Nelle mani di Aide
Kai Aide, inviato speciale delle Nazioni Unite, ha in mano il "destino" del Kosovo. Sarà infatti il suo rapporto a valutare se ci siano o meno i presupposti per cominciare i negoziati per definire lo status della Provincia
Tra pochi giorni il diplomatico norvegese Kai Aide consegnerà il rapporto sul Kosovo al segretario generale dell’ONU. Il rapporto, uno dei più importanti per il futuro della regione, dovrà indicare se il Kosovo ha o meno raggiunto gli standard richiesti dalle Nazioni Unite e aprire le porte ai negoziati per lo status finale.
Non sembra che però negli ultimi giorni di valutazione i kosovari lavorassero attentamente per mostrare i progressi fatti agli occhi di Aide. Almeno questa è l’opinione di Aide stesso, l’uomo che in qualche modo ha nelle sue mani il "destino" di questo paese. "Sono deluso dal lavoro del governo, sono molto deluso da quella che ho visto nel Kosovo" ha dichiarato l’inviato speciale dell’ONU in un’intervista esclusiva ad ISN Security Watch.
Secondo il diplomatico norvegese infatti i progressi fatti non sono sufficienti a giustificare una valutazione positiva.
Nella stampa kosovara è emersa la tendenza ad interpretare queste dichiarazioni, insieme a quelle simili dell’Alto rappresentate dell’Unione Europea, Javier Solana, come parte della pressione che gli organismi internazionali stanno facendo sulle istituzioni locali per accelerare le riforme promesse ed il processo di decentralizzazione.
Anche i rappresentanti del Gruppo di Contatto hanno concentrato l’attenzione su questo processo di riforma e sul ritorno dei profughi. Al primo ministro Kosumi non è rimasta via d’uscita, e ha dovuto ammettere che le cose non stanno andando molto bene. Secondo lui comunque la responsabilità maggiore è di Belgrado.
Il rapporto di Aide dovrà essere pronto per l’inizio di settembre. Aide è rimasto in Kosovo per dieci giorni a luglio, visitando tutte le municipalità per constatare con i suoi occhi lo sviluppo nell’implementazione degli standard.
Tornerà ancora nel mese di agosto per una sorta di "controllo generale" e poi si metterà al lavoro per stendere il rapporto.
Mentre alcuni sono in tensione per il risultato della valutazione che sarà fatta nel rapporto, altri sono molto ottimisti, perché pensano che gli standard non sono stati altro che una scusa della comunità internazionale per non cominciare subito i negoziati. Un quotidiano kosovaro ha scritto a caratteri cubitali: "La favola degli standard" e spiega nell’articolo il perché di questa loro convinzione. Infatti secondo il direttore di "Express", Dukagjin Gorani, la valutazione non è che un escamotage trovato dalla comunità internazionale per allontanare l’amministrazione dell’ONU dal Kosovo.
"Certo, nel suo significato etimologico il processo degli standard è necessario per il Kosovo e i Kosovari, ma l’idea degli standard e specialmente la procedura della loro valutazione saranno un lavoro inutile, un grande scherzo internazionale. Questa farsa dovrà senz’altro finire con un esito positivo," scrive Gorani.
Soddisfare tutti e otto gli standard richiesti, che è il dovere più importante per il Kosovo, è certamente una missione impossibile, almeno in questi tempi. D’altra parte, anche tutti gli Paesi balcanici sono lontano dal raggiungimento di questi standard. Ma nel Kosovo la comunità internazionale dovrà dimostrare una tolleranza nel metro di giudizio. Dalla lunga lista di standard richiesti si sono infatti individuati quelli ad alta priorità, saranno questi i primi a dover essere soddisfatti.
Sembra assurdo ma tra questi standard c’è anche l’assunzione di traduttori nelle municipalità, per assicurare che i documenti vengano tradotti in tutte lingue, anche quelle delle minoranze. Un altro standard di questo tipo è quello dell’uniformità dei cartelli stradali, dove i nomi dei villaggi dovranno essere scritti sia in lingua albanese che serba.
Questo tipo di standard sono ridicoli se comparati con gli importanti standard richiesti ad un Paese che vuol diventare un membro dell’Unione Europea, o come nel caso del Kosovo che vuole essere riconosciuto come uno Stato indipendente.
Per alcuni standard sarà valutato soltanto il tentativo fatto dal governo per raggiungerli e non i veri e propri risultati, perché una cosa simile richiederebbe anni, anche se sarebbe proprio questo l’atteggiamento ottimale.
L’economia della Provincia continua ad essere paralizzata e a non offrire nessuna prospettiva ai migliaia di disoccupati. Del resto scarse sono le prospettive anche per i serbi, a cui da tanto tempo la politica chiede di ritornare in Kosovo. Ed è proprio questo uno degli standard più importanti: il ritorno delle minoranze.
Non è solamente per la mancanza di prospettive economiche che questo standard è destinato a fallire. Ci sono anche la mancanza di libertà di movimento ed il ruolo negativo di Belgrado, che cerca incessantemente di bloccare il processo di definizione dello status. Ma secondo Shkelzen Maliqi, un analista indipendente, vi sarebbe anche un’altra ragione che non favorisce il ritorno dei serbi in Kosovo. A suo avviso si deve ritornare a Kumanovo, quando la Nato chiese a tutti i serbi armati di lasciare il Kosovo, un fatto spesso dimenticato dalla comunità internazionale. Furono 80.000 civili che lasciarono la Provincia e che avevano a suo avviso collaborato con l’esercito serbo, per questi il ritorno è certamente più difficile.
In ogni caso lo standard in merito al ritorno non verrà senza dubbio raggiunto. Mentre non è chiaro se il diplomatico norvegese conosca o meno queste circostanze, come nel caso del ritorno, si può dire che lo slogan inventato nel 2002 dall’ex-amministratore Stainer, "standards before status" (gli standard prima dello status) sembra prigioniero di un circolo vizioso: non si sono potuti raggiungere gli standard prima dello status ed a causa della mancata definizione di quest’ultimo, ma per definire lo status non si può prescindere dagli standard.
Una lunga permanenza dell’amministrazione ONU nel Kosovo è improbabile anche perché costa molto. Inoltre non si può mantenere l’attuale status quo perché c’è necessità di stabilizzare la sicurezza della regione, come ripetono spesso i diplomatici occidentali.
E – almeno formalmente – molto dipende dal norvegese Kai Aide. Se il suo secondo rapporto sarà sostanzialmente positivo, in settembre si apriranno i negoziati per la definizione dello status della Provincia.
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