Nazionalismo anti-caucasico a Mosca
L’uccisione di un tifoso dello Spartak Mosca per mano di un giovane di origine caucasica ha dato il via a un’ondata di proteste a Mosca e altre città russe. Slogan nazionalistici ed espressioni di odio per le persone provenienti dal Caucaso sono al centro delle manifestazioni
Mosca, San Pietroburgo, Rostov… in questi giorni, decine di migliaia di nazionalisti hanno marciato per le strade di alcune delle principali città russe. “La Russia per i russi, Mosca per i moscoviti”, “avanti i russi”, “tutti per uno, uno per tutti”, questi alcuni degli slogan proclamati all’unisono dai partecipanti alle dimostrazioni, oltre ad altri più volgari indirizzati direttamente ai “caucasici”.
L’evento che ha dato inizio a questa ondata di proteste e violenze è stata la morte di Egor Sviridov, un giovane di 28 anni, ucciso lo scorso 6 dicembre in una rissa scoppiata in un viale della periferia moscovita. Purtroppo, eventi di questo tipo non sono di per sé cosa rara a Mosca. Secondo un recente report dell’Organizzazione mondiale per la sanità, la Russia è il Paese europeo dove vi è il più alto tasso di omicidi tra giovani, un dato che per la Russia è 15 volte più alto rispetto all’Italia. Egor Sviridov era però un fan dello Spartak Mosca, storica squadra di calcio della capitale. Ed è morto a causa di proiettili sparati da un giovane proveniente dal Caucaso del nord con una pistola ad aria compressa. A destare la rabbia di tifosi e nazionalisti, come ha dichiarato lo stesso primo ministro Vladimir Putin in una diretta televisiva, è stata anche la risposta inadeguata della polizia all’omicidio; le persone coinvolte, sarebbero infatti state subito rilasciate dopo sommari accertamenti con la sola eccezione di Aslan Čerkesov, l’uomo in possesso della pistola.
Così, la manifestazione che era partita l’11 dicembre pacificamente con circa 3000 tifosi dello Spartak che erano andati a commemorare la morte di Sviridov portando fiori e sciarpe della squadra nel luogo dove era stato ucciso, si è tramutata in qualcosa di ben diverso. Nel pomeriggio dello stesso giorno infatti, circa 5000 persone si sono radunate sulla piazza Manežnaja, a poche decine di metri dal Cremlino e dalla piazza Rossa, urlando slogan nazionalistici ed anti-caucasici. Si sono registrati attacchi a passanti di origine caucasica e vi sono stati scontri con le forze dell’ordine. Il tutto si è concluso con 65 fermati e 29 feriti.
Manifestazioni simili hanno avuto luogo anche a San Pietroburgo e Rostov sul Don, una città del sud della Russia dove vivono molte persone provenienti dalle repubbliche del Caucaso. Dopo le manifestazioni, si sono registrati incidenti e scontri tra gruppi di nazionalisti e persone provenienti dal Caucaso del nord o dalle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale, che hanno causato decine di feriti e la morte di un uomo proveniente dal Kirighizistan.
Le manifestazioni di nazionalisti, in particolare quella avvenuta in centro a Mosca sulla piazza Manežnaja, hanno caratterizzato il dibattito pubblico in Russia nei giorni successivi all’11 dicembre, nonostante, secondo quanto riportato dal quotidiano russo Kommersant , i media di proprietà dello Stato abbiano cercato di minimizzare l’avvenuto, in particolare trascurando l’elemento etnico delle proteste.
Già dal 12 dicembre, messaggi diffusi su internet e ripresi dai media tradizionali parlavano di un appuntamento, una specie di resa dei conti tra nazionalisti russi e persone provenienti dalle repubbliche del Caucaso del nord, che avrebbe dovuto avere luogo nella piazza Kievskaja di Mosca la sera di mercoledì 15 dicembre. Questa volta la polizia non si è fatta cogliere impreparata ed ha iniziato a tenere sotto controllo la piazza con ampio anticipo, controllando i passanti, e mandando in centrale con appositi autobus per ulteriori controlli chiunque potesse essere coinvolto in eventuali scontri. Oltre 1300 persone sono state fermate in questo modo.
Nuove azioni di protesta hanno avuto luogo anche il 18 dicembre, soprattutto presso la torre della televisione di Ostankino per protestare contro il modo in cui le televisioni stavano facendo informazione sugli eventi di questi giorni. Le forze dell’ordine hanno cercato di evitare l’esplodere di nuove tensioni fermando e portando in centrale per controlli circa duemila persone a Mosca e dintorni.
Nazionalismo e odio interetnico, anche questa è la Russia
Le manifestazioni dell’11 dicembre sembrano essere solo l’inizio di una nuova fase di tensioni e proteste in Russia. Molti analisti hanno infatti sottolineato come queste dimostrazioni siano espressione di un problema sentito dalla popolazione, e che non è sufficiente accusare di “fascismo” o “razzismo” i partecipanti a questi eventi per far sparire il problema.
La vicinanza tra tifoserie e movimenti di estrema destra è un problema europeo che non riguarda solo la Russia. Per quanto riguarda le tifoserie, ciò che rende particolarmente problematico il caso russo è che le manifestazioni di odio sono rivolte a persone che abitano una specifica regione della Russia dove hanno sede squadre che partecipano al campionato. Se già in passato si erano verificati scontri o momenti di tensione, è facile immaginare come dopo gli eventi di questi giorni partite di calcio si possano trasformare in campi di battaglia tra tifoserie e frange violente. Sono legittimi i timori di nuovi scontri quando squadre come lo Spartak-Nal’čik (Kabardino-Balkaria, da dove proviene l’accusato di aver ucciso Sviridov), il Terek Grozny o l’Anži di Machačkala (Daghestan) andranno a giocare a Mosca, o quando il CSKA o lo Spartak di Mosca andranno a giocare in Cecenia, nel nuovo stadio del Terek Grozny in cui il presidente ceceno Kadyrov vorrebbe vedere disputati alcuni incontri del mondiale di calcio del 2018.
È comunque evidente che il problema va ben oltre le tifoserie ed è indicatore di un malessere profondo, che colpisce in particolare Mosca e le regioni del sud della Russia dove vi è una più consistente rappresentanza di persone provenienti dalle repubbliche del Caucaso del nord. La leadership politica del Paese sembra unita nel condannare le proteste nazionaliste di questi giorni e in dichiarazioni ufficiali spesso sostiene esplicitamente il carattere multietnico della nazione russa. Non sembra però esserci una strategia funzionante per affrontare questo tipo di problemi.
Negli ultimi anni, il Cremlino ha investito molto in politiche giovanili e progetti di educazione patriottica che, idealmente, puntavano a creare un clima di pace interetnica nelle nuove generazioni. L’inazione di organizzazioni giovanili filogovernative come Naši, che in altri casi hanno attaccato duramente “nemici della russia” (spesso identificati in giornalisti e attivisti per la difesa dei diritti umani) ma che in questi giorni non hanno fatto niente per condannare proteste nazionaliste che esplicitamente si opponevano ai valori propagandati dall’organizzazione (unità della Russia e antifascismo in primo luogo), fa sorgere dubbi sulle reali intenzioni e convinzioni della leadership di un movimento che trova legittimazione politica e sostegno economico direttamente al Cremlino.
La sera dell’11 ottobre quando sono finite le azioni di protesta sulla piazza Manežnaja il presidente russo Dmitri Medvedev aveva scritto un messaggio , subito ripreso da tutti i media russi, sul suo canale Twitter ufficiale: “Sulla Manežnaja. In tutto il Paese e a Mosca, la situazione è sotto controllo.” A poco più di una settimana di distanza, la situazione è senza dubbio tranquilla sulla Manežnaja, una piazza che il presidente Medvedev può tenere d’occhio di persona guardando dalle finestre del Cremlino. Leggendo le notizie di proteste e arresti che continuano ad avvenire quasi quotidianamente a Mosca e in altre città, si ha però il timore che l’ondata di nazionalismo e odio anti-caucasico che si sta mostrando in Russia in questi giorni non sia ancora giunta al termine.
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