Montenegro, è tempo d’agire
Dopo una lunga esperienza nel settore delle ong, Jovana Marović ha deciso di impegnarsi in politica col movimento URA. In questa intervista, ci racconta il perché della sua scelta, e la sua visione sul percorso di integrazione europea del Montenegro
“In Montenegro sta soffiando il vento dei cambiamenti, delle riforme, della volontà politica di avviare la lotta senza quartiere alla corruzione, alla criminalità organizzata, e di rafforzare, parallelamente, le istituzioni e lo stato di diritto”, così Jovana Marović, attivista civica di lunga data, spiega in un’intervista a OBC Transeuropa la sua decisione di entrare nell’arena politica montenegrina, ovvero perché ha accettato la vicepresidenza del movimento civico URA del vicepremier Dritan Abazović.
“Sono stata 11 anni nel settore delle ONG, è stato un periodo molto produttivo, ma anche frustrante tenendo conto dei risultati deludenti per quanto riguarda l’agenda delle riforme. In questo senso è stato logico, almeno per me, provare a cambiare qualcosa lì dove si prendono le decisioni”, racconta Jovana Marović. “Anche se URA fa parte del governo, nel prossimo periodo sarò totalmente dedicata al lavoro dentro il partito. Ritengo che sia necessario rafforzare i partiti che coltivano i valori europei per mantenere il corso di politica estera del Montenegro e rendere più forte la ‘coscienza civica’ nella società”.
Cosa ti ha spinto di più ad entrare in politica, il momento storico in cui si trova il Montenegro dopo il cambio del regime che ha governato il paese per 30 anni, o il programma ed i risultati di URA fino a oggi?
Tutti e due. URA è l’unico partito che ha obiettivi e programma in cui mi posso identificare, mentre in Montenegro il clima è ora più adatto per l’attuazione delle riforme rispetto a un anno fa.
Il Montenegro ha recentemente "festeggiato" i nove anni dall’inizio dei negoziati per l’adesione all’UE. Cosa ti dice il fatto che nessun paese, a parte la Turchia, è rimasto nel processo di negoziazioni così a lungo?
Il Montenegro non è stato in grado di fornire i risultati adeguati in aree che rafforzano lo stato di diritto perché il DPS (il partito del presidente Milo Đukanović) si è di fatto impadronito delle istituzioni e di conseguenza non è stato possibile far fronte ai problemi più gravi, poiché ciò avrebbe significato di toccare a fondo gli interessi dei gerarchi di regime e intraprendere una lotta vera a corruzione e criminalità organizzata.
Il Montenegro è un esempio lampante che – anche da parte dell’UE – qualcosa non procede bene rispetto all’allargamento ai Balcani occidentali. A differenza della Serbia, che ha diversi ostacoli e freni sul suo cammino verso l’Unione, il Montenegro, apparentemente, non ne ha nessuno ma, nonostante tutto, rimane ancora al palo. Perché?
Oltre alla mancanza di risultati concreti in Montenegro, la velocità e la durata del processo negoziale sono influenzate dagli sviluppi nella stessa UE: parliamo delle diverse crisi che hanno colpito l’Unione. C’è poi il problema cronico del deficit democratico dell’UE e in alcuni paesi membri, e alla fine è arrivata anche la pandemia. Detto questo è comprensibile che l’UE si sia concentrata su se stessa, ma uno dei danni collaterali sono stati gli effetti deleteri sullo stato di salute della democrazia nella regione balcanica, che hanno aperto la porta della regione ad altre potenze non occidentali. Sono del parere che il rafforzamento della democrazia debba procedere speditamente a tutti i livelli.
Il nuovo governo è al potere da più di sei mesi. Secondo lei è pronto a cambiare passo e uscire dallo stallo dei negoziati con l’UE che dura, oramai, da tre o quattro anni?
Il cambio al potere ha creato finalmente le condizioni per "cancellare" dal discorso pubblico l’espressione "mancanza di volontà politica", che si riferiva all’anemica lotta contro l’illegalità alla corruzione tra i funzionari dello stato. Tuttavia, la situazione all’interno della magistratura non è incoraggiante e servirà tempo per metterla sui binari giusti. Comunque, spetta al Montenegro prendere sul serio gli impegni previsti dal negoziato con l’UE e il processo della democratizzazione. E’ l’unica strada per soddisfare le condizioni. L’impegno c’è, credo che i progressi non tarderanno ad arrivare.
Ha la sensazione che l’UE, o meglio dire, che alcuni stati membri, stiano usando i problemi nella regione per rallentare l’integrazione europea anziché sfruttare l’integrazione europea come un mezzo straordinario per risolvere le questioni ancora aperte nei Balcani occidentali?
Per molto tempo l’UE ha usato la cosiddetta “stabilocrazia” per mantenere lo status quo nella regione, tenendo i paesi dei Balcani occidentali a distanza, a tutto discapito del processo di riforma. Ciononostante, credo che quell’approccio sarebbe almeno in parte cambiato, se alcuni paesi avessero mostrato risultati migliori per quanto riguarda l’agenda delle riforme.
Si può dire che l’UE non è corretta, visto che applica per i paesi dei Balcani occidentali condizioni molto più rigorose rispetto a quelle usate per i paesi entrati nell’UE nel 2004 e nel 2007?
Tenendo conto dei problemi che l’UE ha dovuto affrontare dopo l’adesione dei paesi che non hanno raggiunto il livello di democratizzazione richiesto al momento dell’allargamento, credo che condizioni più rigorose non siano necessariamente ingiuste. Ciò che doveva andare di pari passo con il processo negoziale era un impegno più attivo dell’UE "sul campo" e un migliore monitoraggio della reale attuazione delle riforme.
Cosa pensa quando sente ripetere per l’ennesima volta che il Montenegro e gli altri paesi della regione hanno una prospettiva europea e che l’UE non sarà completa senza l’adesione dei Balcani occidentali ?
Penso che questa sia una verità che nessuno può negare, ma che la retorica e la disponibilità di principio ad integrare i Balcani occidentali non bastano. In questo momento occorre nuovo slancio, sfruttare la nuova metodologia per motivare i paesi della regione a cogliere gli incentivi e i vantaggi previsti dal nuovo approccio, che, tuttavia, dovrebbero essere specificati e concretizzati meglio.
Cosa potrebbero fare i paesi dei Balcani occidentali, individualmente o insieme, per migliorare la propria immagine e quella dell’allargamento all’interno dell’opinione pubblica dei paesi dell’Europa occidentale e scandinavi, storicamente contrari a nuovi allargamenti ?
I paesi dei Balcani occidentali devono lavorare per rafforzare la democrazia a beneficio dei loro cittadini. Qualsiasi mossa in quella direzione influenzerà il cambiamento dell’opinione pubblica nei paesi dell’Europa occidentale.
Il sostegno dell’UE all’idea di creare una specie di “mini Schengen” nell’area balcanica rappresenta un altro segnale che Berlino, Parigi e Bruxelles non prevedono gli allargamenti all’orizzonte e stanno cercando un’alternativa?
Sono numerose le iniziative di “integrazioni regionali", la "mini Schengen” è solo una di esse. Abbiamo fatto spesso discussioni e polemiche sul fatto che possano sostituire l’adesione e che siano il massimo che l’UE può offrire ai paesi dei Balcani occidentali. Non sono contraria a questo tipo di integrazioni regionali, ma l’UE dovrebbe "ancorarle" alla nuova metodologia e specificare che fanno parte della politica di condizionalità e del cammino verso l’adesione.
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