelta di premiare uno scrittore che ha usato la sua voce pubblica per screditare la verità storica e ha offerto il suo appoggio ai perpetratori del genocidio, come l’ex presidente serbo Slobodan Milošević e il leader dei serbo-bosniaci Radovan Karadžić. […] In un momento segnato dal crescente nazionalismo, la presenza di leader autocratici e il dilagare della disinformazione in tutto il mondo, la comunità letteraria merita di meglio. Siamo profondamente dispiaciuti per la scelta del Comitato Nobel per la letteratura”.
La maggior parte dei media e delle organizzazioni non governative ha reagito in modo simile, e le loro reazioni potrebbero essere riassunte nell’affermazione secondo cui Handke è “un grande scrittore, che però resterà per sempre macchiato dal revisionismo storico” e ricordato come un sostenitore di Slobodan Milošević, “al cui funerale, dove era uno dei pochi ospiti stranieri, ha persino tenuto un discorso”. Le reazioni più dure sono arrivate dal Kosovo e dalla Bosnia Erzegovina, ed è stata lanciata anche una petizione per chiedere la revoca del premio Nobel assegnato a Handke, ma – come accaduto anche nel 2014 quando il PEN Norvegia aveva chiesto che a Handke venisse revocato il premio Ibsen a causa di alcune sue affermazioni scandalose – il Comitato del Nobel per la letteratura ha risposto brevemente, affermando che il premio una volta assegnato non può essere revocato.
Particolarmente lucide sono state le osservazioni di due scrittori, Aleksandar Hemon e Andrej Nikolaidis. Hemon – che è probabilmente lo scrittore bosniaco-erzegovese più letto all’estero, da anni residente negli Stati Uniti – ha scritto sul New York Times che “la politica del signor Handke ha irrimediabilmente inficiato la sua estetica, e la sua adorazione per Milošević ha inficiato la sua etica”, definendo Handke, non senza cinismo, “il Bob Dylan degli apologeti del genocidio”.
Con l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura 2016 a un cantautore, il Comitato Nobel per la letteratura – consapevole del fatto che negli ultimi decenni questo riconoscimento è stato svuotato di significato – in un certo senso ha oltrepassato le sue competenze, aggiungendo un ulteriore spunto di polemica alle controversie politiche che accompagnano il premio Nobel fin dalla sua istituzione. Bob Dylan è un artista che appartiene al mondo dello spettacolo, il suo principale mezzo di espressione è la musica, e non bisogna dimenticare l’impatto che i testi delle sue canzoni hanno avuto, e continuano ad avere in tutto il mondo.
Andrej Nikolaidis è intervenuto con una riflessione ancora più approfondita e precisa. In un testo intitolato “Ima li mišljenje veze sa pisanjem?” [L’opinione c’entra con la scrittura?], Nikolaidis ha definito Handke come “un classico della letteratura” e “un idiota dal punto di vista morale”, esprimendo alcune osservazioni molto precise sul nazionalismo serbo: “Ci sono potenze globali e locali, grandi e piccole, imperialiste e aspiranti all’imperialismo. La Serbia appartiene al secondo gruppo. Ormai da un secolo la Serbia sta cercando di realizzare il suo piccolo progetto imperiale. Questo progetto è il motivo del suo scontro con il grande impero. Questo progetto – e non un ideale di libertà, l’orgoglio nazionale, la conservazione della purezza della fede e bla bla bla – è il motivo alla base dell’atteggiamento ostile della Serbia nei confronti dell’Occidente. Che ha impedito [ai serbi] di costruire il loro piccolo impero locale. Allo stesso modo in cui l’Occidente si è comportato come una potenza imperiale nei confronti della Serbia, così anche la Serbia si è comportata come un impero nei confronti di tutte le ex repubbliche jugoslave”.
Non c’è nulla da aggiungere né da togliere a queste affermazioni che rispecchiano quasi totalmente la realtà. Chiunque proverà a relativizzarle cadrà nella stessa trappola del revisionismo in cui era caduto Peter Handke quando, all’inizio degli anni Novanta, si era schierato dalla parte di Slobodan Milošević. Un viaggio d’inverno, compiuto da Handke nel 1996 lungo i fiumi Danubio, Sava, Morava e Drina – dal quale è nato un libro, con un appendice intitolato “Giustizia per la Serbia”, nel quale lo scrittore austriaco nega il genocidio di Srebrenica e descrive i suoi incontri con i criminali di guerra – si è trasformato per Handke in un viaggio senza ritorno. Successivamente ha pubblicato altri quattro libri dedicati allo stesso argomento e ha continuato a schierarsi dalla parte sbagliata della storia, motivo per cui probabilmente non sarà ricordato solo come autore di libri ormai diventati cult come “Prima del calcio di rigore”, “Breve lettera del lungo addio”, o come co-sceneggiatore dei migliori film di Wim Wenders “Falso movimento” (1975) e “Il cielo sopra Berlino” (1987).
Per quanto riguarda la decisione del Comitato Nobel per la letteratura di assegnare il premio Handke, non ho nulla da aggiungere, tranne il fatto che le polemiche sull’assegnazione del Nobel a Handke hanno fatto passare in secondo piano la notizia che il premio Nobel per la letteratura 2018 è stato attribuito alla brillante scrittrice e attivista polacca Olga Tokarczuk. Nel 2014 Handke ha dichiarato che sarebbe stato meglio se il Comitato del Nobel non lo avesse preso in considerazione, definendo il premio Nobel come una “falsa canonizzazione che non dice niente al lettore”.
Su quest’ultimo punto aveva ragione. Ma poi ha vinto il premio e lo ha accettato dichiarando che “dopo tutte le polemiche […] è stata una decisione coraggiosa”. Il Comitato Nobel è riuscito a contenere le tensioni suscitate dall’assegnazione del premio Nobel a Handke, un premio desiderato dalla maggior parte degli scrittori, e di “ribadire” ancora una volta i criteri per l’assegnazione, che non sono mai stati chiaramente definiti, tanto che alcuni scrittori, come Gottfried Benn e Jorge Luis Borges, non hanno vinto il premio proprio a causa dell’appoggio fornito a dittatori o criminali di guerra.
Le vittime delle guerre jugoslave non esistono per l’Accademia svedese, esattamente come non esistevano per la comunità internazionale nel momento in cui venivano commessi i crimini che Handke ha negato.
Allora dov’è la letteratura? Sicuramente non nelle parole pronunciate da Albert Camus in occasione del discorso per il ritiro del premio Nobel per la letteratura nel 1957: “La missione dello scrittore è fatta ad un tempo di difficili doveri; per definizione, non può mettersi oggi al servizio di coloro che fanno la storia: è al servizio di quelli che la subiscono. O, in caso contrario, lo scrittore si ritrova solo e privo della sua arte”.
Nulla da aggiungere. Tranne un’affermazione di Mile Stojić, forse il più grande poeta bosniaco-erzegovese contemporaneo, il quale ha scritto: “Il Nobel. Nulla di nuovo. Lo hanno vinto decine di scrittori peggiori di lui, e non lo hanno vinto centinaia di scrittori migliori di lui. Se non avesse scritto contro i musulmani non lo avrebbe nemmeno vinto”.
Se questa affermazione è vera, (e i fatti suggeriscono che lo sia) allora non c’è futuro né per il premio Nobel né per la letteratura. E tanto meno per gli scrittori.
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