Nikola Savic, un incontro
I ragazzi di un liceo di Cividale del Friuli assieme a loro coetanei di un liceo di Belgrado hanno recentemente incontrato e intervistato lo scrittore Nikola Savic. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Sei nato a Belgrado e dall’età di 12 anni vivi in una piccola città del Veneto. Ti senti un immigrato?
La tragedia della barca di migranti che è affondata nel Mediterraneo portando con sé centinaia di persone è accaduta proprio mentre sto portando nelle scuole l’esperienza di una ragazza palestinese che, profuga in Siria, è arrivata in Italia con una barca partita dalle coste del sud del Mediterraneo. Un modo per far capire chi sono i migranti, per far capire cosa c’è dietro questo movimento di persone.
Anch’io ho una storia di immigrato, ma la mia storia non ha gli aspetti drammatici di chi scappa da una guerra. Sono arrivato in Italia con la mia famiglia per seguire mio padre che era venuto qui per dirigere una fabbrica. Con mio padre ingegnere e mia madre dentista, il tenore di vita della mia famiglia è cresciuto abbastanza rapidamente anche perché, fra le tante cose che abbiamo scoperto in Italia, i dentisti guadagnano bene. In poco tempo siamo passati dalla Yugo (piccola auto costruita nella Jugoslavia socialista) alla molto meno socialista Mercedes.
Io 13enne, ad anno scolastico inoltrato, mi sono ritrovato catapultato in una scuola media italiana. Solo l’anno dopo ho frequentato per intero la mia prima classe scolastica (la III media). Ho frequentato poi il liceo Scientifico a Mestre seguendo l’indirizzo sperimentale di matematica e fisica. Ho fatto il Liceo e nel corso degli studi superiori ho trascorso un anno negli USA. Pur avendo svolto il test di ammissione in modo tutt’altro che brillante, sono riuscito a iscrivermi al corso di laurea di Scienze della Comunicazione nella quota di posti riservata agli studenti stranieri. Nel frattempo avevo anche superato bene il test di ammissione a Ingegneria Gestionale a Padova, ma ho preferito studiare a Bologna dove ho vissuto 5 anni e dove mi sono laureato. Ho una figlia e sono sposato. Ora faccio lo scrittore.
Cosa c’è di autobiografico nel tuo libro "Vita migliore"
Ho scritto il libro "Vita migliore" per ricordare gli anni giovanili. Inizialmente il progetto doveva essere articolato in 3 parti: una dedicata alla Belgrado in cui sono nato e ho vissuto da giovane, una dedicata al trasferimento in Italia e una alla Belgrado in cui sono ritornato, molti anni dopo, con la fine della guerra. Alla fine gran parte del libro in realtà è dedicata al quartiere "62 Nord" in cui ho passato i miei anni da bambino e l’Italia è vista solo allo specchio. Il protagonista ritorna in Serbia dopo la fine della guerra quando si è abituato al modo di vivere italiano e, dopo la lunga assenza, si trova in un quartiere cambiato. Questa è la parte più autobiografica del libro anche se non tutto è autobiografico.
Perché hai cominciato a scrivere?
Ho cominciato a scrivere per necessità "scolastiche" quando ho scoperto che all’università molti docenti richiedevano per l’esame un lavoro scritto. Mentre facevo la tesi in scienze cognitive ho cominciato a scrivere un romanzo noir/giallo che voleva essere il seguito di Pulp di Bukowski. Un libro orrendo sia perché non sapevo scrivere, sia perché il mio italiano risentiva del fatto che ho imparato questa lingua in Veneto dove le doppie sono in disuso e quando le adoperi passi subito per "terrone". Ho cominciato a scrivere per una specie di atto di rivalsa adolescenziale per far vedere al mondo che dovevo scrivere perché ne sapevo più degli altri ed ero molto bravo. Naturalmente non era vero.
Subito dopo l’università ho lavorato in vari settori: venditore di automobili, impresario edile con mio zio… lavori che mi servivano per vivere, ma che non mi piacevano. Ho ripreso a scrivere e, per imparare a farlo, ho tradotto in Italiano un libro di un giovane autore serbo Marko Vidojković di cui mi piaceva lo stile e il suo modo di scrivere.
Poi ho cominciato a scrivere per conto mio. Su sollecitazione di Giovanni, un mio amico che lavora alla casa editrice Fandango. Ho raccolto molte storie sui quartieri di Belgrado e da questo lavoro sono nati alcune parti che si trovano nel libro "Vita migliore".
E’ facile scrivere un libro?
Ricordo sempre due cose che Giovanni mi ha detto fin da subito: per scrivere un libro ci vogliono almeno due anni e che il lavoro di scrittore fa guadagnare poco o niente. Scrivere un racconto breve è relativamente facile, quasi un gioco, scrivere un romanzo richiede tempo e concentrazione. Lo si scrive una prima volta, ma poi bisogna riscriverlo, aggiustando la trama. La seconda scrittura, pur se faticosa ha ancora qualcosa di creativo e, entro certi limiti, è piacevole.
Poi bisogna affidare il testo a un amico che però non deve essere "troppo" amico. Deve infatti essere libero di criticare il tuo lavoro evidenziando ciò che non è comprensibile nella trama e nei personaggi. Lo scrittore infatti dà molte cose per chiare o sottintese senza immedesimarsi nei panni del lettore. Sentiti i rilievi del primo lettore si riscrive il romanzo per un’altra volta e vi garantisco che questa è la scrittura più faticosa. Naturalmente non è per tutti gli scrittori così, alcuni autori, ma sono veramente pochi, sono in grado di scrivere di getto senza necessità di molte correzioni.
Che differenze hai trovato fra la Novi Beograd della tua infanzia e quella attuale?
I palazzi in cui vivevamo erano in parte destinati agli impiegati pubblici e in parte venduti a privati. C’era molta gente che era venuta a Belgrado da fuori per lavoro e molti miei amici erano di altre nazionalità o figli di matrimoni misti. Noi ci sentivamo ragazzi del quartiere e il nostro avversario erano i ragazzi del quartiere 42, non si badava molto alla nazionalità. Avevo amici croati, rom, …e le rivalità riguardavano le squadre di calcio. Molti cittadini si sentivano jugoslavi piuttosto che serbi, croati, …
Oggi il mio quartiere non ha l’aspetto di 25 anni fa, ma è diventato un "paradiso" perché molto ben servito. C’è stato anche un ricambio generazionale, le case sono state vendute a privati, …
Anche la Serbia è cambiata e il livello di intolleranza è più alto anche perché molte famiglie sono state colpite dalla guerra e dalle sue conseguenze (morti, feriti, poche prospettive per il futuro, …). E l’intolleranza alimenta la divisione: io parlo e parlavo il serbo-croato, oggi scopro di sapere il serbo, il croato, il bosniaco, il montenegrino. Lingue ufficiali che non sono altro che varianti di una lingua sola. Ma se andiamo nei Balcani tutti possono vedere che non siamo poi molto diversi l’uno dall’altro anche in tante altre cose: il modo di vivere, l’aspetto, …
A dire il vero, le ragazze di Belgrado sono le più belle in assoluto (ride).
Molte delle differenze storiche non sono nemmeno tali: non è vero che tutti i croati sono cattolici, così come non è vero che tutti i serbi sono ortodossi. Per di più in Serbia è praticata una variante particolare della religione ortodossa in cui si possono anche individuare alcuni riti e usanze derivate da antichi culti pagani.
Quando sei tornato a Belgrado come è stato l’impatto con la città?
Sono tornato a Belgrado dopo aver mollato i lavori che avevo intrapreso in Italia dopo la laurea. Grazie all’aiuto di un amico, ho cominciato a lavorare presso un piccolo McDonald con il ruolo di direttore. Il primo impatto con Belgrado è stato difficile perché non era abituato alla grande città e alla folla. E’ stato duro lavorare in un locale dove dovevo rilasciare centinaia di scontrini alla cassa, è stato duro muoversi in una città animata e in perenne attività. Poi però ho trovato Belgrado molto bella, e divertente, ho fatto molte amicizie e anche il modo di relazionarsi con le ragazze è molto più aperto e colloquiale che in Italia. Belgrado è una città viva, i serbi sono vivi e vitali, è una loro caratteristica. E’ però anche una città sopra le righe in cui non è sempre facile vivere.
Quanto ti senti serbo e quanto ti senti italiano. E’ possibile essere più cose contemporaneamente?
Sono molto italiano, ma sono molto serbo. A volte mi definisco anche veneto. I veneti sono gente strana a cui interessa moto che il marciapiede di fronte casa sia fatto bene. Non riesco ad identificarmi con una nazionalità, mi sento ricco di più culture.
E’ stato facile inserirti al tuo arrivo in Italia nella città in cui vivi?
Non è stato facile anche perché attorno a noi stranieri dell’Est Europa non mancavano, e non mancano, i pregiudizi. Un mio amico scappato dalla Serbia nel 1991 mi ha raccontato di aver per caso sorpreso un’anziana, che lui aiutava sempre quando c’era da portare la spesa su per le scale di casa, parlare di lui con i vicini come di spacciatore di droga slavo. Quando si deve rimarcare la violenza di un delitto si sottolinea l’origine balcanica degli autori. Devo anche dire che qualche volta, quando ero ragazzo, ho approfittato anch’io della nomea che si erano fatti i serbi. Se qualcuno voleva attaccare briga con me, mi presentavo come serbo di Belgrado e, per chiarire meglio il concetto, ribadivo la tendenza dei serbi a usare con facilità il coltello. Funzionava e, forse anche perché ero alto e grosso, mi lasciavano in pace. Con le ragazze italiane non ho invece avuto problemi.
Tua moglie è italiana?
E’ bulgara! Non è cosa da poco per un serbo sposare una bulgara. E’ quasi collusione con il nemico perché fra Serbia e Bulgaria ci sono conflitti che risalgono alle guerre balcaniche e alla I Guerra Mondiale. Qualche volta, fra noi, ci pizzichiamo richiamando i precedenti storici.
Scrivi in serbo o in italiano?
Scrivo in italiano, ma ho scritto anche in serbo e alcuni lavori sono stati pubblicati in Serbia. Ho scritto anche in inglese, ma con risultati che non mi hanno soddisfatto. Riesco a pensare sia in serbo che in italiano, dipende molto dall’argomento oggetto dei miei pensieri.
Il prossimo libro?
Il libro che sto scrivendo è ambientato a Venezia, la trama si svolge di notte e i protagonisti sono dei giovani di culture diverse che vivono situazioni violente e marginali. Vorrei riuscire a trasporre nei nostri tempi alcuni aspetti della vicenda di Giacomo Casanova.
Oltre a scrivere ti occupi molto di accoglienza e integrazione.
Lavoro a un progetto che parla nelle scuole di diritti dell’uomo, di immigrazione e di integrazione. Nei miei interventi parto da concetti quali eguaglianza, fraternità e libertà che da noi sono abbastanza consolidati, ma che altrove non esistono. Cerco di spiegare le ragioni che spingono molte persone a correre grandi rischi per arrivare da noi e i pericoli delle politiche di chiusura nei confronti delle loro aspirazioni a una vita diversa.
L’Europa non può e non deve essere una fortezza inaccessibile perché l’inaccessibilità, con centinaia di migliaia di persone che chiedono di entrare, spinti dalla guerra e dalla miseria, è una illusione.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua