Nagorno-Karabakh, la Turchia sostiene l’Azerbaijan

Tradizionalmente alleata dell’Azerbaijan e ostile all’Armenia, con il riacutizzarsi dei combattimenti in Nagorno Karabakh la Turchia sta assumendo un ruolo sempre più attivo nel conflitto, con un occhio alla sua politica regionale e il rischio di nuovi scontri con la Russia

06/10/2020, Filippo Cicciù - Istanbul

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La guerra torna a scuotere il Caucaso col conflitto tra Armenia e Azerbaijan per le aree disputate del Nagorno Karabakh. Da quasi trent’anni lo scontro non è mai rimasto “congelato” e riesplode puntualmente nel contesto dei fallimenti del negoziato condotto dal cosiddetto “gruppo di Minsk”.

Una soluzione al contenzioso resta lontana: territorio situato tra Armenia e Azerbaijan, de jure parte dell’Azerbaijan ma abitato a maggioranza da armeni, il Nagorno Karabakh si è reso indipendente da Baku nel 1991, dopo la dissoluzione dell’URSS. Tensioni crescenti e rivendicazioni territoriali portarono ad una guerra aperta che terminò col cessate il fuoco del 1994, da allora frequentemente violato. Fino ad arrivare all’escalation di pochi giorni nel 2016 e la recrudescenza del conflitto la scorsa estate.

Da quando è riesploso, il conflitto del Karabakh ha avuto un forte impatto sugli altri stati nella regione, tra cui la Turchia. In trent’anni, Ankara non ha mai cambiato la sua posizione a sostegno all’Azerbaijan, ma oggi appare molto più determinata che in passato nell’appoggiare Baku.

È difficile prevedere cosa succederà nelle prossime ore, se e quando la violenza lascerà spazio a nuovi negoziati e soprattutto se questi saranno in grado di risolvere una disputa antica almeno quanto il crollo dell’URSS. Quello che appare chiaro è la forza con cui la Turchia ha preso, fin da subito, posizione a favore dell’Azerbaijan rispetto ai toni più pacati e conciliatori espressi da altre potenze nella regione che hanno un ruolo e la possibilità di influenzare questo scontro, come Russia e Iran.

La Turchia a sostegno dell’Azerbaijan

La retorica di Ankara si basa sull’assunto che il conflitto si può risolvere solo se l’Armenia abbandonerà il territorio del Karabakh, considerato sotto “occupazione armena” come è stato ricordato più volte in questi giorni delle autorità turche, a partire dal presidente Recep Tayyip Erdoğan per finire con il ministro degli Esteri Ҫavuşoğlu che lunedì ha invitato il segretario generale della NATO Stoltenberg, in visita ad Ankara, a chiedere all’Armenia di ritirarsi dal territorio contestato.

La Turchia utilizza le stesse parole del presidente azero Ilham Aliyev che durante il fine settimana in un discorso televisivo ha affermato: “L’Azerbaijan pone solo una condizione [per il cessate il fuoco]: la liberazione dei propri territori. Il Nagorno-Karabakh è un territorio azero e lì dobbiamo tornare”.

La posizione di Ankara non stupisce. Il sostegno all’Azerbaijan si basa sulla retorica nazionalista che guarda al mito del viaggio dei popoli turcici dall’Asia centrale verso l’Anatolia. Gli azeri sono per questo considerati come dei fratelli da molti turchi, o almeno da quelli più nazionalisti che si riconoscono nel partito di estrema destra MHP, fondamentale alleato di governo dell’AKP di Erdoğan. Per gli stessi motivi, la fratellanza con gli azeri è percepita allo stesso modo anche da molti nazionalisti turchi vicini a forze politiche di centro sinistra, come il maggior partito di opposizione CHP.

L’ostilità con l’Armenia

Sempre per motivi storici, la maggior parte della società turca – che si tratti di sostenitori o meno di Erdoğan – oltre al sostegno per gli azeri, condivide anche un sentimento di avversione verso l’Armenia a partire dalla questione che da oltre un secolo divide i due popoli, ovvero le uccisioni di massa di armeni in epoca ottomana che Ankara non ha mai riconosciuto come “genocidio”.

Una distanza, quella tra Ankara e Yerevan, dimostrata da un confine di quasi 200 km – quello tra Turchia e Armenia – che resta chiuso dalla nascita della repubblica armena dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, contemporaneamente all’esplosione dei primi scontri in Nagorno Karabakh.

La retorica della classe dirigente turca, totalmente sbilanciata a favore dell’Azerbaijan, è amplificata quotidianamente dai media in Turchia e la scorsa settimana, qualche ora dopo la prima volta che Erdoğan ha menzionato “l’occupazione armena” in un discorso pubblico, un gruppo di auto ricoperte dalle bandiere dell’Azerbaijan e della Turchia ha sfilato suonando rumorosamente il clacson davanti alla chiesa del patriarcato armeno di Istanbul .

Episodi simili si sono verificati nei giorni successivi  e nemmeno questo, purtroppo, stupisce molto considerando che ciò che resta della comunità armena di Turchia – a Istanbul circa 60mila persone su una popolazione di quasi 15 milioni di abitanti – è regolarmente al centro di attacchi di vario tipo che si alimentano sulle divisioni storiche tra Armenia e Turchia. La determinazione con cui oggi Ankara sostiene Baku si appoggia però soltanto al sentimento nazionalista e rivela una visione più profonda.

Un ruolo attivo nel conflitto

Durante l’estate si era capito che il sostegno della Turchia all’Azerbaijan non si sarebbe limitato soltanto a parole di solidarietà. Dopo tre giorni di scontri nel Karabakh, in luglio Ankara ha concretamente offerto a Baku sostegno a livello militare nei termini di una cooperazione nel settore dell’industria della Difesa.

Non appena gli scontri sono ripresi a fine settembre, l’Armenia ha esplicitamente accusato la Turchia di prendere direttamente parte al conflitto in corso. Le accuse di Yerevan per giorni non sono state commentate a livello ufficiale ma, è stato paradossalmente il presidente azero Aliyev a confermarle in un’intervista al canale turco TRT Haber  dove ha affermato che “i droni armati turchi ci aiutano a limitare le vittime, sono droni che danno la misura della potenza della Turchia e ci rendono oggi più forti”.

Secondo il ministero degli Esteri armeno il sostegno di Ankara all’Azerbaijan non sarebbe limitato all’impiego di droni, ma riguarderebbe anche l’invio a sostegno delle truppe azere di migliaia di mercenari dalle zone nel nord della Siria controllate dalla Turchia. Non c’è mai stata nessuna conferma, ma nemmeno smentita: a livello ufficiale e la voce è stata per ora provata soltanto da testimonianze riportate da fonti giornalistiche; l’invio di mercenari siriani su altri fronti è comunque una tecnica che la Turchia già sperimenta da tempo in Libia, come è stato anche provato da un recente rapporto del Pentagono, oltre che da centinaia di testimonianze raccolte dai giornalisti.

I media turchi hanno riportato l’opinione di funzionari delle forze armate secondo cui anche l’Armenia impiegherebbe mercenari sul campo reclutandoli tra i militanti del PKK, il partito curdo armato considerato terrorista in Turchia e da oltre 40 anni in guerra con Ankara. Le dichiarazioni delle forze di sicurezza turche fanno comprendere come la Turchia abbia un ruolo attivo a livello militare in questa guerra, nello stesso tempo la prova che membri del PKK abbiano preso parte al conflitto in corso non è ancora stata fornita.

I media turchi hanno invece mostrato foto dei militanti del PKK accanto a una bandiera armena, che poi si è rivelata essere in realtà quella della Colombia , in vecchie foto in cui alcuni militanti del PKK davano sostegno alle FARC colombiane.

Il Nagorno-Karabakh nella politica regionale della Turchia

Rispetto ai primi venti anni di guerra nel Karabakh, il consolidamento dell’Azerbaijan come potenza energetica e la crescita del ruolo della Turchia nella regione rendono l’Armenia oggi forse più debole di prima. L’Azerbaijan oggi può contare su un mercato energetico ben consolidato anche grazie al gasdotto aperto nel 2006 che, aggirando il territorio dell’Armenia e passando per la Georgia, trasporta energia in Turchia.

L’energia del Caspio dovrebbe presto arrivare direttamente in Europa grazie a infrastrutture in fase di completamento che andranno a comporre un corridoio del gas dal Caucaso all’Europa mediterranea. Erdoğan è consapevole che questa situazione rappresenta una freno per molti paesi europei nel prendere posizioni a favore dell’Armenia e li lega in qualche modo a Baku, come nel caso dell’Italia, il paese che importa di più dall’Azerbaijan e con il quale ha una cooperazione strategica per quanto riguarda il settore energetico .

Il presidente turco cerca quindi di sfruttare il conflitto nel Caucaso per ottenere dai paesi europei posizioni a suo favore o quanto meno non ostili anche su altri fronti, come ad esempio nel Mediterraneo orientale. Erdoğan utilizza il conflitto in Karabakh anche per scopi interni, cercando di raccogliere consensi nell’area dei nazionalisti turchi sfruttando il sentimento di avversione per motivi storici verso l’Armenia diffuso in larghe fasce della società turca.

Il delicato rapporto con la Russia

L’attivismo di Ankara nello scontro in Karabakh rischia però di diventare un’arma a doppio taglio. L’elemento più delicato riguarda i rapporti tra Turchia e Russia, storicamente alleata dell’Armenia. Yerevan ha chiesto esplicitamente a Mosca di intervenire nel conflitto in corso e per ora Putin non ha scelto di seguire questa strada.

Nei prossimi giorni è attesa però una dichiarazione sul Karabakh della Federazione russa congiunta con Francia e Stati Uniti, paesi dove la diaspora armena ha storicamente una notevole influenza. Mosca potrebbe presto quindi dettare le condizioni per una tregua, magari chiudendo un occhio su alcuni territori conquistati dalle truppe azere in questi giorni concedendoli a Baku.

In questo caso, o quando Mosca prenderà una posizione concreta sul conflitto del Caucaso, la reazione della Turchia sarà determinante anche su altri fronti. Da anni, Ankara e Mosca intrattengono una relazione proficua, ma allo stesso tempo complessa. I due paesi sono presenti militarmente in Libia e Siria, ma riescono ancora a dialogare anche se sostengono parti avverse in queste guerre.

I recenti sviluppi del conflitto libico e soprattutto siriano hanno però logorato il rapporto tra Russia e Turchia e una nuova rivalità – alimentata dallo scontro in corso oggi nel Caucaso – potrebbe incrinare gravemente questo delicato equilibrio.

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