Maometto II: il sultano e l’Occidente
Roma ospita in questi giorni la mostra Il Sultano e l’Occidente. Capire Maometto II. Dipinti, materiali d’archivio e un documentario per conoscere il sultano che, poco più che ventenne, conquistò Costantinopoli
Un eccezionale affollamento di pubblico si è visto domenica 10 gennaio nelle sale del Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma, per la presentazione di un film-documentario dedicato ad uno dei più celebri sultani ottomani, Maometto II, e per la contemporanea inaugurazione di una mostra a lui dedicata.
L’esposizione, che durerà fino al 14 febbraio 2016, presenta i materiali d’archivio consultati e i costumi utilizzati durante le riprese del film, oltre a dipinti e fotografie intese a descrivere il periodo storico in cui visse il sovrano.
Il tutto ci porta nel bel mezzo del XV secolo, quando da noi in occidente l’Umanesimo volgeva verso la fioritura rinascimentale, e papi come Niccolò V e Pio II erano veri e propri principi mecenati delle arti e delle lettere, in special modo di quelle classiche (benché ‘pagane’). Nell’altra metà dell’Europa, invece, contemporaneamente, la svolta epocale, quasi un cataclisma: il 29 maggio del 1453 (un martedì) 150.000 soldati ottomani, guidati da un giovanissimo sultano ottomano, o padiscià, Maometto II irrompono a Costantinopoli. Lasciata pressoché da sola dal resto dell’Europa a fronteggiare il nemico con poche migliaia di difensori, questa metropoli d’Oriente, benché in declino, si fregiava ancora, mille anni dopo le nostre invasioni barbariche, del titolo di capitale dell’Impero Romano, quello che noi moderni chiamiamo ‘bizantino’.
Maometto (Mehmet) II aveva allora circa 21 anni, essendo nato probabilmente nel 1432 ed asceso al trono una prima volta a soli 11 anni. Da secoli, invasori di ogni tipo avevano tentato di impadronirsi della città sul Corno d’Oro, ma la sua posizione strategica e le possenti mura le avevano conferito sino ad allora un’aura di invincibilità.
Tuttavia, oltre all’argomento sicuramente avvincente e alla mostra dedicatagli, il filmato presenta un interesse che va al di là dello stretto ambito televisivo, per almeno quattro motivi.
Il primo è che si tratta di una serie di ben otto puntate (a Roma è stata presentata una sintesi di una cinquantina di minuti), la quale vuole ricostruire – grazie all’apporto, alla consulenza e alle vive voci di studiosi provenienti da varie nazioni (anche dall’Italia) – non solo la vita del protagonista, ma l’intera epoca in cui Mehmet II compì le sue notevoli imprese (per i Turchi è ancor oggi per antonomasia il Fatih, ‘il Conquistatore’); e ciò con un notevole dispendio di energie, di mezzi finanziari, di tecnologie e di ricostruzioni digitali in 3D di palazzi e monumenti ormai inesistenti.
Il secondo motivo d’interesse è che nel filmato la figura del sultano non viene proposta solamente come quella di un valente condottiero, ma ne mette in luce altri suoi aspetti meno noti (quasi oscurati dalla risonanza degli eventi bellici), ma puntualmente riportati dalle cronache dell’epoca: quelli che ne facevano un cultore ed un appassionato di tutte le arti figurative, delle scienze e della letteratura (tra l’altro egli stesso poetava, sotto l’umile pseudonimo di Avnî , l’Aiutante).
Insomma un sovrano che, come appare in un ritratto riportato nel catalogo della mostra, non aveva ritegno a farsi rappresentare con un fiore rosso tenuto delicatamente nella mano destra. Anzi – elemento rilevante in un momento in cui assistiamo angosciati alle devastazioni di fanatici ‘distruttori d’immagini’ che pretendono di rappresentare l’intero Islam -, che non si fa scrupolo di farsi ritrarre tout court da un artista, contravvenendo in ciò ad un divieto coranico; anzi, si fa prestare dalla Repubblica di Venezia un pittore, Gentile Bellini, che ce ne lascerà una celebre immagine oggi conservata a Londra, e che lo rappresenta a soli due anni dalla morte (1481).
Insomma, è un filmato che per questo ed altri aspetti pare rivolgersi in moto intelligente ed accattivante non solo al pubblico nazionale turco (che lo ha già visto nel 2013), ma ad una platea internazionale; europea in particolare; ma non solo: è presumibile che un simile personaggio possa catalizzare anche le simpatie e gli interessi di gran parte degli spettatori del mondo islamico. Magari per rivalutare, in un periodo in cui l’opinione di cui la Repubblica Turca gode presso le masse arabe è soggetta a sensibili oscillazioni, un passato imperiale ‘ottomano’ che non è certo stato dimenticato.
Il terzo motivo di interesse è dato dal titolo completo del filmato, ‘Fatih: l’uomo che cambiò il destino dell’Europa‘. Davvero non sembra un caso che esso approdi a Roma in un periodo in cui perfino la Germania ed altri grandi Paesi occidentali, precedentemente riluttanti, riaprono alla prospettiva di un ingresso della Turchia nella UE. E’ superfluo ricordare che la conquista di Costantinopoli favorì quella degli interi Balcani – e non solo – con tutte le conseguenze epocali che essa ebbe nella storia europea fino ai giorni nostri (basti pensare alle cospicue presenze di popolazioni di fede islamica in numerosi stati balcanici, ma anche alle minoranze turche ivi tuttora esistenti).
Venendo al quarto ed ultimo motivo, non si può non sottolineare che l’opera è una produzione della TV di Stato turca, la TRT, e che è quindi stata approvata e finanziata da un governo che da anni ormai è sotto la guida dell’AKP, il partito del Presidente Erdoğan. Si potrebbe dunque pensare ad una operazione di soft power, volta a promuovere in modo sottilmente propagantistico le ambizioni di egemonia culturale turca in un ampio quadrante geopolitico? In fondo, lo stesso Erdoğan non viene definito dai molti media occidentali il ‘Nuovo Sultano’, e la politica estera da lui ispirata non è stata definita come un ‘neo-ottomanesimo’?
Rimandiamo la risposta, ovviamente, alla visione del filmato integrale. Ma a smorzare parte dei sospetti potrebbe aiutare il fatto che l’immagine del sovrano che emerge dall’opera completa risultasse non troppo celebrativa e olegrafica. Del resto, nello stesso catalogo bilingue (in turco e italiano) proposto alla mostra non manca un implicito richiamo alla spietata crudeltà dei suoi eserciti nel corso delle innumerevoli conquiste ed incursioni, anche successive all’impresa del 1453: come accadde nella nostra Otranto, nella cui cattedrale una lugubre, alta vetrina (riprodotta in una foto nel fascicolo) conserva migliaia di teschi delle vittime di quello che fu il tentativo di creare una testa di ponte militare in Italia, nella prospettiva della conquista, dopo la ‘Roma’ d’Oriente, anche di quella ‘d’Occidente’.
Inoltre, della spietatezza ed efferatezza del sovrano, oltre che della sua vasta cultura e della sua grandezza come statista e legislatore, si è parlato nella tavola rotonda seguita al filmato: oltre alla regista turca Kerime Senyücel, c’erano Michele Bernardini (docente di Lingua e Letteratura persiana nell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”), Corrado Bocci (docente di Diritto internazionale nell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio), e Fabio Grassi, docente di Storia dell’Europa orientale e Lingua turca nella Sapienza Università di Roma e autore di una recente biografia di Atatürk. Ma è intervenuto anche il principale consulente scientifico nonché sceneggiatore del documentario, Mehmet Kalpakli, presidente del Dipartimento di Storia dell’Università di Bilkent ad Ankara e docente presso la stessa Università nel Dipartimento di Letteratura turca.
Viva curiosità ha riscosso presso il pubblico romano la presenza, tra gli intervenuti, nientemeno che del diretto discendente dell’ultimo sultano ottomano che regnò con poteri assoluti, (Abdul Hamid II ,rimosso da un colpo di stato una quindicina di anni prima dell’abolizione da parte di Atatürk del Califfato: quello vero…): Orhan Osmanoğlu è un gioviale signore di mezza età che fa oggi il libero professionista; ma che, per una delle imperscrutabili leggi della genetica, assomiglia assai più che al suo più diretto antenato, allo stesso Mehmed II (‘a cominciare dal caratteristico naso… ‘, come ha tenuto a sottolineare), di cui è un nipote di 14° grado; e anche per questo è stato scelto come attore per impersonare il protagonista negli ultimi episodi del film-documentario. Ovviamente, i selfie in compagnia dell’erede del Califfo (quello vero…) sono stati richiestissimi.
Ad organizzare la mostra e la serata è stato, in collaborazione con il Polo Museale del Lazio diretto da Edith Gabrielli, l’Istituto Turco di Cultura ‘Yunus Emre’, presso l’Ambasciata della Repubblica della Turchia a Roma, che dalla sua apertura avvenuta proprio nel gennaio di due anni fa è diretto da Sevim Aktaş. Un indirizzo, quello dell’Istituto sito in Palazzo Lancellotti, che chi vuole conoscere il nostro grande vicino turco e quanto avviene al suo interno farebbe bene ad annotare scrupolosamente nella propria agenda.
Per informazioni su visite e orari: www.museorientale.beniculturali.it
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