#MeToo: la fatica della Bosnia Erzegovina
In Bosnia, paura e vergogna continuano a impedire alle donne di raccontare le violenze e le molestie subite – ma ci sono deboli segnali di cambiamento
(Pubblicato originariamente da Balkan Insight il 14 giugno 2018)
Nermina non aveva mai sentito parlare di #MeToo quando i suoi amici le hanno chiesto qualcosa al riguardo. La maestra ventinovenne bosniaca non è una grande fan dei social e preferisce la calma e la tranquillità di Pinterest, al mondo irrequieto di Facebook. È stata però veloce a rispondere ai suoi amici, quando si sono chiesti per quale motivo ci è voluto così tanto tempo prima che le donne decidessero di parlare delle violenze e delle molestie. “È a causa della vergogna. Sono preoccupate di quello che la gente potrebbe dire”, ha detto.
Nermina ha avuto di questo esperienze personali. Una donna con cui lavorava stava divorziando da un marito violento. Nessuno al lavoro sapeva nulla, non aveva raccontato cosa era accaduto neppure ai propri amici. Un giorno però Narmina le ha fatto visita e la collega le ha raccontato tutto. Ma il trauma e la vergogna l’hanno resa distaccata e a disagio anche nel privato, dice Nermina. “Ha condiviso queste esperienze con me – ma raccontava la sua storia come se riguardasse qualcun altro”, ricorda.
Nermina insegna inglese in un asilo di Sarajevo, la capitale della Bosnia Erzegovina. Siede in un caffè con le sue amiche e colleghe, Merima e Aida. Nessuna di loro all’inizio aveva molto da dire a proposito di #MeToo. All’inizio sorseggiavano il loro caffè ridendo nervosamente. A differenza di Nermina, Merima ci ha raccontato di aver sentito parlare di #MeToo grazie a Facebook e a programmi televisivi tedeschi. Anche Aida ne ha sentito parlare grazie ai social. I suoi amici hanno condiviso articoli e ha letto di celebrità che raccontavano le proprie esperienze.
In realtà, non è così sorprendente che Nermina non abbia mai sentito parlare di #MeToo. Nei Balcani, attivisti, giornalisti e blogger hanno sì parlato e scritto delle loro esperienze, ma la maggior parte di loro è stata schernita e insultata on-line, e discussioni più ampie della questione non si sono mai veramente sviluppate.
C’è un forte contrasto tra ciò che accade nei Balcani e ciò che è avvenuto in molte altre parti del mondo, dove il movimento si è molto ampliato da quando le accuse per molestie sessuali nei confronti di Harvey Weinstein sono state pubblicate sul New York Times e il New Yorker. Nelle prime 24 ore dell’ottobre 2017, più di 4.7 milioni di persone hanno usato l’hashtag #MeToo in 12 milioni di post su Facebook. Da questo momento, #MeToo si è diffuso in tutto il mondo ed è stato anche tradotto in molte lingue.
Nonostante molte donne abbiano subito minacce per aver sostenuto il movimento, quest’ultimo ha già avuto un impatto concreto sul mondo dello spettacolo, della politica, della finanza e dello sport. È riuscito a sfidare con successo società e ambienti lavorativi, in cui le donne non vengono credute, o vengono addirittura incolpate per gli abusi di cui sono vittime.
Asia Argento, attrice italiana, ha aiutato a lanciare il movimento #MeToo e sta ora promuovendo anche #WeToo che ha lo scopo di unire le donne in una battaglia per l’uguaglianza di genere. Asia Argento ha aiutato a dare forza anche ad altre donne per denunciare violenze e molestie, dopo aver accusato Harvey Weinstein di stupro in una lettera inviata al New Yorker.
Nel febbraio scorso la Bosnia ha vissuto quello che alcuni hanno definito il primo momento #MeToo. È avvenuto quando la giornalista Jelena Kalinić ha reso pubblico un messaggio privato ricevuto da Goran Samardžić, scrittore di Sarajevo e co-proprietario della casa editrice Buybook. Nel messaggio Samardžić si sarebbe offerto di congelare un po’ del suo sperma nel caso lei avesse in futuro deciso di avere un bambino. La giornalista ha deciso di rendere pubblico il messaggio dopo uno scambio su Facebook in merito al tema della maternità.
Quando la scrittrice e blogger Masha Durkalić ha visto il messaggio, ha sentito l’urgenza di parlarne, ed ha richiamato la sua attenzione sullo scambio avvenuto su Facebook accusando lo scrittore di molestie sessuali. “Ho scritto un post perché ero stufa del costante silenzio che riguarda queste questioni”, ha raccontato a BIRN, il Balkan Investigative Reporting Network. BIRN ha cercato di mettersi in contatto con Samardžić e con la casa editrice Buybook, ma nessuno ha voluto parlare della questione.
Questo silenzio che in Bosnia Erzegovina e nei Balcani, ancora avvolge le questioni legate alle molestie e alle violenze sessuali non significa che il problema non esista. Al contrario, indica l’enormità della sfida e del problema in quanto la società è chiaramente disinteressata ad affrontarlo. Quasi la metà delle donne che nel 2013 ha preso parte ad uno studio condotto dall’Agenzia della Bosnia Erzegovina sull’uguaglianza di genere e da UNWomen, ha dichiarato di aver subito una qualche forma di violenza di genere fin dall’età di 15 anni. Più del 10% di queste, ha dichiarato di avere subito violenze anche negli anni precedenti. Lo studio, condotto su 5000 residenti, è stato il primo studio di questo tipo ad essere condotto in Bosnia. I suoi autori hanno sottolineato che i casi di violenza domestica registrati sono solo “la punta di un iceberg”, a causa delle numerose violenze che non vengono denunciate.
Mentre all’inizio Merima, Aida e Nermina esitavano a parlare della questione, una volta iniziato a raccontare le loro esperienze personali, non sono più state in grado di fermarsi. Erano d’accordo sul fatto che la vergogna non sia l’unico motivo per cui le donne in Bosnia non vogliono o non possono parlare. “Mia sorella faceva i turni di notte. Una volta, tornando a casa ha iniziato a ricevere strane chiamate al telefono e aveva la sensazione di essere seguita. Ha chiamato la polizia che ha risposto ridendo e dicendo che avrebbe dovuto sentirsi lusingata – racconta Merima scuotendo la testa – non era lusingata. Era davvero spaventata. Il sistema fa schifo”.
Selma Hadžihalilović, attivista dei diritti delle donne e capo della fondazione CURE che supporta i diritti delle giovani donne, è d’accordo. È una delle poche donne che ha parlato a proposito del movimento MeToo in Bosnia. Insieme alla collega attivista Vedrana Freisto, ci ha raccontato di come le donne affrontino enormi sfide in Bosnia e nel resto dei paesi dell’area, tracciando la triste immagine di un sistema legale che tende a minimizzare i crimini sessuali e a simpatizzare con chi li commette. “Alla fine, anche se porti un caso di fronte alla corte, la pena è sempre molto lieve”, afferma Selma Hadžihalilović. Nella sua esperienza le corti tendono a trovare molte scuse per non condannare uomini accusati di violenza domestica, spesso usando la logica del “Chi pagherà le bollette se lui andrà in prigione?”. Le due attiviste, sono stufe del fatto che queste questioni non vengano considerate come una priorità dai media o dai politici. "Quante donne devono ancora essere uccise prima che il governo decida di rilasciare un comunicato stampa?", afferma Selma Hadžihalilović in modo ironico.
Ai tavolini del bar di Sarajevo l’indignazione delle tre amiche diventa ancora più accesa quando iniziano a parlare del mondo del lavoro. Nermina riferisce il racconto di un amico a proposito di una donna che lavorava in un hotel: “Un uomo ha bloccato la porta della stanza in cui si trovavano da soli, sono successe delle cose, ma lei non ha mai raccontato nulla alla polizia”.
Mersiha Beširović, presidente dell’Unione del commercio e dei servizi della Bosnia, dice di essersi confrontata con le sfide che le donne tutti i giorni si trovano a dover affrontare. Ha raccontato di quanto sia difficile convincere le donne a parlare del bullismo e delle molestie che subiscono sul luogo di lavoro, e spingerle a denunciare le violenze è quasi impossibile. Lo scorso anno, tra le centinaia di casi di cui l’Unione si è occupata, solo uno ha riguardato la violenza sessuale. “È stato un caso insolito, solitamente non parlano di violenza sessuale. Le donne non vogliono nemmeno scrivere che si è trattato di violenza sessuale”, dice. Come le tre amiche al caffè, è certa della ragione di questo. “Siamo una società molto tradizionale. Il livello di tolleranza delle donne bosniache è più alto. Ma i meccanismi di protezione sono molto scarsi. Nessuno vuole parlare di queste questioni perché nessuno si sente al sicuro”. Mersiha Beširović ha anche sottolineato un problema che riguarda sia donne che uomini sul lavoro. L’alto tasso di disoccupazione della Bosnia implica che molte persone sono disposte ad accettare qualsiasi tipo di condizioni per avere un lavoro. Questo significa che “Tu non parli e non ti lamenti.”
Gli attivisti e i bloggers che hanno sostenuto la campagna #MeToo in Bosnia sono frustrati. Si sentono contemporaneamente sotto pressione on-line per aver parlato del problema e ignorati completamente dai media. Gli stessi attivisti hanno opinioni contrastanti in merito all’impatto che le loro azioni hanno sulla società. Selma Hadžihalilović, di CURE, è pessimista. “Tutto è bello ed interessante se accade a Hollywood, che è molto lontano”, dice. Ma Masha Durkalić è più speranzosa. “Sono ottimista. Credo che dopo questo, molte altre donne prenderanno più seriamente in considerazione il fatto di parlare pubblicamente a proposito delle violenze sessuali, che vogliano chiamarle così o meno”, dice. Aida si sente già ispirata da coloro che hanno parlato grazie a #MeToo. “Quando vedi che è accaduto anche ad una persona famosa, la sua storia ha un forte impatto, anche se non ti riguarda direttamente”, afferma.
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