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Area: Turchia

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Minareti d’Europa

Le reazioni in Turchia al voto svizzero che proibisce la costruzione di nuovi minareti nella Confederazione. La posizione delle istituzioni e delle forze politiche, il dibattito pubblico. Un punto di vista dalla Casa popolare di Zurigo sul significato del referendum per i lavoratori migranti

09/12/2009, Fazıla Mat -

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"Espressione di islamofobia" e "sintomo dei crescenti movimenti razzisti e ultra-nazionalisti presenti in Europa". È stato definito così in Turchia il risultato del referendum svizzero che, lo scorso 29 novembre, ha stabilito con il 57,5% dei voti a favore il divieto di edificare nuovi minareti nel territorio elvetico. In Svizzera, dove vivono circa 400mila immigrati musulmani, provenienti per la maggior parte dai paesi della ex Yugoslavia e dalla Turchia, vi sono attualmente quattro minareti. Secondo la scelta dei cittadini svizzeri, che hanno approvato la proposta dei nazional-popolari dell’UDC (Unione democratica di centro) e della destra cristiana dell’UDF (Unione democratica federale), non se ne potranno costruire altri.

Le istituzioni e i partiti politici turchi, opposizione inclusa, hanno tutti espresso il proprio biasimo nei confronti della decisione. Il capo dello Stato Gül e il premier Erdoğan hanno sottolineato quanto sia stato "sbagliato sottoporre in forma di referendum una questione riguardante le libertà e i diritti fondamentali".

Erdoğan ha criticato la spiegazione fornita dal ministro della Giustizia svizzero Eveline Widmer-Schlumpf, secondo cui il divieto mira a colpire il fanatismo islamico e non i musulmani. "Quale relazione può mai avere un minareto con il fanatismo? Fare un accostamento simile è pericoloso e inaccettabile", ha commentato il premier, che ha definito "l’islamofobia un crimine umano al pari dell’antisemitismo" ed ha invitato i paesi dell’Unione europea, la Corte europea dei diritti dell’uomo e tutte le rappresentanze interessate "a dimostrare sensibilità di fronte all’argomento e a non permettere che il mondo e l’Europa vengano trascinati in una situazione di tensione".

Ankara chiede dunque alla Svizzera, "caratterizzata a livello internazionale per la sua tradizionale attitudine al dialogo e al rispetto delle diversità", di "porre al più presto rimedio a questo errore". Le dichiarazioni rilasciate dalla presidentessa del Consiglio federale Erika Forster Vannini dei Radicali democratici, che si è scusata con i musulmani e ha promesso che la legge verrà annullata, e quelle della ministra degli Esteri Micheline Calmy-Rey, che ha detto di essere "scioccata" dall’esito del referendum, sono state accolte con grande favore dall’opinione pubblica turca, così come la posizione espressa dai Verdi e da altri partiti politici che hanno dato il loro sostegno per la causa che le associazioni musulmane vorranno promuovere di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

La proposta rivolta ai musulmani ricchi da Cohn-Bendit, leader europarlamentare dei Verdi, di ritirare il denaro dalle banche svizzere in segno di protesta, è stata colta al volo da Egemen Bağış, negoziatore nelle trattative per l’adesione della Turchia all’UE, che ha avanzato l’ipotesi di trasferire quei soldi nelle banche turche.

La stampa turca ha dedicato ampio spazio alle motivazioni e alle possibili conseguenze del referendum elvetico. I media turchi hanno anche dato risalto ai commenti apparsi sulla stampa internazionale sottolineando come, nella maggioranza dei casi, anche questi siano critici sull’esito della consultazione. Uno dei punti cruciali messi in rilievo nel dibattito sul divieto riguarda proprio le conseguenze economiche della decisione per la Svizzera.

Il quotidiano Zaman, con un articolo intitolato "Il divieto dei minareti costerà caro alla Svizzera", cita diversi giornali elvetici sottolineando come gli economisti del paese alpino siano contrariati dal divieto. Considerati gli importanti legami commerciali con i paesi musulmani, soprattutto in questo momento economicamente difficile a livello mondiale, le perdite riguarderebbero, appunto, il settore bancario, quello del turismo – i turisti musulmani fornirebbero il 5% dell’introito complessivo di questo settore – e dell’esportazione, il 7% del ricavato totale.

Secondo i dati del 2007, la Svizzera ha esportato in Turchia beni per un valore di 1 miliardo e 650 milioni di euro. A breve distanza seguono gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita. Il Pakistan, inoltre, risulta essere stato, nel 2008, il principale destinatario dell’esportazione di materiale bellico elvetico.

Il Washington Post ha scritto che nei paesi islamici c’è chi, metà per scherzo e metà seriamente, propone di boicottare i cioccolatini svizzeri. "Un invito a boicottare economicamente le merci svizzere, sia in Turchia che in tutti i paesi islamici, verrebbe preso assolutamente sul serio", ha invece sostenuto Mahmut Çelikuş, presidente dell’Associazione dei commercianti e artigiani turchi, che ha indirizzato all’Ambasciata svizzera di Ankara una lettera per manifestare il proprio disappunto.

L’opinionista del quotidiano turco Milliyet, Taha Akyol, ha spiegato il voto nei termini di un "problema d’identità oggi presente in tutti i paesi europei", sottolineando l’importanza del fatto che il referendum sia stato guidato dall’estrema destra e non dalla religione cristiana, e che la Chiesa si sia dichiarata contraria al divieto.

"Gli estremisti hanno utilizzato l’immagine dei minareti infilzati come dei chiodi nella bandiera svizzera e quella delle donne con il chador! Devono aver imparato bene la lezione di Hitler per aver utilizzato la composizione cromatica dei nazisti nei loro manifesti!", ha scritto Akyol, aggiungendo: "Quel manifesto propagandistico dipinge l’Islam e i musulmani in quel modo, ma come scrive anche la Frankfurter Allgemeine i musulmani, che costituiscono il 5% della popolazione elvetica, sono perfettamente integrati nel paese. Il motivo per cui il divieto ha raccolto un tale consenso è sottolineato dall’Independent, ed è l’intolleranza religiosa e razziale".

L’attivista per i diritti umani e membro della Casa popolare di Zurigo, Kerim İşbilir, intervistato da Bianet, ha fornito invece un’altra versione sul significato del voto. Secondo İşbilir la discussione sui minareti rappresenterebbe un modo per coprire i veri problemi che hanno i lavoratori stranieri, i cui diritti in questo momento sono progressivamente erosi. A parità di lavoro svolto, secondo İşbilir, gli immigrati non verrebbero infatti pagati quanto i lavoratori autoctoni; si sarebbero visti togliere alcuni diritti come le ferie annuali retribuite – calate da 28 a 10 giorni – o i sussidi statali per l’istruzione; per il ricongiungimento familiare sarebbe stato imposto l’obbligo della conoscenza del tedesco, mentre la polizia eserciterebbe il potere di detenere in prigione l’immigrato che ritiene essere sospetto per tutta la durata delle inchieste. Secondo l’attivista, il vero risultato del referendum sarà quello di portare i lavoratori musulmani a concentrarsi sempre più sulle proprie tradizioni isolandosi all’interno delle proprie comunità, allontanandosi allo stesso tempo dalle lotte per i diritti sul lavoro e nella società.

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