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Nagorno Karabakh, un’estate difficile

Continuano gli scontri lungo il confine azero-armeno e in Nagorno Karabakh, mentre i negoziati fra Armenia e Azerbaijan faticano a progredire. La presenza dei peacekeepers russi non impedisce violazioni degli accordi, e le controversie territoriali alimentano tensione e rischio di nuovi conflitti

11/07/2023, Marilisa Lorusso -

Nagorno-Karabakh-un-estate-difficile

Continuano i negoziati fra Armenia e Azerbaijan, ma continuano anche gli scontri. Non è facile interpretare la natura dei singoli incidenti che attualmente si registrano – o vengono denunciati – con cadenza quotidiana, ma li si può dividere in alcune categorie distinte.

Ci sono innanzitutto gli scontri lungo il confine azero-armeno. Le aree principali di tensione rimangono lungo il confine del Nakhchivan, a Syunik, dove il territorio armeno si incunea fra l’exclave azera, la Turchia e l’Azerbaijan. Poi ci sono scontri nella zona di Gegharkunik: nella zona a sud ci sono le pattuglie dell’EUMA (missione di monitoraggio civile disarmata dell’Unione europea). Secondo gli azeri, la presenza stessa della missione spingerebbe gli armeni ad inscenare attacchi, per provocare una risposta azera e l’impressione di una strategia aggressiva da parte delle truppe di Baku.

Ci sono poi ripetuti scambi a fuoco in Nagorno Karabakh, dove sono presenti i pacekeeper russi, interposti fra karabakhi e azeri. Gli azeri sostengono che a volte le milizie del Nagorno Karabakh si travestano da contadini e utilizzino questo escamotage per portare avanti lavori di fortificazione militare. I karabakhi sostengono invece che gli azeri facciano fuoco sui civili, o che buona parte degli scontri riportati non siano in realtà mai avvenuti.

La natura del nervosismo azero – nel caso della presenza dell’esercito del Karabakh – è differente rispetto alla situazione con l’Armenia. Il problema qui non è la demarcazione del confine, ma la stessa presenza di una forza militare su quel territorio che non ha intenzione né di sciogliersi, né di sottomettersi alla sovranità di Baku. Gli azeri sostengono poi che non sia vero che Yerevan ha ritirato i propri effettivi, come si era impegnata a fare entro il settembre 2022.

In genere, il ministero della Difesa di Baku è responsabile della divulgazione di notizie sugli scontri, spesso sistematicamente smentite da Yerevan e Stepanakert, secondo le quali l’Azerbaijan sta semplicemente creando un quadro entro il quale sia giustificabile una nuova aggressione. In alcuni casi i peacekeeper russi confermano che sono avvenuti scambi a fuoco in Karabakh, in altri non rimane traccia degli scontri se non nelle dichiarazioni dei rispettivi ministeri della Difesa.

Il bilancio di questo inizio estate di tensione e scambi di fuoco è di alcune vittime ed alcuni feriti, fra cui anche due lavoratori stranieri , dipendenti di una azienda metallurgica americana che opera in territorio armeno.

mappa Nagorno Karabakh

Mappa Nagorno Karabakh- OBCT

Il nuovo giro di vite a Lachin

L’escalation di tensione preannuncia un’estate che non sarà facile per il Nagorno Karabakh. Il blocco del Karabakh continua: a Lachin è stato creato un check point permanente, e si sono rinforzate le infrastrutture di supporto della presenza azera. Il risultato è che di fatto a chi transita viene richiesto un atto di accettazione implicita della sovranità azera su quel tratto di territorio, in violazione di quanto era stato negoziato, e cioè che i peacekeeper russi fossero incaricati del monitoraggio della gestione del corridoio.

C’è poi la nuova crisi sul ponte di Hakari dove gli azeri hanno issato sotto lo sguardo dei peacekeeper – anzi, con la presenza del capomissione russo – la bandiera dell’Azerbaijan . Per l’Armenia è stato un puro affronto. Secondo l’Armenia quel tratto di ponte è fuori dal mandato dei peacekeeper ed è territorio armeno. Quindi né l’Azerbaijan poteva issare la propria bandiera, né i peacekeeper potevano trovarsi lì. Per questo Yerevan ha convocato l’ambasciatore russo perché chiarisse l’episodio.

Di fatto Hakari ha implicato la completa chiusura di Lachin. Stando alle parole del Primo Ministro Pashinyan da quando è esplosa questione di Hakari: “[…] il Nagorno-Karabakh è privato di ogni tipo di approvvigionamento di merci. Anche le forze di pace russe di stanza in Nagorno-Karabakh non hanno la possibilità di consegnare rifornimenti, perché il corridoio di Lachin è completamente bloccato. Anche le forniture di gas naturale ed elettricità al Nagorno Karabakh sono state interrotte da mesi dall’Azerbaijan”. La fornitura di gas è stata brevemente ripristinata per essere subito poi interrotta.

Gli effetti di questa nuova recrudescenza di crisi, scontri e tensioni si fa sentire anche negli altri capitoli in cui invece sarebbe necessario collaborare.

Anche la sorte dei soldati che inavvertitamente attraversano il confine risente della tensione. A primavera due azeri si sono trovati nella zona controllata dall’Armenia. Un soldato armeno è rimasto ucciso, e i due azeri sono stati catturati e condannati. Vice versa due armeni – che dovevano consegnare del vettovagliamento a dei commilitoni – sono stati presi dagli azeri e condannati a dodici anni di carcere. Si allunga quindi la lista dei prigionieri di guerra, anche se l’Azerbaijan non considera più tale chi viene tratto in arresto dopo la dichiarazione bilaterale del 10 novembre 2020, e quindi non applica le tutele riservate ai prigionieri di guerra.

Non rasserenano le acque nemmeno i ritrovamenti dei militari dispersi, caduti durante le varie guerre per il Karabakh. Dalla prima guerra del Karabakh per Baku mancano all’appello 3890 persone: 3171 militari e 719 civili di cui si ignora la sorte. Gli scavi nelle zone riconquistate hanno finora reso le spoglie di circa quattrocento corpi. In una fossa comune recentemente rinvenuta sono stati ritrovati i corpi di alcune persone interrate insieme al mezzo militare su cui probabilmente viaggiavano.

All’Armenia sono stati restituiti i corpi di più di quattrocento dispersi, metà dei quali caduti nel 2020,e metà nel settembre del 2022. Vittime recenti di un conflitto sulla cui soluzione manca dibattito pubblico e trasparenza.

Sia nel 2020 che nel 2022, dopo un progressivo peggioramento del quadro della sicurezza, (scontri a fuoco, retorica incendiata, incidenti diplomatici) la guerra era esplosa a settembre.  Per la natura del territorio e per il clima le guerre caucasiche sono più ricorrenti in estate, prima che le nebbie e la neve rendano le manovre militari molto più complesse. Questo rende prioritario che questa recrudescenza di inizio estate venga domata prima che diventi il prodromo di nuove erosioni territoriali, e di nuove tragedie.

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