No visto no Europa
La questione dei visti costituisce un ostacolo per i cittadini della Serbia. Nonostante le nuove facilitazioni, la zona Schengen resta un’Europa lontana e difficile da raggiungere
L’accordo tra Comunità Europea e Serbia sulle facilitazioni per i visti Schengen è entrato ufficialmente in vigore il 1º gennaio 2008, dopo l’"Accordo di facilitazione del rilascio dei visti tra la Comunità europea e la Repubblica di Serbia" pubblicato sul Giornale Ufficiale dell’Unione Europea il 19 dicembre 2007. Ma i cittadini serbi non sentono alcuna "facilitazione" sulla loro pelle. Per viaggiare devono ancora sottoporsi a esasperanti attese ai consolati senza certezza di risposta, complicate trafile di documenti e, nei casi più fortunati, prolungati e discriminanti controlli ai confini.
A Lubiana, in un meeting tenutosi il 3 aprile tra rappresentanti di organizzazioni civili e delegati della Commissione Europea, si è discusso ancora una volta sulla situazione dei visti nei paesi dei Balcani Occidentali. Proprio a Lubiana, Olli Rehn e il ministro degli Affari Esteri serbo Vuk Jeremić avevano avuto un incontro informale il 29 marzo per fare il punto sulla questione Schengen per la Serbia.
In una lettera aperta diffusa il 2 aprile attraverso la pagina internet del ministero degli Esteri sloveno si leggeva che «ai cittadini della Serbia si dovrebbe dare la possibilità di ottenere visti gratuiti per la zona Schengen al fine di incoraggiare anche in questo modo le forze europeiste del Paese in vista delle elezioni politiche indette per l’11 maggio». Il ministro degli Esteri sloveno Dimitrij Rupel e quello francese Bernard Kouchner, il cui paese dal 1º luglio succederà alla Slovenia alla presidenza semestrale dell’Unione Europea, hanno infatti firmato insieme un comunicato dove dichiarano: «vorremmo manifestare un segnale di appoggio al popolo serbo e proponiamo in tal senso ai paesi dell’UE di rilasciare visti gratuiti ai cittadini serbi».
Membro di ‘Citizens Pact for South East Europe’, l’attivista serba Olja Homa ha partecipato al meeting di Lubiana tra ONG e delegati europei. In prima linea per la questione dei visti, a cui la sua organizzazione ha dedicato il sito Need Visa , questa giovane di Novi Sad racconta: «Sono venuta qui con il mio visto Schengen sul passaporto: ero molto orgogliosa di poterlo esibire. Ma al confine sloveno ho subito un doppio controllo. E non è stato affatto piacevole. Mi sono sentita trattare ingiustamente, non posso evitare di pensarlo. Voglio potermi sentire libera, voglio potermi sentire normale, come qualsiasi altro. Non voglio essere un’eccezione». E aggiunge: «Ne abbiamo discusso tra ONG e commissari europei, ma i partiti del mio paese non hanno interesse a risolvere la questione. Per i politici serbi è un bene che i giovani o i cittadini in generale non possano viaggiare in altri paesi, perché in questo modo non vedono nient’altro che la realtà della Serbia attuale, ed è già da 20 anni che la gente non conosce niente di meglio, così che loro, i politici, possono raccontare quello che vogliono. La gente non sa che può esistere qualcosa di diverso, e questo è il pericolo».
Quando il commissario all’allargamento dell’UE Olli Rehn disse che il trattato da sottoscrivere con la Serbia il 31 gennaio era stato rimandato per via di una disputa politica a Belgrado, riferendosi a certi politici serbi che bloccavano la firma con il loro atteggiamento provocatorio, parlò di ostruzionismo. Quell’accordo offriva alla Serbia relazioni commerciali più strette e facilitava ulteriormente la richiesta dei visti da parte dei cittadini.
Ma il momento era tesissimo e il giorno precedente alla firma prevista, il Primo Ministro serbo Vojislav Kostunica accusò l’UE di ingannare Belgrado sul riconoscimento di un Kosovo indipendente. Olli Rehn precisò che l’offerta restava in piedi, rilasciò come commento ai giornalisti un "sono davvero dispiaciuto che dobbiamo posticipare la firma di domani" e ribadì che, naturalmente, l’impegno dell’UE era fermo e l’invito rimaneva sul tavolo.
Nel loro appello congiunto, i ministri degli Esteri di Slovenia e Francia hanno precisato che «la Serbia non dovrebbe permettere che la questione del Kosovo condizioni i suoi rapporti con l’UE: continueremo a insistere perché la Serbia eviti gesti o parole provocatorie che potrebbero compromettere la situazione nella regione dei Balcani», e hanno espresso il loro appoggio «ai metodi innovativi» che mirano a dare una spinta alle forze europeiste di Belgrado.
Oltre alle facilitazioni sancite all’inizio dell’anno anche per Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Montenegro, la Comunità Europea si è rivolta alla Repubblica Serba con nuove regole sui visti, pubblicizzate tramite una brochure datata 17 gennaio, dove si annunciavano agevolazioni per i cittadini di nazionalità serba, per «rendere loro la prospettiva europea più tangibile, come primo passo verso un regime libero da visti per chi viaggia».
Secondo l’accordo, comunque non applicabile per Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Islanda e Norvegia, il visto definitivo tipo C o "short-stay visa" prevede uno, due o più soggiorni all’estero di diversa durata, che non superino i 3 mesi nell’arco di un periodo pari a 6 mesi.
La tassa sul visto viene abbassata a 35 euro, a fronte della tassa generalmente applicata di 60 euro. Certe categorie di persone, inoltre, diventano esenti dalla tassa: si tratta di studenti, pensionati, membri di delegazioni ufficiali, partecipanti a eventi sportivi, membri di governo e parlamento, disabili e loro accompagnatori, parenti stretti in visita a cittadini serbi regolarmente residenti all’estero, rappresentanti di comunità religiose, membri di organizzazioni non governative, giornalisti, conducenti di veicoli di trasporto internazionale.
Il processo di domanda viene accelerato, garantendo una decisione sulla richiesta in 10 giorni di calendario, che in casi urgenti sono ridotti a 3, anche se per casi individuali si potrà richiedere un esame di maggiore documentazione, fino a un massimo di 30 giorni. Per alcune fasce sociali, come uomini d’affari, studenti e giornalisti, la raccolta dei documenti necessari per la domanda viene semplificato e a determinati viaggiatori frequenti sono assegnati visti di più entrate con periodi di validità più lunghi.
Anche in questo documento, però, persistono gli impedimenti che scoraggiano la gran parte della popolazione serba di fronte alla presentazione di una richiesta per il visto Schengen, vale a dire i rigidi requisiti minimi: risulta infatti indispensabile apportare il contratto di lavoro che certifica l’appartenenza alla propria categoria professionale, dimostrare sufficienti risorse per il viaggio di andata, per il soggiorno all’estero e per il ritorno in Serbia, o provare di avere un’assicurazione per il viaggio con copertura di almeno 30.000 euro.
«In realtà – testimonia Olja Homa – tutt’oggi possono uscire dalla Serbia solo gli studenti o chi ha un impiego fisso con contratto indeterminato, ovvero soltanto chi dopo il viaggio è costretto a tornare e lo può provare. Io ho lavorato per 10 anni come giornalista ma senza contratto e senza alcuna carta che attestasse il mio impiego: non potevo richiedere il visto. Adesso il mio lavoro attuale mi dà l’opportunità di viaggiare in Europa occidentale, ma… i miei amici e vicini? Rientrano tutti in quella fascia del 75% di serbi mai stati all’estero. Non hanno mai visto niente di più che la loro realtà di ogni giorno. E questo è grave. Perché sì, c’è internet, c’è la coscienza che esiste qualcosa fuori, non siamo immersi in un buco nero senza sapere niente, ma là fuori c’è il mondo, ed è grande, e non lo puoi vedere, conoscere, vivere!».
E conclude: «Prima, i politici dicevano che dopo le elezioni si sarebbe discusso sul fatto che a fine maggio la Serbia sarebbe stata inserita nella lista d’attesa dei paesi Schengen, come preannunciato a Maastricht. Ora, la parte "democratica" del nostro attuale governo tecnico sta dicendo che saremo inseriti nella lista entro fine anno. Ma se ancora non abbiamo i nuovi passaporti, non so come questo possa essere possibile. E continuano a rimandare: avevano promesso che i nuovi passaporti sarebbero stati pronti per gennaio, poi per maggio, adesso ripetono che li avremo per fine anno. Guardi la TV e dici: "Dopo questo… cos’altro?" Abbiamo nuove elezioni, ma ogni faccia e ogni nome sono gli stessi dell’ultima volta. Pensi che tutto sarà migliore e invece… non lo è».
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