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Media in Serbia, proprietà privata del governo?

Il 31 ottobre è scaduto il termine per la privatizzazione dei media statali. In assenza di acquirenti ha cessato di esistere la famosa agenzia Tanjug. Si sospetta che molti media locali siano stati acquistati da persone vicine al partito del premier

11/11/2015, Antonela Riha - Belgrado

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Nel giorno in cui avrebbe dovuto festeggiare i suoi 72 anni di esistenza, il 5 novembre, all’agenzia Tanjug è arrivato il “regalo di compleanno”: la decisione ufficiale che quella che un tempo era l’unica agenzia giornalistica dell’ex Jugoslavia, e poi la più rilevante della Serbia, aveva cessato di esistere.

Questa è una delle conseguenze della Legge sull’informazione che è stata votata nell’estate del 2014 e secondo la quale tutti i media in Serbia che erano finanziati direttamente coi bilanci di comuni, delle città, della Provincia della Vojvodina o dal governo centrale dovevano essere privatizzati entro il 31 ottobre di quest’anno.

La Tanjug era valutata inizialmente 760.000 euro ma né al primo né al secondo tentativo di privatizzazione, con il prezzo dimezzato, nessuno si è dimostrato interessato ad acquistare un’agenzia che offriva oltre ai testi anche foto e video-servizi. La Tanjug, secondo le parole del ministro della Cultura e dell’Informazione Ivan Tasovac, si sarebbe “auto-spenta”: il suo archivio se lo era già preso in precedenza l’Archivio della Jugoslavia, l’edificio e l’attrezzatura è rimasta di proprietà dello stato e i circa 180 dipendenti sono rimasti senza lavoro.

Una delle prime reazioni è giunta dalla Associazione europea delle agenzie giornalistiche (EANA), della quale fanno parte fra le altre anche ANSA, AFP, DPA, Tas, APA e EFE. L’Associazione europea ha inviato una dura nota contro la decisione del governo serbo di far cessare il lavoro della Tanjug e lo ha invitato a riconsiderare la decisione presa.

Il destino della Tanjug

L’opinione pubblica in Serbia ma anche le associazioni di giornalisti sono divise nel commentare il destino della Tanjug. Alcuni ritengono che sia scandaloso che lo stato abbia lasciato spegnere un marchio come la Tanjug, altri ritengono invece fosse necessario per riformare il sistema ed adottare una nuova strategia per i media.

La maggioranza però concorda sul fatto che la Tanjug, in concorrenza con le altre due agenzie commerciali, Beta e Fonet, godeva di una posizione di privilegio, grazie ai finanziamenti statali. E sembrava che chi l’amministrava si aspettasse che lo stato si sarebbe comunque occupato di loro: non è quindi stata sfruttata la possibilità prevista dalla legge secondo la quale i dipendenti Tanjug avrebbero potuto ottenerne le azioni gratis, cercando in questo modo di salvare l’agenzia.

Il premier serbo Aleksandar Vučić che ha firmato la decisione sullo spegnimento della Tanjug, due giorni più tardi ha comunicato che era contrario a questa soluzione e che il governo cercherà comunque di aiutare i dipendenti rimasti senza lavoro. “Li aiuteremo e troveremo il modo che con l’attrezzatura e l’edificio, che sono in nostra proprietà, si faciliti un privato che voglia investire nell’agenzia” ha dichiarato il premier. Non ha fatto cenno però agli altri 900 giornalisti che negli ultimi mesi sono rimasti senza lavoro proprio a seguito della decisione di privatizzare i 73 media che erano di proprietà dello stato.

Il processo di privatizzazione

Il termine ultimo per la privatizzazione è stato prorogato due volte e il bilancio attuale indica che dei 50 media che hanno affrontato il processo di privatizzazione in 35 hanno trovato nuovi proprietari, mentre per gli altri 23 non è stata nemmeno tentata la privatizzazione e la maggior parte ha già chiuso i battenti.

Tuttavia, non sono ancora stati privatizzati due quotidiani ad alta tiratura, Politika e Večernje novosti, ed anche il quotidiano di Novi Sad Dnevnik. Lo stato è proprietario del 50% di questi media e dopo la fuoriuscita del consorzio tedesco WAZ (ora gruppo Funke) dalla proprietà nel 2012, continua ad essere sconosciuto chi e a quali condizioni abbia rilevato le azioni del consorzio tedesco. Questo è proprio il tema che attualmente occupa le pagine dei tabloid e il governo non ha ancora fatto chiarezza in merito.

La privatizzazione dei media è stata sostenuta da tutte le più rilevanti associazioni e organizzazioni dei media della Serbia, con l’argomentazione che si tratta di uno standard dell’UE e che è una delle richieste per l’adesione della Serbia all’Unione. Non si è però considerato che negli stati europei vi sono una serie di media che vengono finanziati col denaro pubblico: la Serbia ha deciso di procedere per un’altra strada.

Nuovi proprietari, vecchi businessman

Nel periodo in cui credevano ciecamente che questa fosse la soluzione migliore, i giornalisti che l’hanno sostenuta non potevano nemmeno immaginare che un uomo d’affari, che si occupa di produzione di imballaggi in plastica, Radoica Milosavljević, avrebbe comprato addirittura sei media locali, tra i quali quattro stazioni tv. Milosavljević è un membro del partito di governo Partito socialista serbo (SPS), è stato vice sindaco di Kruševac e i media speculano sul fatto che dietro queste acquisizioni vi sia il suo concittadino, il ministro della Difesa Bratislav Gašić, uno dei più stretti collaboratori del premier Vučić. Nel costruire il suo “impero” mediatico, il media più caro pagato da Milosavljević è stata TV Pančevo, per la quale ha sborsato 87.000 euro.

Per una cifra poco superiore è stata venduta RTV Trstenik. L’acquirente, fino ad allora proprietario di pompe di benzina e agricoltore, ha pagato questa emittente 177.000 euro, mentre TV Apolo di Novi Sad è stata acquistata dal proprietario di un portale web per 175.000 euro.

La famosa radio tv belgradese Studio B, un marchio per la generazione attuale non meno importante della Tanjug, è stata venduta per 530.000 euro ad acquirenti che fino ad allora erano proprietari di alcune piccole e poco conosciute emittenti radiofoniche di musica.

Per la stessa cifra è stata comprata Radio Šid che, a differenza di Studio B che copre un pubblico di qualche milione di persone, può essere ascoltata solo da circa ventimila abitanti del comune di Šid. Il prezzo di acquisto di questo media è stato di ben 76 volte superiore alla cifra iniziale. Non è affatto chiara la logica di acquisto di Radio Šid ma è chiara la relazione tra i compratori, il sistema di distribuzione e la TV via cavo Kopernikus e il partito di governo SNS, che Kopernikus sostiene apertamente sulla propria emittente televisiva.

Non è così strano che molti media, che fino a poco fa erano di proprietà statale, siano stati comprati per così pochi soldi. Il mercato serbo è saturo, secondo i dati del ministero per la Cultura e l’Informazione in Serbia esistono infatti 1.447 media. In un mercato poco regolato molti dei media statali in vendita esistevano solo grazie al sostegno dei governi locali o del governo centrale. Tra l’altro, quest’influenza pubblica sui bilanci, attraverso le inserzioni, è fondamentale anche per molti media privati.

Lo zampino del governo

Uno degli argomenti con cui sia il governo che le organizzazioni dei media spiegavano perché fosse necessario privatizzare tutti i media è che in questo modo si sarebbe diminuita l’influenza sulle politiche editoriali attraverso le sovvenzioni dirette dello stato.

Ciò che invece è molto più presente delle sovvenzioni statali sono le inserzioni, gestite da agenzie sotto diretto controllo del governo e che si occupano di vendita degli spazi pubblicitari.

Ai media che fino all’altro giorno erano sul bilancio dello stato, ora si offre il cosiddetto finanziamento a progetto mediante concorso. In questo modo possono ottenere anche fino all’80% dei mezzi necessari per continuare a produrre notizie. In questo contesto però gli esperti dei media fanno notare che la legge non obbliga le amministrazioni locali a indire concorsi. Né obbliga i nuovi proprietari a sviluppare dei programmi informativi e che l’interesse privato venga subordinato a quello pubblico.

Si sospetta ora che molti dei nuovi proprietari siano direttamente collegati con il governo in carica e che tra essi vi siano persino dei funzionari di partito. Questo non fa che alimentare i timori che la strategia sui media sinora ha mancato il suo principale obiettivo: rafforzare i media, professionalizzarli e far sì che lavorino nell’interesse dei cittadini. Al contrario, la mancanza di trasparenza sulla proprietà, la tabloidizzazione e il controllo delle informazioni indicano sempre più che i media rischiano di diventare una proprietà privata del governo.

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