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Montenegro: dallo stato ecologico ai sogni dell’oro nero

Dopo la Croazia, è arrivato il via libera allo sfruttamento del petrolio anche nei fondali marini del Montenegro. Le dinamiche di questa decisione e i rischi per l’Adriatico in un’intervista con Nataša Kovačević, coordinatrice area progetti dell’associazione ambientalista Green Home

11/02/2015, Marina Kelava -

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(Pubblicato originariamente da H-Alter il 2 febbraio 2015, titolo orginale Od ekološke države do naftnih snova )

L’inquinamento del mare non conosce frontiere, e quando si parla di ricerca di idrocarburi in mare bisogna tener conto anche delle prassi dei paesi confinanti. Così le autorità montenegrine, prendendo esempio da quelle croate, si sono incamminate nell’avventura petrolifera con grandi sogni sul ”tesoro” a portata di mano. Sempre sull’esempio dei loro vicini, hanno completamente capovolto la procedura: prima hanno indetto una gara d’appalto per lo sfruttamento del petrolio, e solo dopo si sono premurati di avviare una valutazione dell’impatto di un tale progetto sull’ambiente.

L’intenzione è quella di offrire in concessione l’intero fondale marino appartenente al Montenegro, suddiviso in 26 blocchi di 300 kmq ciascuno, e a breve sapremo l’esito del bando sui primi 13 blocchi, per un totale di 4000 kmq, dati in concessione per due anni di ricerca e trent’anni di estrazioni. A differenza del caso croato, nel quale le zone offerte in concessione rimangono limitate a dieci chilometri dalla costa, ovvero sei chilometri dalle isole, in Montenegro questa distanza è ridotta a soli tre chilometri.

Nataša Kovačević, coordinatrice area progetti dell’associazione ambientalista Green Home, con sede a Podgorica, spiega per H-Alter le dinamiche di questo via libera allo sfruttamento del petrolio nei fondali montenegrini.

Le autorità montenegrine hanno manifestato l’intenzione di seguire l’esempio di quelle croate, ovvero di avviare una gara d’appalto per lo sfruttamento del petrolio e solo dopo realizzare una valutazione ambientale strategica. Come commenta questo modo di procedere, in Croazia fortemente criticato da diverse associazioni ecologiste nonché da numerosi esperti del settore?

Il fatto che il governo montenegrino abbia indetto la gara d’appalto prima di avviare il processo di valutazione ambientale, inevitabilmente accompagnato da un dibattito pubblico, rappresenta una violazione della legge in materia di valutazione ambientale strategica e testimonia una prepotente negligenza nella sua applicazione. Un piccolo paese, il cui intero sistema sociale dipende in misura significativa dalle risorse naturali disponibili (e in più, scelto da Forbes come prima destinazione turistica da visitare nel 2015), non può permettersi di mettere a repentaglio, con un investimento così rischioso, la sua tendenza ormai decennale di sviluppo.

Nelle circostanze attuali, la procedura di valutazione ambientale strategica non ha più alcun senso poiché le autorità hanno già stabilito la mappa delle aree da mettere all’asta, in questo modo cancellando ogni dibattito su quale parte dell’Adriatico sarebbe eventualmente ammissibile dare in concessione per una ricerca così rischiosa, a quale distanza dalla costa e dalle zone più a rischio, a quali scelte alternative di sviluppo si potrebbe attingere, etc.

In modo del tutto arbitrario, evitando ogni dialogo aperto e pubblico, si è entrati in un progetto che mette a rischio l’ambiente, il turismo e la pesca nonostante essi rappresentino i settori più importanti dell’economia nazionale. A quanto emerge da documenti finora resi pubblici, le ricerche saranno consentite a soli tre chilometri dalla costa, il che significa che le piattaforme petrolifere saranno visibili dalle spiagge di quasi tutte le città costiere.

Per quanto riguarda la fascia costiera, si ha intenzione di approvare un piano urbanistico di carattere speciale che dovrebbe definire quali zone di protezione ecologica sospendere, ma non si ha nessuna consapevolezza che questo comporta anche una sospensione temporanea dei maggiori investimenti nell’area né si pensa che sarebbe opportuno un dibattito pubblico sulla moratoria delle zone protette.

Tenendo conto di queste omissioni compiute a livello nazionale, c’è da aspettarsi anche il mancato rispetto dell’obbligo di informare e consultare l’opinione pubblica sulle possibili ripercussioni del progetto sull’ambiente dei paesi adiacenti.

È comunque una questione che abbiamo intenzione di aprire prossimamente anche a livello internazionale.

Chi è a capo dell’intero progetto? Si pensa di istituire un’apposita agenzia come avvenuto in Croazia?

L’intero processo è gestito dal ministero dell’Economia, molto abile nell’evitare i controlli su quando, come e a quali condizioni vengono aperte le gare d’appalto. Si sta inoltre progettando l’istituzione dell’Agenzia per gli idrocarburi, la quale però non può avere un ruolo significativo dato che lo stato non dispone né delle capacità né del personale qualificato e competente, necessari per organizzare e controllare i progetti in questione nonché per proteggere l’ambiente dal rischio dello sversamento di idrocarburi in mare.

Né la legge nazionale sugli idrocarburi né le norme, adottate solo in parte, della Direttiva europea sulla sicurezza delle operazioni offshore nelle piattaforme petrolifere coprono tutti i vuoti riguardanti la sicurezza – sociale, economica e ambientale – soprattutto per quanto riguarda la ricerca e l’estrazione degli idrocarburi in aree a rischio.

Di quali strumenti dispone il Montenegro in caso di eventuali disastri petroliferi? Lo stato possiede le navi e altre attrezzature necessarie per il recupero del petrolio sversato in mare?

No, il Montenegro non dispone di un corpo amministrativo competente per reagire in caso di una catastrofe ambientale né di navi specializzate nel recupero del petrolio.

Quello che preoccupa di più è la quantità di rifiuti fangosi, o addirittura radioattivi, che si produce durante le operazioni di trivellazione e per la quale in Montenegro non esiste alcun impianto di smaltimento, nonostante la bozza di Studio sull’impatto ambientale abbia avvertito di tale rischio.

Il modo in cui questi rifiuti verranno recuperati e trasportati rimane ancora una grande incognita per il nostro governo.

Quali compagnie si sono dimostrate interessate alle concessioni?

Alla gara d’appalto si sono presentate le stesse aziende che hanno già ottenuto le concessioni in Croazia, quindi Marathon Oil, OMV, Mediterranean Oil and Gas e ENI, ma si parla anche della compagnia russa Novatek e di quella greca Energean Oil&Gas.

L’unica garanzia che i cittadini montenegrini hanno avuto finora è la rassicurazione da parte delle istituzioni statali competenti che le compagnie petrolifere in questione operano ad un livello altamente standardizzato. Tuttavia, il fatto che il nostro governo sostenga che la ricerca e l’estrazione di petrolio nei fondali montenegrini non comporta nessun rischio, nonostante esista una vasta documentazione sui casi di perdita di petrolio e su altri incidenti legati allo sfruttamento degli idrocarburi, evidenzia chiaramente la superficialità con la quale viene affrontata la questione dei rischi e pericoli che accompagnano questo tipo di progetti.

Le sole promesse che le compagnie petrolifere rispetteranno i più alti standard sono poco serie e insufficienti per garantire la protezione di una della nostre risorse più preziose.

Come hanno reagito l’opinione pubblica e gli esperti in Montenegro? Vi è stata qualche forma di resistenza?

L’unica voce di protesta viene da quelle strutture sociali e professionali che hanno competenze, o si sforzano di averle, sulle problematiche relative allo sfruttamento del petrolio, che sembra innocuo ma non lo è affatto.

Le ripercussioni più gravi si faranno sentire nell’ambito della pesca, e questo già nella fase della ricerca di idrocarburi in mare, effettuata con cannoni acustici che sparano onde sismiche fino a 240 decibel, disturbando diverse specie marine e provocando le loro migrazioni o persino la loro morte. Una sola onda sonora può raggiungere il perimetro di 60 km entro il quale mammiferi, pesci e altre specie marine, soprattutto quelle trovatesi vicino alla fonte, muoiono a causa di lesioni, di perdita dell’udito o dell’orientamento, etc., mentre le uova vengono irreparabilmente distrutte.

Questi progetti sono in netta contrapposizione con l’autoproclamazione del Montenegro come “Stato ecologico”. Cosa significa nella prassi tale denominazione? Contiene qualche fondamento?

La proclamazione del Montenegro, nell’art.1 della sua Costituzione, come uno stato ecologico, avrebbe dovuto determinare le sue scelte di sviluppo, specialmente perché incorporata in quasi tutti i documenti strategici. Tale concetto di sviluppo si basa su una grande ricchezza di risorse naturali e, nonostante numerosi problemi verificatisi in questo ambito, finora non è mai stato messo in dubbio. Di fronte alla sfida posta dallo sfruttamento del petrolio nei fondali marini, il Montenegro rischia di rinunciare ad una grande idea nel nome del profitto veloce, tratto da fonti di energia non rinnovabili, e nell’interesse di un ristretto gruppo di lobbisti che sembra voler trascinare alla rovina l’intero paese.

Come giudica, in generale, la strategia montenegrina per la salvaguardia dell’Adriatico?

Non siamo soddisfatti del modo in cui si pretende di salvaguardare l’ambiente marino. In Montenegro nessuna area marina è stata finora posta sotto protezione, mentre negli ultimi dieci anni la pressione sulla zona costiera è aumentata in misura significativa. Le risorse marine sono esposte a diverse pressioni e inquinamenti causati dalle acque reflue non trattate, dai rifiuti, dai porti, marine, cantieri navali quasi mai attrezzati per raccogliere i rifiuti delle navi e prevenire l’impatto negativo sull’ambiente. L’inesistenza di una gestione integrata delle risorse marine, e la mancata applicazione degli strumenti, come ad esempio la pianificazione dello spazio marittimo, riducono la possibilità di sfruttare, in modo adeguato, il potenziale della crescita blu, il cui contributo è essenziale per un’economia efficiente e sostenibile.

Avete pensato ad una collaborazione con associazioni croate o italiane in merito alla salvaguardia dell’Adriatico, dato che progetti simili hanno già preso piede in questi paesi?

Abbiamo già iniziato a collaborare e scambiare informazioni con diverse associazioni nella regione, tra le quali Movimento Cinque Stelle e WWF Italia, Zelena Akcija, WWF Adria, Clean Adriatic Sea Alliance, e molte altre attive in Montenegro, Italia, Croazia, Slovenia, Bosnia Erzegovina, Albania e Grecia, e con alcune di loro stiamo organizzando per la primavera una manifestazione congiunta.

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