Montenegro: trent’anni di multipartitismo, sempre la stessa élite al potere
Trent’anni di politica ed elezioni in Montenegro, nomi e fatti dei principali attori politici che si sono susseguiti in questi tre decenni. Una interessante rassegna, curata dal caporedattore del quotidiano Vijesti Srdan Kosović, che descrive i giochi politici di un élite che è rimasta sempre al comando
(Originariamente pubblicato dal quotidiano Vijesti , il 14 luglio 2020)
Le elezioni politiche fissate per il prossimo 30 agosto saranno le undicesime elezioni dall’introduzione del multipartitismo in Montenegro nel 1990. Se guardiamo alle consultazioni elettorali tenutesi in Montenegro negli ultimi tre decenni, emerge chiaramente che l’imminente tornata elettorale per molti versi sarà diversa da tutte le precedenti.
Elezioni del 1990
Alle prime elezioni multipartitiche in Montenegro, tenutesi nel dicembre 1990 dopo la cosiddetta rivoluzione antiburocratica [una serie di proteste di massa organizzate nel 1988-89 da Slobodan Milošević e dai suoi più stretti collaboratori, che portarono al rovesciamento di governi legittimamente eletti delle province di Vojvodina e Kosovo e del governo della repubblica del Montenegro, con conseguente instaurazione di governi guidati dai seguaci di Milošević, ndt.] e poco prima dello scoppio della guerra in ex Jugoslavia, vinse la Lega dei comunisti del Montenegro (SKCG), che successivamente cambiò nome in Partito democratico dei socialisti (DPS).
Il SKCG ottenne più di 171.000 voti, conquistando 83 dei 125 seggi del parlamento montenegrino.
Oltre al SKCG, in parlamento entrarono anche la Lega delle forze riformiste della Jugoslavia (SRSJ) con 17 deputati, il Partito popolare (NS) con 13 deputati e la Coalizione democratica – Unione dei partiti musulmani e albanesi, con 12 deputati.
La campagna elettorale fu decisamente sporca. Gli esponenti del SKCG irradiavano odio, diffondendolo attraverso i media statali che erano sotto il loro controllo. La campagna contro i riformisti fu così aspra che al leader dei riformisti Ante Marković, l’allora premier della Jugoslavia, fu impedito di fermarsi a Virpazar per pranzare.
È interessante notare come i protagonisti della rivoluzione antiburocratica, una volta conquistato il potere, avessero rinunciato all’obiettivo proclamato di voler introdurre la democrazia parlamentare in Montenegro. L’attuale presidente del Montenegro Milo Đukanović all’epoca aveva persino annunciato un referendum con il quale i cittadini montenegrini sarebbero stati chiamati a decidere se introdurre o meno un sistema multipartitico.
Le elezioni del 1990, basate su un meccanismo di controllo – caratteristico dei regimi monopartitici – delle istituzioni, dei media e delle liste elettorali, non furono né libere né eque, né tanto meno oneste, e questa mancanza di libertà, equità e onestà rimarrà la principale caratteristica di tutte le tornate elettorali svoltesi in Montenegro negli ultimi tre decenni, con l’unica differenza che alcuni meccanismi di controllo tipici del comunismo col tempo sono stati sostituiti dalle pratiche corruttive e clientelari e da varie frodi elettorali, come doppi voti e falsificazione dei registri dei votanti.
La Lega delle forze riformiste del Montenegro era composta dai seguenti partiti: il Partito socialista del Montenegro (SPCG, presidente Ljubiša Stanković), l’Alleanza liberale del Montenegro (LSCG, presidente del consiglio di amministrazione Slavko Perović), il Partito dei socialisti del Montenegro (PSCG, presidente Žarko Rakčević), l’Organizzazione indipendente dei comunisti (presidente Mićo Orlandić), il Partito dell’uguaglianza nazionale (SNR, presidente Džavid Šabović), il Partito socialdemocratico del Montenegro (SDSCG, presidente Vidak Vujačić), l’Alternativa democratica del Montenegro (DACG, presidente del consiglio di amministrazione Miodrag Perović) e alcuni membri indipendenti. La Lega era favorevole a riforme economiche e democratiche radicali che potessero aprire la strada all’adesione della Jugoslavia all’Unione europea e aveva un atteggiamento molto critico nei confronti del regime di Slobodan Milošević e di quello di Franjo Tuđman. Il SKCG, guidato da Momir Bulatović e Milo Đukanović, fu invece un grande alleato di Milošević.
L’enorme squilibrio nei rapporti di forza tra maggioranza e opposizione nel parlamento montenegrino si era ulteriormente acuito dopo la scissione dell’SRSJ in sei partiti. Poco dopo Ante Marković lasciò Belgrado e le sue riforme vennero ricoperte dalla polvere da sparo, prima nella parte occidentale e poi in quella centrale dell’ex Jugoslavia.
1992
Le successive elezioni politiche in Montenegro si tennero il 20 dicembre 1992, in piena guerra, e il DPS ne uscì vincitore assoluto, conquistando 46 degli 85 seggi del parlamento.
Il NS divenne la seconda forza in parlamento (con 14 deputati), seguito dal LSCG (13 deputati), dal Partito radicale serbo (SRS, 8 deputati) e dal SDP (4 deputati).
Le elezioni del 1992 si svolsero secondo il sistema proporzionale. È curioso notare che l’SRS guidato da Vojislav Šešelj fu l’unico partito che dopo le elezioni del 1992 entrò in entrambi i parlamenti della Repubblica federale di Jugoslavia [SRJ, nata nell’aprile del 1992 dall’unione delle repubbliche di Serbia e Montenegro], anche se nel parlamento serbo aveva una quota di seggi tre volte superiore a quella conquistata nel parlamento montenegrino.
All’epoca il DPS appoggiò l’unione con la Serbia ed era dichiaratamente favorevole alla democratizzazione del Montenegro e alle riforme economiche, ma l’economia in realtà era ridotta alle attività di contrabbando con cui venivano riempite le casse statali.
Uno dei temi centrali della campagna elettorale per le elezioni del 1992 era quello dell’identità nazionale. Il NS, pur non negando l’esistenza di una nazione montenegrina, insisteva sul rafforzamento della consapevolezza nazionale serba in Montenegro. Queste posizioni, insieme alla contrarietà al mantenimento delle cosiddette “frontiere dell’AVNOJ” [frontiere tra le unità federali dell’ex Jugoslavia stabilite nel 1945-46 dal Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia, ndt.], caratterizzeranno la politica del NS fino alla fine della guerra in Bosnia Erzegovina, dopodiché il NS si sposterà su posizioni più moderate, abbracciando l’idea di una riconciliazione nazionale tra montenegrini e serbi.
Il LSCG invece si era pienamente affermato come un partito sovranista, ma fortemente contrario alla guerra.
1996
Alle elezioni del 3 novembre 1996 il DPS ottenne il maggior numero di voti, conquistando, per la terza volta consecutiva, la maggioranza assoluta dei seggi del parlamento (45 sugli 85), un risultato mai raggiunto prima da nessun partito dei paesi ex comunisti dell’Europa centrale e sud-orientale.
La coalizione “Unità popolare”, fino ad allora inimmaginabile, composta da NS e LSCG, conquistò 19 seggi, il Partito di azione democratica (SDA) 3 seggi, mentre i partiti della minoranza albanese – la Lega democratica del Montenegro (DSCG) e l’Unione democratica degli albanesi (DUA) – si aggiudicarono due seggi ciascuno.
Questo periodo viene ricordato con nostalgia come un momento in cui era sembrato che le elezioni potessero portare a un cambio di potere, proprio grazie alla formazione della coalizione “Unità popolare”. Una delle conseguenze della nascita di questa coalizione fu anche il calo di popolarità delle forze ultranazionaliste, tanto che alle elezioni del 1996 lo JUL di Mira Marković e l’SRS di Vojislav Šešelj ottennero un numero irrisorio di voti. I leader dell’Unità popolare contestarono l’esito delle elezioni, sostenendo che si fosse trattato di uno “spettacolare furto di voti“.
Prima delle elezioni del 1996 il territorio montenegrino fu suddiviso in 14 circoscrizioni elettorali, senza alcun consenso dell’opposizione, e il sistema elettorale funzionava in modo tale da avvantaggiare il DPS, come dimostra il fatto che l’SDP, che si presentò da solo alle elezioni, non entrò in parlamento pur avendo ottenuto il 6% dei voti.
Nonostante riuscissero a riempire le piazze e a contrapporre efficacemente allo slogan del DPS “MI znamo kako“ [Noi sappiamo come] lo slogan “Tačku na pljačku” [Basta con i furti], i leader dell’Unità popolare Slavko Perović e Novak Kilibarda avevano buoni motivi per pensare di essere stati derubati alle elezioni. I leader del DPS avevano dichiarato la vittoria, con tanto di fuochi d’artificio, dopo che appena l’1% delle schede era stato scrutinato, evidentemente convinti che le loro malversazioni elettorali avessero dato i frutti desiderati. La scissione del DPS e le elezioni presidenziali del 1997 faranno emergere alcuni dei principali aspetti di quella frode elettorale, come il rilascio di doppie carte d’identità con cui gli attivisti del DPS avevano votato più volte.
La nuova opposizione, guidata da Momir Bulatović, aveva chiesto che il registro centrale dei votanti venisse revisionato, perché sapeva bene come funzionavano le frodi, alle quali aveva partecipato insieme al DPS fino a poco tempo prima.
1998
La scissione del DPS e le elezioni presidenziali del 1997 – quando Milo Đukanović vinse al ballottaggio contro Momir Bulatović, dopodiché scoppiarono proteste violente – segnarono un punto di svolta.
Le prime elezioni politiche dopo la scissione del DPS si tennero il 31 maggio 1998 e furono vinte dalla coalizione “Da živimo bolje” [Per una vita migliore] guidata da Milo Đukanović.
La coalizione di Đukanović, composta da NS, SDP e DPS, ottenne 42 seggi, l’SNP di Momir Bulatović 29 seggi, l’LSCG 5, mentre il DSCG e il DUA ottennero un seggio ciascuno.
Prima delle elezioni politiche del 1998 vennero adottate alcune leggi molto importanti che furono precedute dall’approvazione di un documento intitolato “Intesa sui principi minimi per lo sviluppo di un’infrastruttura democratica in Montenegro”, adottato durante la cosiddetta “Tavola rotonda montenegrina” tenutasi il 31 agosto 1997. Gli unici a non firmare questa intesa furono l’SDP e il Partito popolare serbo (SNS), nato da una scissione del NS, mentre la dirigenza del NS, guidata da Novak Kilibarda, aveva appoggiato Đukanović.
Il programma elettorale del DPS e dei suoi partner di coalizione per le elezioni politiche del 1998 era basato su un documento presentato da Đukanović poco prima delle elezioni, intitolato “Strateška inicijativa SRJ – osnove za novi početak” [Iniziativa strategica della SRJ – le basi per un nuovo inizio], che poggiava su cinque principi: internalizzazione della vita economica e sociale, riforme economiche, stato di diritto, democratizzazione della sfera politica, giustizia sociale e sicurezza. Đukanović ricevette un ampio e tangibile appoggio da parte dell’Unione europea e di Washington, che lo considerarono come un’importante figura della resistenza al regime di Slobodan Milošević.
Il programma elettorale del SDP invece era focalizzato sulla difesa dell’unione di Serbia e Montenegro che, stando alle parole degli esponenti del SDP, fu minacciata dalla coalizione guidata dal DPS, anche se la sopravvivenza della SRJ veniva messa esplicitamente in discussione anche dal LSCG e meno esplicitamente dal SDP. I liberali guidati da Slavko Perović sostenevano che Đukanović e Bulatović condividessero la stessa matrice ideologica a che prima o poi sarebbero scesi a compromessi con Slobodan Milošević ai danni del Montenegro.
Per quanto riguarda invece lo JUL, alle elezioni del 1998 il partito di Mira Marković subì una vera débâcle, conquistando meno di 350 voti.
Già dopo la sconfitta alle elezioni presidenziali del 1997, secondo molti analisti Momir Bulatović aveva contribuito anche alla sconfitta dell’SNP alle elezioni politiche perché in piena campagna elettorale fu nominato primo ministro della SRJ. Con l’assunzione di questo incarico Bulatović sperava di dimostrare il proprio potere, la vicinanza a Milošević e il sostegno all’unione statale di Serbia e Montenegro, provocando però un effetto opposto. Da un giorno all’altro i manifesti elettorali con il volto di Bulatović furono coperti con un nastro adesivo su cui c’era scritto “Uteče” [è scappato].
2001
Dopo che l’NS era uscito dalla coalizione di governo, a causa della decisione della leadership del DPS di ritirare il proprio sostegno all’agenda politica della SRJ, furono indette elezioni anticipate. Le elezioni si tennero il 22 aprile 2001 e la coalizione “Pobjeda je Crne Gore” [Vincerà il Montenegro], formata da DPS e SDP, ottenne il maggior numero di voti, aggiudicandosi 36 seggi del parlamento, non sufficienti però per creare un governo.
La coalizione “Zajedno za Jugoslaviju” [Insieme per la Jugoslavia], composta da SNP, NS e SNS, conquistò 33 seggi, LSCG 6 seggi, mentre DSCG e DUA ottennero un seggio ciascuno.
Dopo mesi di trattative, LSCG appoggiò la formazione di un governo di minoranza guidato da DPS e SDP.
Poco prima delle elezioni del 2001 Predrag Bulatović era arrivato alla guida dell’SNP, Dragan Šoć aveva sostituito Novak Kilibarda alla guida del NS, mentre alla guida dell’SNS c’era Božidar Bojović.
2002
Dopo la firma dell’Accordo di Belgrado [sottoscritto nel marzo 2002, che prevedeva la sostituzione della Repubblica Federale di Jugoslavia con un’unione di Serbia e Montenegro, ndt] i liberali avevano ritirato il proprio appoggio al governo guidato dal primo ministro Filip Vujanović, dopodiché furono indette nuove elezioni anticipate. Le elezioni si svolsero il 20 ottobre 2002 e la coalizione DPS-SDP, questa volta denominata “Za evropsku Crnu Goru” [Per un Montenegro europeo], ne uscì vincitrice assoluta, conquistando 39 seggi del parlamento.
La coalizione formata da SNP, NS e SNS, denominata “Zajedno za promjene” [Insieme per i cambiamenti] ottenne 30 seggi, LSCG 4 seggi e la Coalizione democratica “Albanesi insieme” 2 seggi.
Questa tornata elettorale aveva dimostrato quanto fosse forte la capacità del DPS di inghiottire sia i suoi alleati che gli avversari. Dopo le elezioni gli esponenti del NS avevano imboccato strade diverse, ma tutti finirono allo stesso modo, scomparendo dalla scena politica.
Anche l’SNS fu scosso da grandi cambiamenti: dopo la prima scissione all’interno del partito, Bojović aveva fondato il Partito democratico serbo (DSS), lasciando le redini dell’SNS ad Andrija Mandić.
Dopo le elezioni del 2002 l’Alleanza liberale aveva deciso di boicottare il parlamento e poco dopo anche gli altri partiti di opposizione avevano ingaggiato una battaglia extraparlamentare durata tre anni e mezzo.
2006
Alle prime elezioni parlamentari dopo la proclamazione dell’indipendenza del Montenegro, tenutesi nel settembre del 2006, la coalizione DPS-SDP aveva ribadito il suo dominio assoluto, conquistando 41 seggi del parlamento.
La Lista serba, guidata dall’SNS, era arrivata seconda, con 12 seggi, mentre il neo-costituito Movimento per i cambiamenti (PZP) e la coalizione SNP-NS-DSS avevano ottenuto 11 seggi ciascuno.
La coalizione formata dal Partito liberale (LP) e dal Partito bosgnacco (BS) aveva conquistato 3 seggi, mentre DUA, DSCG e l’Alternativa albanese (AA) avevano ottenuto un seggio ciascuna. L’Alleanza liberale si era sciolta prima delle elezioni, nel 2005.
Le elezioni politiche del 2006 furono le prime elezioni dopo il referendum sull’indipendenza del Montenegro, e il DPS, cavalcando l’onda dell’entusiasmo popolare, aveva vinto senza grandi difficoltà, anche grazie al fatto che nell’SNP regnava il caos e che una parte dei suoi elettori aveva assunto un atteggiamento passivo, mentre altri avevano scelto di dare il proprio voto ad altri partiti, in primis al Movimento per i cambiamenti.
2009
Alle elezioni politiche del 29 marzo 2009 si erano presentate 16 liste elettorali in lizza per 81 seggi del parlamento.
La coalizione “Evropska Crna Gora” [Montenegro europeo], composta da DPS, SDP, BS e dall’Iniziativa civica croata (HGI), aveva conquistato 48 seggi.
L’SNP era arrivato secondo, con 16 seggi, seguito dalla Nuova democrazia serba (8 seggi) e dal Movimento per i cambiamenti (5 seggi). Nel nuovo parlamento erano entrate anche quattro forze politiche della minoranza albanese: DUA, la coalizione formata da DSCG e AA, la Nuova forza democratica – FORCA e la Coalizione albanese “Prospettiva”, ottenendo un seggio ciascuna.
Durante le elezioni del 2009 erano emersi segnali di avvicinamento tra la coalizione di governo e l’opposizione su alcune questioni, come l’integrazione europea, la democratizzazione, le riforme economiche, etc. Il parlamento, presieduto da Ranko Krivokapić, era diventato il fulcro del dialogo politico, e in quel periodo il sistema politico montenegrino stava perdendo le caratteristiche di un sistema polarizzato, avvicinandosi a un pluripartitismo moderato.
2012
Alle successive elezioni parlamentari, tenutesi il 14 ottobre 2012, hanno votato 362.714 cittadini montenegrini.
Le elezioni sono state precedute da grandi manifestazioni studentesche, che si sono trasformate in massicce proteste popolari.
Questa tornata elettorale è stata contrassegnata dalla nascita di un nuovo partito, il Fronte democratico (DF), e dal ritorno sulla scena politica di MiodragLekić, che ha assunto la guida del DF. La nascita del DF ha provocato parecchi scossoni, perché Predrag Bulatović e Milan Knežević hanno lasciato l’SNP per unirsi al DF, che ha cercato anche di trovare un accordo con il Partito liberale (LP) per presentarsi insieme alle elezioni, ma alla fine il LP ha deciso di entrare in coalizione con il DPS.
La lista “Il Montenegro europeo – Milo Đukanović” ha conquistato 39 seggi, il DF è arrivato secondo con 20 seggi. A seguire l’SNP (9 seggi), Montenegro positivo (7), il BS (3), la lista della minoranza albanese (2) e l’HGI (1 seggio).
I socialdemocratici di Ranko Krivokapić sono stati indecisi fino all’ultimo momento se presentarsi da soli o in coalizione con altri partiti, ma poi alla fine hanno deciso di entrare in coalizione con Đukanović “ancora una volta sola”, con la scusa di voler contribuire all’integrazione euroatlantica del Montenegro.
2016
Le ultime elezioni politiche in Montenegro si sono tenute il 16 ottobre 2016. Il DPS si è aggiudicato 36 seggi, il DF 18, la coalizione Ključ [chiave] 10, il DCG 8, l’SDP 4, i Socialdemocratici del Montenegro (SDCG) e il BS hanno ottenuto 2 seggi ciascuno, mentre la coalizione Albanesi decisamente (FORCA, DUA, AA) e l’HGI hanno ottenuto 1 seggio ciascuna.
Stando ai dati della Commissione elettorale (RIK), 388.220 cittadini montenegrini si sono recati alle urne.
Questa tornata elettorale è stata preceduta da un periodo turbolento, contrassegnato, tra l’altro, dalle elezioni presidenziali del 2013, le più incerte della recente storia del Montenegro, alle quali Filip Vujanović alla fine era riuscito a ottenere più voti del suo sfidante, Miodrag Lekić, che nel frattempo aveva lasciato il DF, fondando un proprio partito, Demos. Dopo l’uscita di Lekić, il DF è tornato su posizione originariamente sostenute dai suoi fondatori. In quel periodo è scoppiato il cosiddetto scandalo delle liste elettorali, che ha rivelato i dettagli delle malversazioni elettorali compiute dal DPS.
Nel 2015 il DF ha organizzato una serie di proteste [antigovernative] che sono state represse con violenza proprio nel momento in cui si stavano spegnendo spontaneamente. Ne sono seguite proteste di massa per denunciare la violazione del diritto di manifestazione pacifica.
La crisi politica che si è inasprita dopo la repressione definitiva delle proteste nell’ottobre 2015 – una repressione contrassegnata da numerosi episodi di violenza della polizia – si è un po’ placata nel gennaio 2016 dopo che il partito Pozitivna Crna Gora ha appoggiato il governo di Đukanović. Poi è stato creato un governo ad interim, a cui ha partecipato anche una parte dell’opposizione, dopodiché sono state indette elezioni politiche alle quali i partiti di opposizione – nonostante le numerose irregolarità e la rivelazione di alcuni dettagli di quello che sarebbe diventato noto come “il colpo di stato” – hanno ottenuto 39 seggi. La campagna elettorale è stata contrassegnata da una presenza inedita del DF nel dibattito pubblico, che ha attirato molta più attenzione rispetto a tutti gli altri partiti, compreso il DPS. La coalizione Chiave (SNP, Demos, URA) ha subito una vera débâcle alle elezioni, mentre il partito dei Democratici del Montenegro (DCG) ha ottenuto un ottimo risultato.
Il giorno del voto è stato caratterizzato da un’intensa attività degli esponenti dell’opposizione, che hanno filmato vari episodi di compravendita di voti e alcune automobili senza targhe, poi hanno fatto irruzione in alcuni seggi elettorali; si sono verificati scontri fisici, etc. Tuttavia, l’evento centrale della giornata è stato un intervento della procura speciale che ha svelato un presunto tentativo di colpo di stato, e il tutto è stato reso noto dall’emittente televisiva Pink, all’epoca controllata da Đukanović. Secondo gli esponenti dell’opposizione, il panico creato dalle rivelazioni sul presunto tentato golpe ha contribuito a una minore affluenza alle urne da parte dei sostenitori dell’opposizione, permettendo così al DPS di rimanere al potere.
Cosa ci aspetta
Le elezioni politiche fissate per il prossimo 30 agosto arrivano in un momento che nessuno avrebbe potuto prevedere, nemmeno dopo quel turbolento 2016. Il processo per tentato golpe si era trasformato in una farsa o, come minimo, in una dimostrazione dell’incapacità della procura di convincere l’opinione pubblica della fondatezza delle accuse mosse nei confronti dei due imputati, Andrija Mandić e Milan Knežević, che sono stati condannati in primo grado a 5 anni di reclusione. A breve si attende la decisione della Corte d’appello che potrebbe scatenare una nuova ondata di instabilità.
Duško Knežević, che per anni è stato il principale finanziatore del DPS, recentemente ha svelato tutta una serie di scandali di corruzione [che vedono coinvolti alcuni alti funzionari del DPS, ndt]; il DPS ha poi subito una dura sconfitta a Bar dopo le proteste scoppiate nel gennaio 2019 per l’abbattimento di circa 90 cipressi [deciso dall’amministrazione comunale, ndt.]. Alle proteste di piazza organizzate l’anno scorso sotto lo slogan “Odupri se” [resisti] hanno partecipato migliaia di cittadini, tra cui anche alcuni membri del DPS; poi si sono svolte le processioni [organizzate dalla Metropolia del Montenegro per protestare contro la nuova legge sulla libertà religiosa, ndt.] a cui hanno partecipato decine di migliaia di cittadini di tutto il paese. Nel frattempo è scoppiata la pandemia di coronavirus; il tentativo di raggiungere un accordo tra maggioranza e opposizione sulla riforma della legge elettorale è andato a vuoto; a Budva, in un modo a dire poco inedito, sono stati destituiti i vertici dell’amministrazione comunale appartenenti ai partiti che sono all’opposizione nel parlamento nazionale; è riemerso lo scandalo delle liste elettorali…
Il DPS, decisamente indebolito, ripone forti speranze nell’operato dell’Ente nazionale di coordinamento per le malattie infettive (NKT) – che negli ultimi mesi è praticamente diventato il quarto pilastro del potere – perché in questo momento può raccogliere consensi solo sfruttando l’epidemia. La capacità del DPS di coalizzarsi è praticamente inesistente, per cui probabilmente cercherà di mobilitare gli elettori con un attacco frontale alla Chiesa [ortodossa serba], sperando così di riuscire a replicare il risultato emerso dal referendum sull’indipendenza [quando il sì ha vinto con il 55% dei voti].
Lo stallo del processo di integrazione europea del Montenegro, il recente declassamento del Montenegro da democrazia a regime ibrido, un continuo susseguirsi di scandali, il dilagare della corruzione e della criminalità organizzata, questi non sono meri effetti collaterali della transizione e il DPS ormai non può convincere nessuno del contrario. Le dichiarazioni confuse degli esponenti del DPS e le nette prese di distanza di alcuni alti funzionari del partito nei confronti del comportamento dei loro colleghi (in particolare riguardo al modo in cui viene condotta la campagna elettorale durante la pandemia) suscitano l’impressione che nel DPS regni il caos, mentre l’esempio di Budva ha dimostrato che nel DPS ormai non c’è nessuno disposto a trovare un compromesso. L’epoca in cui Svetozar Marović era vicepresidente del DPS sembra ormai lontana…
Per quanto riguarda invece l’opposizione, il Montenegro democratico (DCG) è stato criticato per essersi avvicinato al Fronte democratico (DF), perdendo così una parte del proprio elettorato, quella concentrata nei grandi centri urbani, su cui poteva contare alle ultime elezioni. Questa riconciliazione tra DCG e DF è in parte conseguenza della situazione creatasi dopo l’approvazione della Legge sulla libertà religiosa.
IL DCG spera di riuscire a differenziarsi dagli altri partiti di opposizione puntando su un’intensa attività sul campo, e recentemente ha creato un “blocco civico”, come lo hanno definito i suoi esponenti, di cui fanno parte Demos, il professor Vladimir Pavićević e la Nuova sinistra (NL).
Il DF invece ha cercato di sfruttare le processioni organizzate dalla Metropolia del Montenegro, ma ci è riuscito solo in parte, perché la Chiesa ha sempre preso le distanze dalle provocazioni messe in atto dal DF. I leader del DF hanno insistito sulla creazione di un’unica lista dei partiti di opposizione perché per loro sarebbe un modo perfetto per consolidare il proprio potere. Promuovendo questa iniziativa, il DF in realtà ha cercato di incassare facili punti politici ed è riuscito, ancora una volta, a presentarsi come una forza politica sempre disposta a stringere un accordo con altri partiti di opposizione. Tuttavia, resta da vedere – e questo è un punto fondamentale – se il DF continuerà a fungere da portavoce del regime di Belgrado, entrando così in rotta di collisione con la Metropolia del Montenegro.
Il movimento civico URA, che ha stretto un’alleanza con il movimento Civis e un gruppo di intellettuali, sta cercando di promuovere un modo diverso di fare politica, sperando così di conquistare il consenso di quei sostenitori dell’opposizione di orientamento sovranista della cui crescita quantitativa finora hanno cercato di approfittare altri partiti di opposizione, come il Movimento per i cambiamenti, Montenegro positivo, etc. Il recente ingresso di URA nei Verdi europei, oltre ad essere un grande successo a livello internazionale, ha dato un forte slancio al partito montenegrino.
Il Partito socialdemocratico (SDP) sta cercando di approfittare della confusione che regna nelle fila dell’opposizione per riconquistare la propria identità e recuperare i voti che l’attuale presidente del SDP, Draginja Vuksanović Stanković, aveva ottenuto alle elezioni presidenziali del 2018. Toni duri usati dai vertici del DPS nei loro messaggi politici si sono ammorbiditi dopo che l’anno scorso lo storico leader del partito Ranko Krivokapić aveva rassegnato le dimissioni, diventando presidente onorario del partito.
Quanto invece agli altri partiti di opposizione, i Socialdemocratici del Montenegro (SDCG) stanno sopravvivendo grazie a una rete di rapporti clientelari; il Partito popolare serbo (SNS) oscilla tra la ricerca di una nuova (e più moderna) identità politica e la lealtà alla leadership di Belgrado, mentre il Montenegro unito (UCG) e il Vero Montenegro (PCG) cercano un’alleanza con un partito più grande.
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