Missione Kosovo
Nelle sale dal Parlamento Europeo si discute della futura missione Ue in Kosovo. La programmazione di quest’ultima va avanti ma c’è il rischio che si parta su basi politiche molto fragili. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Vera Cavallin
Due settimane fa al Parlamento Europeo di Bruxelles si è riunita la sottocommissione per la Sicurezza e Difesa con un ordine del giorno ricco di spunti di riflessione, dallo scambio di opinioni con Annalisa Giannella, rappresentante personale di Javier Solana, sulla non proliferazione delle armi di distruzione di massa, al dibattito con Peter Feith, direttore generale del programma PESC e Segretario Generale del Consiglio, sulla futura operazione PESC in Kosovo.
Al momento infatti l’UE sta progettando di inviare in quest’area dei Balcani centro-meridionali un contingente europeo finanziato dai fondi previsti per la Politica Estera di Sicurezza Comune, con l’obbiettivo ultimo di migliorare, da un punto di vista legale, la situazione già instabile del Kosovo che dal 1999 non gode di uno statuto giuridico proprio. Gli ultimi 8 anni di incertezze hanno rafforzato la stasi generale con la quale questa regione deve convivere, rendendo ancor più complesso un qualsiasi intervento internazionale.
L’incontro con Peter Feith ha contribuito a spiegare il ruolo di questa futura spedizione europea scoprendone gli obbiettivi, i costi, le mansioni. Secondo quanto stabilito dal Consiglio, il mandato del gruppo di pianificazione Eupt Kosovo che lavora alla preparazione della missione approvata nel 2006 è stato prolungato fino al 30 novembre 2007: quanto prima, si pensa al prossimo autunno, nuovi contingenti europei toccheranno il suolo kosovaro.
L’intervento PESC opererà in maniera neutrale, indipendentemente dal braccio di ferro tra Belgrado e Pristina le quali, sotto gli occhi vigili delle Nazioni Unite, sono da tempo alla ricerca di una soluzione che accontenti le parti in causa anche se una conclusione della questione a breve sembra improbabile.
Secondo Feith è di vitale importanza che la spedizione operi in stretto contatto con le autorità locali, sostenendo il concetto di "ownership": si vuole che le istituzioni del posto vengano sostenute direttamente dal contingente internazionale nel loro sforzo di creare uno Stato di diritto proprio di ogni società democratica. Si tratta di una missione che lavorerà quindi esclusivamente nei settori di polizia, giustizia e dogana. Ci saranno sul posto circa 1400 poliziotti con il compito di monitorare ed assistere il nuovo percorso formativo kosovaro all’interno del quale la lotta al crimine, l’investigazione finanziaria, il controllo delle frontiere e il controllo dei diritti umani avranno un posto prioritario.
I costi per finanziare questa operazione saranno molto elevati, intorno ai 150 milioni di euro annui. La politica europea per la sicurezza e la difesa, organo che sostiene economicamente la missione, dispone di 160 milioni di euro per il 2007, con i quali deve poter sopperire ad altre spedizioni europee nel mondo. Risulta chiaro quindi che non sarà semplice riuscire a finanziare un’impresa del genere e che il Consiglio dovrà ricorrere al Parlamento per discutere di nuovi fondi.
Anche gli Stati Uniti hanno espresso il desiderio di cooperare con l’UE in Kosovo. Non è ancora chiaro pero’ quale sara’ il ruolo preciso delle forze americane. Sorge spontaneo chiedersi come si svilupperà la cooperazione tra USA e UE, se e in che misura la missione d’oltre oceano sara’ disposta a collaborare e ad attenersi al piano d’azione europeo.
Secondo il Segretario Generale del Consiglio il contributo degli Stati Uniti fino ad ora è stato importante e fondamentale, partecipando al mantenimento dell’ordine nella regione. Ci si aspetta quindi che l’UE aiuti e sostenga il lavoro delle già presenti forze statunitensi, facilitandone i lavori e creando una base di legalità sociale.
Da qui deriva – secondo Feith – la necessità di appoggiare anche il contingente Nato operativo nell’area interessata, mantenendo pero’ fermo l’obbiettivo di lavorare solo in ambito di giustizia e protezione doganale. L’Unione Europea non invierà una missione militare ma di polizia il cui compito sarà quello di evitare che si creino pericolosi vuoti di sicurezza. Rimane compito esclusivo delle Nazioni Unite occuparsi della stabilità militare.
Ufficialmente è stata fissata per il 10 dicembre un’altra tappa fondamentale per lo statuto del Kosovo. La cosidetta troika – UE, Russia e Stati Uniti che stanno contrattando con Belgrado e Pristina per risolvere la questione – dovrà esprimere il suo parere. E’ in ogni caso molto improbabile che si arrivi, a breve, ad una risoluzione concreta per entrambe le parti in causa. Indipendenza, sorveglianza internazionale della regione, autonomia, non si sa quale delle opzioni possibili sarà quella realizzabile.
Quello che in ogni caso stupisce dal rapporto di Feith è il fatto che la missione UE possa operare senza un ruolo politico. E’ lecito infatti pensare che un’eventuale decisione presa in dicembre sul futuro dei kosovari influirà sulla neutralità della spedizione europea e che quindi la situazione dovrà essere gestita in maniera diversa.
Sarebbe auspicabile che l’Unione Europea dopo il silenzio colposo sulle guerre balcaniche degli Anni Novanta si proponesse almeno ora come attore attivo, con un ruolo ben definito, a sostegno di un processo democratico da troppo tempo ostacolato da fattori esterni alla volontà popolare. E’ necessario che l’Unione Europea sia chiara in un contesto di tale instabilità. Se è vero che la missione PESC sara’ la più importante spedizione europea mai organizzata, è necessario che anche dal punto di vista politico l’UE dimostri la propria fermezza e coerenza appoggiando una svolta democratica nella regione.
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