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Nagorno Karabakh: dissoluzione e nuove sfide da affrontare

La settimana scorsa, oltre 100mila armeni provenienti dal Nagorno Karabakh sono sfollati in Armenia mentre le autorità de facto scioglievano l’entità. Nel frattempo, gli sfollati affrontano le sfide dell’integrazione in Armenia e, forse per alcuni, di un possibile ritorno in Azerbaijan

05/10/2023, Onnik James Krikorian -

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Il 28 settembre Samvel Shahramanyan, leader de facto dell’autoproclamata e non riconosciuta Repubblica del Nagorno Karabakh, ha firmato un decreto sullo scioglimento dell’entità separatista. Territorio abitato principalmente da persone di etnia armena ma situato all’interno dell’Azerbaijan, ciò che resta dell’ex Regione autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO) di epoca sovietica cesserà di esistere entro la fine dell’anno.

Baku aveva assicurato di proteggere diritti e sicurezza degli armeni locali che avessero scelto di restare, ma dopo tre decenni di conflitti e guerre pochi ci hanno creduto: dopo la ripresa dei combattimenti a fine settembre, la maggior parte della popolazione se n’è andata.

La popolazione era stata stimata a 120.000, ma ad arrivare in Armenia sono stati solo 100.617. Marco Succi, responsabile della squadra di intervento rapido del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), ha detto ai media che rimangono solo poche centinaia di persone, principalmente malati e anziani.

L’Armenia sostiene che l’esodo degli armeni del Karabakh equivale ad una pulizia etnica, cosa che l’Azerbaijan nega fermamente. La leader dell’UNHCR a Yerevan, Kavita Belani, ha confermato che “non sono stati registrati incidenti o casi di maltrattamenti contro le persone in movimento”.

L’afflusso, tuttavia, graverà pesantemente sull’Armenia: il governo ha annunciato che pagherà a ciascun rifugiato 40.000 Dram armeni (circa 96 Euro) per il costo dell’alloggio e ulteriori 10.000 AMD (circa 24 Euro) per le bollette per i prossimi sei mesi. Riceveranno inoltre un sussidio una tantum di 100.000 AMD (circa 240 Euro).

Nonostante l’esodo, Baku continua a offrire l’integrazione in Azerbaijan, un compito arduo poiché per trent’anni ci sono stati pochi contatti con la popolazione se non sul campo di battaglia. Dopo i tentativi falliti di avviare negoziati sull’integrazione a partire da marzo, i colloqui sono ripresi solo il 21 settembre dopo l’effettiva resa di Stepanakert. La delegazione di Baku era guidata da Ramin Mammadov, nominato rappresentante dell’Azerbaijan all’inizio di quest’anno.

I temi discussi sono il ripristino dell’assistenza umanitaria e della fornitura di elettricità alla regione recentemente assediata, la possibile creazione di un ospedale da campo congiunto gestito da squadre mediche composte sia da armeni che da azerbaijani, e potenziali scambi della società civile per incoraggiare i contatti tra le persone. L’Azerbaijan ha anche creato un gruppo di lavoro per gestire le questioni “sociali, umanitarie, economiche e infrastrutturali” associate all’integrazione del Karabakh.

Le persone di etnia armena avrebbero anche il diritto di partecipare alle elezioni municipali e godrebbero dei diritti culturali e linguistici, nonché agevolazioni fiscali, sussidi agricoli e incentivi per le attività imprenditoriali.
Tuttavia, pochi armeni credono a queste assicurazioni, anche se questo potrebbe cambiare nel tempo. Nonostante il sostegno di molti in Armenia, altri non hanno accolto con favore il loro arrivo. I media armeni hanno già riferito che i lealisti del governo hanno chiesto che tutti gli armeni del Karabakh che partecipano alle manifestazioni dell’opposizione siano deportati o privati dell’assistenza statale.

"È difficile determinare in questa fase se la popolazione locale intende tornare", ha detto la coordinatrice residenziale delle Nazioni Unite in Azerbaijan, Vladanka Andreeva, in una dichiarazione rilasciata dopo una missione di valutazione in Karabakh condotta il primo ottobre. “Ciò che è chiaro è la necessità di creare fiducia, e questo richiederà tempo e impegno da tutte le parti”.

Gli Stati Uniti hanno anche chiesto il dispiegamento di una missione di osservazione internazionale per “garantire trasparenza e assicurare alla popolazione del Nagorno Karabakh che i diritti e la sicurezza degli armeni siano garantiti, soprattutto per quelli che desiderano tornare”. Nel frattempo, il futuro di oltre 100.000 rifugiati armeni del Karabakh rimane incerto.

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