Missione impossibile
Breve cronaca di Drago Hedl, per il settimanale Feral Tribune, delle reazioni alle anteprime del documentario "Vukovar -Atto finale", proiettato nelle sale di Zagabria, Belgrado e Sarajevo. Nostra traduzione
Di Drago Hedl, Feral Tribune, 2 marzo 2006 (tit. orig. Kratki dnevnik nemoguce misije)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Luka Zanoni
Quando lo scorso giovedì, alla presenza di una trentina di giornalisti al cinema Tuskanac di Zagabria, sono state trasmesse le prime sequenze del film Vukovar – atto finale, mi sono ricordato di una delle molte discussioni con Janko Baljak, il regista e co-sceneggiatore del film, che abbiamo avuto durante i 15 mesi di registrazione. Girare un film su Vukovar, con "una produzione serbo-croata", come l’hanno chiamata subito i media, ci sembrava una missione del tutto impossibile. Sulla tragedia di guerra di Vukovar sono stati girati molti documentari e diversi film, ma il nostro desiderio era quello di fare un film che tenesse in considerazione tutti gli aspetti del dramma e comprendesse gli attori di ambo le parti. Ma può un film come questo essere accettato in Croazia e in Serbia? C’è il desiderio di ascoltare anche l’altra parte? Come reagiranno a Zagabria quando nel film si vede cosa è accaduto a Vukovar ai serbi, mentre la difesa era guidata da Tomislav Mercep, oppure come sarà accolta la testimonianza dei riservisti serbi che hanno partecipato agli attacchi a questa città? Come reagiranno in Serbia ascoltando Mercep, Martin Spegelj o Branko Borkovic, ultimo comandante della difesa di Vukovar? Come accoglieranno quelle brutte scene dell’ingresso dell’esercito nella Vukovar tutta distrutta, quei corpi violentati, gli attacchi all’ospedale, e il massacro di Ovcara?
Crampi allo stomaco
Ora che il film è stato girato e che al cinema Tuskanac, giovedì 23 febbraio, ad una proiezione a porte chiuse dedicata ai giornalisti per la prima volta sono stati mostrati i 103 minuti della lunga storia, ho capito che la vera missione impossibile inizia solo adesso. Segue il confronto con gli spettatori: il giorno seguente a Zagabria, alla prima mondiale del film nell’ambito del festival Zagrebdox, e poi due giorni dopo, a Belgrado al 34simo Fest, e poi il giorno successivo, al Media Centar di Sarajevo, ad una tavola rotonda sui crimini di guerra. Che reazioni ci saranno al film?
Nenad Puhovski, direttore artistico di ZagrebDox, che ha incluso il film in questo prestigioso festival, in un’intervista per Radio Free Europe, alcuni giorni prima dell’inizio del secondo Festival internazionale del documentario, ha definito il documentario "un film fatto bene e onesto". Alcuni giornalisti, dopo la proiezione, mi hanno detto lo stesso. Ma ho considerato ciò come la nota manifestazione di cortesia dei colleghi e però aspettavo i giornali del giorno dopo. Dopo la proiezione e alcune interviste, al bar insieme a Veran Matic, caporedattore della Televisione B92, la cui casa di produzione ha sostenuto l’intero progetto, ci incoraggiamo reciprocamente commentando su come la proiezione del giorno seguente ha fatto il tutto esaurito, e poi su come ci si aspetta che accada anche nella replica del sabato. Ma entrambi, benché non ce lo riconosciamo a vicenda, abbiamo una evidente tremarella, e un leggero crampo allo stomaco. Del film proprio non parliamo.
Il giorno seguente, venerdì mattina, nel giorno dell’anteprima mondiale del film, Veran tutto contento mi legge per colazione il quotidiano Jutarnji list. Il giornale non l’ho ancora comprato, anche se, andando a colazione, ho frugato nel portariviste dell’albergo. Non mi era per niente facile tacere agli altri ciò che scriveva il giornale, piuttosto che prenderne atto da solo.
"Senti questo", mi dice Veran e cita Jurica Pavicic, che dice come Vukovar – atto finale "non è solo la dimostrazione storica più fondamentale e completa della tragedia di Vukovar, mai realizzata sino ad ora", ma anche "un film che porterà agli storici e agli analisti delle vicende del 1991 tutta una serie di testimonianze e conoscenze". Pavicic sullo Jutarnji conclude che è "un film che può servire come consenso minimo che si dovrebbe costruire tra le due sponde del Danubio". Ma succederà questo, stasera a Zagabria e fra due giorni a Belgrado? Incoraggiato dallo Jutarnji prendo in mano il Vecernji list: sotto il titolo "Appello contro i crimini" definiscono il film "impressionante e a tratti commovente". Il Novi list riporta il film in prima pagina e lo descrive come "inquietante, impressionante, toccante racconto, lontano da qualsiasi abbellimento, patetico e soggettivo". Slobodna Dalmacija aggiunge come "Drago Hedl e Janko Baljak sono riusciti a realizzare un toccante documentario che pochi lascia indifferenti".
Shock in sala
Adesso è già più facile, ma l’umore me lo guasta una chiamata di una collega da Vukovar, la quale mi di dice che nell’odierna seduta del Consiglio comunale è stata posta la domanda se si può usare il nome di Vukovar per il titolo di un documentario. Hanno dato disposizione per indagare su questa questione. Probabilmente qualcuno sufficientemente "cosciente" ha fatto di tutto per far sì che in tempo utile, se il film avesse incontrato cattive reazioni, non solo si riuscisse a prenderne le distanze , ma si riuscisse anche a chiedere il divieto di utilizzo del nome Vukovar. Evidentemente non hanno letto i giornali del mattino.
Mi chiama Veljko Bulajic, col quale negli anni ottanta ho lavorato al film "La terra promessa", investigando e preparando la documentazione per Iva Bresana per la sceneggiatura del film, la continuazione di "Treno senza linee guida". Si interessa al film, desidera vederlo, si complimenta per le buone reazioni. I colleghi mi chiamano per dirmi che i siti internet sono pieni di commenti positivi sul film. Ma questo è solo l’inizio: dopo le proiezioni di Zagabria e Belgrado, su Google ci sono oltre 18.500 siti su cui si scrive del film!
Ero un po’ scettico quando, alcune settimane prima dell’anteprima, avevo visto che la proiezione del nostro film era fissata per venerdì alle 23.00. Cioé di venerdì, un’ora prima di mezzanotte. Ma il regista Janko Baljak, era soddisfatto dell’orario, nonostante fossimo entrambi dispiaciuti che il film fosse inserito nella categoria delle proiezioni a parte, nel gruppo dei "temi controversi". Ma lo sguardo alla sala strapiena, nella quale non solo non c’era più posto, ma dove cinquanta persone erano rimaste in piedi, ci ha confortato. Tra il pubblico alcuni difensori di Vukovar, la sorella del difensore ucciso a Ovcara, ma anche l’ambasciatore della Serbia e Montenegro, Radivoje Cveticanin. C’è pieno di giovani, che, al tempo della tragedia di Vukovar, forse avevano appena iniziato la scuola elementare. Come vivranno loro il film? Come lo vivranno i vecchi, testimoni di quel periodo?
Mi impressiona il grande silenzio della sala. Alle scene introduttive, delle prime liti sospette tra le due nazionalità di Vukovar, le barricate e lo scorrimento di sangue di Borovo Selo, quando furono uccisi 12 poliziotti croati, segue la parte sulle uccisioni dei serbi, quella parte di film che ho immaginato avrebbe dato fastidio a molti in Croazia. Nessun vociare, fischiare, lamentale e disapprovazioni. Silenzio totale. Dopo la scena dell’assedio della città, gli attacchi all’ospedale, la confessione di un volontario serbo che descrive come si sentiva quando per la prima volta ha ucciso, le toccanti testimonianze delle vittime, il sangue, i cadaveri, le orde che rubavano delle quali in modo così impressionante parla il giornalista belgradese e testimone all’Aja Jovan Dulovic…
Nella sala completo shock. Mentre scorrono i titoli di coda nessuno si alza, tutti restano seduti al loro posto come incollati. Segue il silenzio, e poi l’applauso.
La tremarella prima della proiezione
Mi sento molto più rilassato ora scambiando opinioni con Veran Matic e Janko Baljak. Vedo come anche a loro è più facile, so che loro, forse più di me, avevano una violenta tremarella prima della proiezione. Mi raggiungono i colleghi della redazione, conosciuti e sconosciuti mi fanno i complimenti. Tra il pubblico ci sono i miei cari colleghi italiani Andrea Rossini e Luka Zanoni, redattori del portale web Osservatorio sui Balcani, i quali, con un tempo terribile hanno fatto una tirata di seicento chilometri per venire a vedere il film. Mi viene incontro Ljiljana Alvir, uno dei personaggi del film, il cui fratello e ragazzo sono stati uccisi a Ovcara. Del film parla solo in toni superlativi. Un’importante opinione di una persona per la quale il dramma di Vukovar ha significato una terribile tragedia personale.
Mentre la sera tardi, dopo la proiezione, guido sull’autostrada verso Osijek, ascolto Ivana, mia moglie. Elogia il film. Non è facile sentire da lei dei complimenti. Ricordo le sue critiche dopo che avevamo guardato insieme la prima versione incompiuta del film. Nonostante l’avessi rassicurata che si trattava di una bozza del film che sarebbe stato fatto, prima dell’anteprima aveva la stessa tremarella che avevo io. Adesso è piena di elogi e parla del film per tutto il viaggio fino ad Osijek, nonostante siamo entrambi molto stanchi, perché all’orizzonte albeggia già la prima luce del tardo mattino invernale.
Sabato mi chiama Zdravko Komsic, difensore di Vukovar che, dopo la rottura della difesa di Vukovar, il 18 novembre 1991 il generale Pavkovic aveva consegnato a Mitnica. Secondo lui non è abbastanza chiaro il motivo per cui i poliziotti croati sono andati a Borovo Selo. "D’altra parte il film è ottimo e molto onesto", mi dice Komsic e aggiunge che ha parlato con Branko Borkovic soprannominato "giovane astore" che per impegni vari non è riuscito a venire alla proiezione. Gli ha trasmesso delle impressioni positive.
Mi chiamano da Zagabria che la proiezione di sabato è al completo, che gente in piedi, come nell’anteprima di venerdì. Le reazioni sono identiche. E ancora un’altra buona notizia: per il grande interesse dimostrato dal pubblico, nonostante il programma previsto, il film verrà proiettato anche lunedì, al cinema Europa. I biglietti si vendono benissimo, e più tardi mi chiameranno dicendomi che la sala è strapiena. A Zagabria il film è stato visto, nelle sole tre proiezioni, da 1200 persone!
Le lacrime di Belgrado
Il lunedì, al mattino presto mentre guido verso Belgrado per arrivare alla conferenza stampa del pomeriggio al Sava Centar, che seguirà la proiezione del film Vukovar, atto finale, al 34smo Fest, e partecipare poi anche alla proiezione nella sala del Centro culturale di Belgrado, penso a come verrà accolto lì il film. Tre giorni prima, a soli cento metri dalla sala in cui verrà proiettato il film, c’era stato un raduno del Partito radicale serbo, in cui si inneggiava Seselj, uno degli "eroi" del nostro film. Si è alzata la tensione in Serbia anche per la notizia trapelata sul supposto arresto di Ratko Mladic. Temevamo delle possibili "reazioni della gente" nella sala cinematografica, perché del film si è scritto parecchio, e a Belgrado sono giunte le reazioni positive di Zagabria.
Una cinquantina di giornalisti al Sava centar, molti dei quali avevano già visto il film alla proiezione per la stampa il venerdì. Non ci sono domande provocatorie, tutto si svolge sul filo del colloquio su come sia stata possibile una "coproduzione serbo-croata" su un tema così doloroso quale è quello di Vukovar. Ma una cosa era rimanere di fronte a cinquanta giornalisti, un’altra stare davanti a cinquecento persone nella sala del Centro culturale. A differenza di Zagabria, dove c’erano le forze di sicurezza (nonostante si è poi verificato non fossero necessarie) qui non c’è nessuno. Solo noi e una valanga di persone che comprano i biglietti. Noto Natasa Kandic e Borka Pavicevic, e Janko mi dice che in sala c’è anche Aleksandar Vasiljevic, ex capo dei KOS, che anche lui compare nel film.
Brevemente, gentilmente, ci rivolgiamo al pubblico con alcune frasi di circostanza sul film. L’organizzatore aveva previsto qualcosa che sono venuto a sapere appena prima della proiezione: quando finisce il film gli spettatori possono rivolgere delle domande, e commentare il film. Janko Baljak, Veran Matic ed io davanti a cinquecento persone!
Sediamo in una per niente comoda prima fila, dietro di noi la sala strapiena, vedo che qualcuno sta in piedi. Immagine identica a quella vista a Zagabria. Mentre scorre il film, penso all’idea di Veran di proiettare il film in una regolare distribuzione cinematografica, sia in Serbia che in Croazia.
Sento i sospiri in sala, e mentre il film va avanti, i singhiozzi. Baljak più tardi mi dirà che mezza sala era in lacrime. Le scene di violenza, di ciò che è successo a Vukovar dopo la caduta della città, il terrificante girato dell’ospedale di Vukovar, la città interamente distrutta, i cadaveri, la separazione di quelli che finiranno a Ovcara e le toccanti testimonianze delle vittime, hanno suscitato forti emozioni. Anche qui, come neanche a Zagabria, nessuno si alza mentre scorrono i titoli di coda, di nuovo lo stesso che a Zagabria, venti minuti di totale silenzio, poi l’applauso. Solo alcune persone escono dalla sala, gli altri restano per sentire su cosa si discuterà.
Intervengono una decina di persone – solo tre hanno espresso rimostranze verso il film. Uno si è chiesto se il film serve a Vukovar e cosa si può raggiungere presentando nuovamente le brutalità della guerra, il secondo crede che non sono state ben evidenziate le uccisioni dei serbi, il terzo dice che nel film non c’è abbastanza gente del luogo che meglio sanno cosa è accaduto là. Al posto di rispondergli noi, le risposte giungono dal pubblico: "Questo è un film rispettoso, è ottimo", dice uno degli spettatori. E un secondo aggiunge: "Io sono stato mobilitato su Vukovar. Il film è ottimo. Dobbiamo confrontarci con quello che è accaduto" e così via – 7:3 per l’equipe che ha realizzato il film!
È impressionante la tolleranza in cui si svolge la discussione. Senza toni eccessivi, senza insulti, senza incidenti, senza urla che coprono la voce. Non è poi così facile in una sala con centinaia di persone. L’organizzatore avvisa che dobbiamo interrompere la discussione perché c’è in programma la proiezione successiva del repertorio del Fest. In un bagno di folla molti conosciuti e sconosciuti mi fanno i complimenti. L’equipe belgradese mi dice che temevano le provocazioni di gruppi organizzati. Ma tutto è andato bene. Noi stessi siamo increduli, il film è stato accolto benissimo.
Viaggio a Sarajevo
Il giorno successivo parto per Sarajevo dove il film sarà presentato in un circolo ristretto di partecipanti ad una tavola rotonda sui crimini di guerra. La strada è terribile, scivolosa, piena di neve. Dopo il ritorno a Osijek da Belgrado, ho dormito solo alcune ore. Arrivano i messaggi di Veran sulle reazioni belgradesi al film.
Politika sotto il titolo "Lacrime dopo ‘Vukovar’" scrive: "Dopo la proiezione della prima produzione documentaristica serbo-croata Vukovar – atto finale di Janko Baljak, che si è tenuta domenica sera nella sala del Centro culturale di Belgrado, in sala regnava il silenzio, al quale è seguito l’applauso. Ci sono state lacrime durante e dopo la proiezione".
In tono simile scrive anche Blic nel testo "Lacrime per Vukovar anche dopo 15 anni". Il giornalista si concentra sulle reazioni del pubblico: "Una donna che al tempo della guerra viveva proprio a Vukovar ha commentato che il film è inutile e che non è stato fatto vedere ciò che veramente è accaduto, mentre un uomo ha detto che il film serve e che si deve vedere a cosa sono sopravvissute le persone che vivevano là".
Veran mi invia anche alcuni dei commenti di sei siti internet: uno belgradese – "Il film non poteva essere più onesto! (FESTofil, 27 febbraio 2006 23.33)", e un altro, di Zagabria: "io l’ho visto a Zagabria al
Dox. Benché abbia già vissuto diversi anni e abbia assistito a tutto e tutti ho fatto fatica a trattenere il pianto. Così si sentiva tutta la sala. Non voglio comunque discutere in questo luogo della colpa. Una forte impressione l’hanno sollevata i destini della gente. Quando vedete quelle persone come appaiono, e quando un padre di famiglia dice che i suoi figli sono degli assassini e i muscoli della faccia gli tremano… è una cosa da pelle d’oca. Il motivo per cui a Zagabria c’era silenzio è che siamo passati da tutto questo e il solo ricordo di quel tempo suscita la paralisi. Così è stato per noi dopo il film. Ci sono serviti almeno 20 minuti per riprenderci" (qualcosa di molto personale, 28 febbraio 2006 08.48).
Testimonianze impressionanti
A Sarajevo, dopo la proiezione, mi fa i complimenti Tihomir Loza, uno degli autori di culto della serie della BBC, Morte della Jugoslavija. Gli dico che avevamo in mente proprio quella serie mentre lavoravamo al nostro film. Ma il regista, Janko Baljak, è andato un passo oltre – nel film non c’è la voce fuori campo, non c’è il narratore, non ci sono commenti, solo le dichiarazioni dei partecipanti e il materiale d’archivio. Loza, che già da dieci anni vive a Londra, dice che proprio le testimonianze della gente sono la parte più impressionante.
Ma Natasa Kandic, alla colazione all’hotel Italija di Sarajevo , mi dice che il film non le è piaciuto. Porta l’esempio che nel film non ci sono quelle scene in cui Arkan divide le persone delle colonne di Vukovar, oppure le parti di intervista con Goran Hadzic, che renderebbero coscienti anche del ruolo del latitante dell’Aia. Le dico che mettere oltre cento ore di girato e di materiale d’archivio in un film di 103 minuti non è stato per niente semplice.
Vesna Terselic mi legge un messaggio di Ana Kvesic di Vukovar, che a Zagabria ha visto tutte e tre le proiezioni del film. La prima proiezione, le dice, la ha "bloccata", alla seconda ha prestato attenzione ad ogni parola e dettaglio, la terza l’ha convinta che il film è grande e definitivamente rispettoso.
Più tardi in una discussione con Ana Kvesic lei stessa mi ripeterà le stesse parole. In particolare l’ha impressionata, dice, quello che hanno detto a proposito della guerra i due volontari serbi, quella dimensione non la conosceva. Afferma che per lei, che per tutto il tempo della guerra era a Vukovar, quella parte è preziosa, perché questa è la prima volta che in merito alla tragedia di Vukovar si sente anche l’altra parte.
Zlatko Dizdarevic, ex ambasciatore della Bosnia Erzegovina a Zagabria e giornalista di lungo corso, autore di svariati libri, davanti ad un caffè al Media centar di Sarajevo mi dice che il film gli ha fatto una forte impressione. "Pensavamo di sapere tutto su Vukovar, ma si è dimostrato che non è così". Io gli rispondo, scherzando, che evidentemente qualcosa nel film non va bene perché, con rare eccezioni, lo hanno elogiato a Zagabria, a Belgrado e a Sarajevo.
Abbiamo forse raggiunto quel "minimo consenso di base su Vukovar che dovrebbe essere costruito da entrambe le parti del Danubio", come afferma Jurica Pavicic sulle pagine di Jutarnji list? Me lo chiedo sulla strada che da Sarajevo porta a Zenica, sulla via del ritorno verso Osijek. Se ci siamo riusciti questo mi è più caro di quanto afferma Pavicic a conclusione del suo articolo: "Questo è molto di più di ciò che ci si può attendere da un film".
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