Morire al confine
L’ennesima vittima al confine tra Croazia e Slovenia. Questa volta a perdere la vita è stata una bambina che insieme alla madre e ai fratelli cercava di raggiungere la Slovenia attraversando il fiume Dragogna. Negli ultimi 4 anni in Slovenia sono morti 23 migranti
Una bambina curda di 10 anni è affogata mentre tentava di attraversare con la mamma il Dragogna. I soccorritori hanno impiegato giorni per ritrovare il corpo impigliato tra i rami a circa 2 metri di profondità.
Il fiumiciattolo che separa la Slovenia dalla Croazia era già salito alla ribalta delle cronache internazionali per l’irrisolta disputa confinaria tra i due paesi. Lubiana, durante la crisi migratoria del 2014, lo ha transennato, come ha fatto con tutto il resto del confine, con barriere e rotoli di filo spinato, per rendere più difficoltoso il passaggio illegale della frontiera.
Giovedì scorso una quarantasettenne con i suoi quattro bambini ha cercato di guadare il fiume per entrare in Slovenia. Il figlio diciottenne e un altro bimbo di cinque anni sono riusciti ad arrivare sulla sponda slovena; la donna con sulle spalle la bambina è rimasta in mezzo al corso d’acqua, mentre l’altro figlio tredicenne anni è restato bloccato sul versante croato. Le acque, ingrossate dalle piogge dei giorni precedenti, hanno trascinato via la bimba, mentre la madre è rimasta aggrappata ad un tronco. È stato il figlio sulla sponda croata a dare l’allarme, bussando alla porta di una casa e urlando in inglese le uniche parole che conosceva: “help”, “help”. Il proprietario è andato immediatamente sul posto e poco dopo è arrivato anche un agente della polizia croata che si è buttato nel fiume, ma non è riuscito a far altro che a impedire che la piena portasse via anche la donna. A quel punto dall’altra parte del confine sono arrivati i poliziotti sloveni. Hanno usato il guinzaglio del cane per legare l’agente che si è tuffato in acqua e poi, con l’aiuto di una scala, messa tra le due sponde, hanno tratto in salvo la donna.
I profughi sono stati immediatamente riconsegnati ai croati, che prima li hanno trasportati a Pola, dove sono stati ricoverati in ospedale (in Slovenia l’ospedale di Isola distava solo pochi chilometri) e poi li hanno trasferiti al centro profughi di Zagabria, dove hanno chiesto asilo politico. Ora la salma della bimba attende di venir portata in Turchia, dove verrà sepolta nel villaggio natale della famiglia.
Pochi giorni prima, sempre nella valle del Dragogna, un profugo del Bangladesh, è morto di freddo. Il corpo è stato rinvenuto da un contadino della zona che stava percorrendo una stradina di campagna. Secondo quanto scrive sul Dnevnik Uroš Škerl Kramberger, negli ultimi 4 anni in Slovenia sono morti, in varie circostanze, 23 migranti. Nello stesso periodo lungo la rotta balcanica hanno perso la vita circa 200 persone, tra cui altri 2 bambini. Un fanciullo di 5 anni è affogato in un fiume tra Bosnia e Croazia, mentre una bimba di 6 anni è stata travolta da un treno in Serbia dopo che la polizia croata aveva ricacciato lei e la sua famiglia al di là del confine. Proprio per questo episodio la Corte europea ha condannato di recente la Croazia per violazione del diritto alla vita, trattamento inumano e divieto di respingimento collettivo.
Le organizzazioni umanitarie, che si occupano dell’assistenza ai migranti, intanto denunciano le condizioni in cui si trovano i profughi lungo tutta la rotta balcanica. Nel periodo invernale, ad aggravare la situazione non è soltanto il freddo, ma anche i fiumi in piena. Come se ciò non bastasse, oramai, c’è una diffusa sfiducia nei confronti della polizia e delle forze che presidiano i confini. Sotto accusa i procedimenti di respingimento sommari, che consentono di rispedire i migranti al mittente. L’operazione spesso si tramuta in una sorta di infernale gioco dell’oca, dove i migranti presi dagli sloveni, vengono a loro volta riconsegnati dai croati ai bosniaci o ai serbi. Le organizzazioni umanitarie puntano il dito su quelli che sarebbero procedimenti arbitrari, con i migranti alla mercé delle forze dell’ordine, ma anche dei traduttori.
In Slovenia ottenere asilo politico è tutt’altro che semplice, la legislazione è molto restrittiva. Il paese non ha nemmeno aderito al programma dell’Unione europea, che prevede l’accoglimento di 60.000 profughi, di cui 40.000 afghani entro il 2022. Dure critiche, sono piovute, anche nei confronti delle condizioni di vita nel centro stranieri di Postumia, dove vengono tenuti sotto custodia i migranti, ma anche coloro che sono in attesa di ottenere una risposta per la loro domanda di protezione internazionale.
Intanto una parte della Slovenia sembra inorridita dalla morte della bambina. Commenti sulla responsabilità dell’Europa e della Slovenia sono apparsi sui giornali. In ricordo della bambina sono stati accesi ceri a Lubiana sotto il monumento dedicato a France Prešeren. Per il segretario di Stato agli interni, Božo Predalič, però, dietro alla tragedia ci sarebbe anche l’irresponsabilità della madre, che si è avventurata in acqua in una situazione estrema, con bambini piccoli. In sintesi, per uno dei più fidati collaboratori del premier, Janez Janša, “ci sono i valichi di frontiera e se le persone passassero da quelli non si verificherebbero simili tragedie”. Sui social non sono poi mancate una serie di raccapriccianti commenti, e considerazioni sull’opportunità di far fare ai bambini dei corsi di nuoto.
I cittadini turchi non possono entrare senza visto nell’Unione europea, i curdi in Turchia sono da sempre una popolazione discriminata.
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