Montenegro: un omicidio senza colpevoli
Il 27 maggio 2004, il caporedattore del quotidiano di opposizione Dan veniva assassinato a Podgorica. Due anni e mezzo più tardi, la giustizia ha scagionato il principale indiziato. Sul banco degli imputati non resta che lo Stato
Di Petar Komnenic, per Monitor, 29 dicembre 2006
Traduzione di Persa Aligrudic per Le Courrier des Balkans e di Carlo Dall’Asta per Osservatorio sui Balcani
Il processo per l’omicidio di Dusko Jovanovic si è concluso rapidamente, in silenzio. La sentenza del consiglio dei giudici che scagionava Damir Mandic dall’accusa di complicità nell’omicidio è stata letta da Radovan Mandic in un silenzio assoluto. La moglie del defunto Dusko Jovanovic, Slavica, ha lasciato la sala del tribunale in gran fretta, come anche la famiglia di Damir Mandic che senza emozione apparente attendeva la sentenza.
Fin dall’inizio del processo, Monitor ha sempre ricordato che l’atto di accusa emesso contro Damir Mandic, accusato di complicità nell’omicidio di Dusko Jovanovic, capo redattore del quotidiano Dan, si fondava su prove vaghe e pressoché prive di validità in sede giudiziale. La sentenza emessa dal tribunale contraddice le tesi della polizia e della Procura, che sostenevano che le prove raccolte fossero irrefutabili.
La lettura della sentenza, dopo un processo di due anni e mezzo, non è durata che qualche minuto. Il giudice Mandic ha brevemente spiegato che sulla base delle prove fornite non era possibile concludere che Damir Mandic si fosse trovato sul posto o nell’autoveicolo modello Golf 3, dal cui interno erano state sparati su Jovanovic i proiettili mortali, e che delle testimonianze oculari provavano che Damir Mandic era stato visto nella discoteca Manija di Podgorica al momento del crimine.
Una sentenza su commissione?
Contemporaneamente il tribunale ha condannato Damir Mandic a due anni di prigione per il rapimento di Miodrag Nikolic. Dato che Mandic ha trascorso più di due anni come detenuto in attesa di giudizio per l’omicidio Jovanovic, tale pena è stata considerata come già scontata, cosicché Damir Mandic è ormai un uomo libero. Naturalmente, la decisione dell’Alta corte è solo di prima istanza, ed il procuratore competente può sempre presentare un ricorso nei termini di tempo stabiliti dalla legge.
La sentenza dell’Alta corte ha provocato vive reazioni da parte dei colleghi del defunto Dusko Jovanovic. Si insinuano dubbi sul giudice Radovan Mandic, che non avrebbe rispettato la legge. «È chiaro anche ai profani che le prove sono più che sufficienti per condannare l’imputato. Questa sentenza prova che noi non viviamo in uno Stato di diritto», afferma il redattore capo di Dan, Mladen Milutinovic.
Anche i deputati di cinque partiti di opposizione hanno presentato un comunicato congiunto al Parlamento, in cui definiscono scandalosa la decisione dell’Alta corte. «O la Procura è incapace, e nel corso di tutti questi anni ha ingannato i cittadini dicendo che i risultati delle analisi effettuate a Wiesbaden confermavano senza ambiguità i suoi sospetti, oppure la magistratura è corrotta a tal punto che le prove non sono state prese in considerazione, mentre il diritto e la giustizia sono stati svenduti in cambio di denaro sporco», nota questo comunicato.
Antichi dubbi
Ricordiamo che il nostro giornale (Monitor, NdT) ha più volte messo in dubbio la validità delle prove materiali che la Procura descriveva come irrefutabili. In questo contesto si è spesso menzionata la lattina di Red Bull ed il pacchetto di pistacchi trovati in prossimità del veicolo utilizzato dagli autori del crimine. Questa lattina, che presentava tracce del DNA di Mandic, è stata trovata in circostanze assai strane, successivamente al sopralluogo e ad una cinquantina di metri dal veicolo in questione. In sede di processo si è stabilito che questa prova era stata acquisita seguendo una procedura dubbia, dato che dalle note della polizia risulta che essa sarebbe stata inviata al laboratorio di analisi prima ancora di essere stata scoperta! Gli avvocati di Mandic accusano pubblicamente la polizia di avere fabbricato questa prova.
In effetti questa prova non stabilisce alcun legame tra Mandic ed il veicolo del crimine. Sull’arma trovata nel veicolo, usata per uccidere Jovanovic, non si è rilevata alcuna traccia, mentre sul fucile di riserva, che non è stato utilizzato, sono state trovate diverse tracce di DNA, ma gli esperti non le hanno potute identificare con certezza come appartenenti all’imputato.
La situazione è analoga per le particelle di polvere trovate sulla maglietta di Mandic, che non possono con sicurezza essere imputate all’arma dell’omicidio e che potrebbero avere un’origine del tutto diversa.
Sulla base di tutte le prove fornite, il tribunale non ha potuto concludere che due cose: che Mandic aveva probabilmente tenuto in mano il fucile che sicuramente non è servito ad uccidere Dusko Jovanovic; e d’altra parte che egli si trovava, a un’ora imprecisata, a cinquanta metri dal luogo in cui il veicolo del crimine è stato ritrovato. Ciò naturalmente a condizione che la lattina di Red Bull, che porta la «firma» DNA di Mandic possa essere accettata come prova, ma la provenienza di questa lattina è estremamente discutibile.
In assenza di serie prove materiali, il consiglio dei giudici ha stimato che le prove addotte non sono convincenti. Il tribunale non ha trovato ulteriori prove per suffragare una sentenza di colpevolezza neppure nel tabulato delle telefonate fatte da Damir Mandic, con cui la Procura aveva cercato di contestare il suo alibi. Anche le dichiarazioni dei reporter di Dan, che hanno rimarcato la presenza de Mandic alla discoteca Manija, sono state interpretate a favore dell’imputato. La Corte ha spiegato che Mandic non poteva trovarsi in due posti nello stesso momento. Così tutte le tesi della polizia e della Procura sono state smentite.
Le lacune
In realtà fin dall’inizio questo caso è stato segnato da errori investigativi e da sbrigative condanne. Ricordiamo che, stando a quanto affermato dagli ispettori di polizia, la scena del crimine dell’omicidio Jovanovic è stata ricostruita sulla base della confessione di Damir Mandic che nel corso del primo colloquio informale avrebbe, a quanto egli stesso afferma, descritto il delitto ed identificato i complici. Questo famoso rapporto di polizia, in ogni caso non utilizzabile in sede giudiziaria, non è mai stato reso pubblico.
Ma la polizia, basandosi su queste presunte informazioni, ha accusato Vuk Vulevic, di Berane, e Armin Musa Osmanagic, di Bar, di essere i complici che erano stati ricercati per mesi dopo l’omicidio. Si annunciava allora, ufficiosamente, che il loro arresto avrebbe chiuso il caso Jovanovic.
Ci si è ben presto accorti che la polizia aveva sparato un colpo nel vuoto. Vuk Vulevic è stato arrestato a Belgrado, ed è attualmente sotto processo per un caso completamente diverso, di traffico di stupefacenti. In mancanza di prove, contro di lui non è stata sporta alcuna denuncia per l’omicidio di Jovanovic.
Armin Musa Osmanagic, dopo molti mesi di ricerche, si è spontaneamente presentato alla polizia e, dopo un breve interrogatorio, è stato rimesso in libertà, anch’egli per mancanza di prove.
Il fallimento dell’inchiesta
Con il verdetto di assoluzione di Damir Mandic, questo complicato caso ritorna dunque al suo punto di partenza. Le prove materiali non sono state sufficienti a persuadere il consiglio dei giudici del tribunale della colpevolezza di Mandic. Le indagini successive ed un processo di due anni contro Damir Mandic non hanno gettato alcuna luce sulle ragioni dell’assassinio di Dusko Jovanovic: gli eventuali committenti del crimine non sono stati scoperti, e i veri motivi dell’omicidio non sono stati resi noti all’opinione pubblica.
Nel caso in cui la sentenza venisse confermata, Damir Mandic avrebbe diritto a chiedere allo Stato un risarcimento per una detenzione ingiustificata di quasi sei mesi: il periodo cioè che egli ha passato in prigione, oltre ai due anni di reclusione comminati per il rapimento di Miodrag Nikolic. Si sono già valsi del diritto a fare ricorso Vuk Vulevic ed Armin Musa Osmagnagic, che sono stati trattati pubblicamente come assassini, senza prove, dai più alti funzionari di polizia.
Da come si stanno mettendo le cose, sul banco degli imputati non rimarrà che lo Stato. Se lo merita, perché ha creato un’atmosfera in cui gli assassini possono respirare a pieni polmoni. Purtroppo ciò non può essere di consolazione per la famiglia di Dusko Jovanovic. Un delitto rimasto insoluto è uno scacco in più per le nostre speranze di giustizia in Montenegro. E nessuna delle autorità competenti se ne assume la responsabilità.
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