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Maja Celija, un’illustratrice si racconta – II

L’equilibrio non sempre stabile tra scrittore e illustratore, la diffidenza o l’immobilismo di alcuni editori, la scomparsa dei grandi maestri pittori-illustratori jugoslavi. Ma secondo Maja Celija, Zagabria e Lubiana lanciano segnali incoraggianti. La seconda parte di un’intervista

24/03/2006, Giulia Mirandola - Pesaro

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La prima puntata dell’intervista

La presenza di uno scrittore, impegnato insieme a te nel processo di realizzazione del libro, è un fatto positivo o un ostacolo?

La collaborazione tra l’autore dei testi e l’autore dei disegni è un’esperienza rara ma felice. Quando accade, il lavoro di entrambi è riconoscibile e valorizzato al meglio; anche per questo l’incontro con Giovanna Zoboli e Topipittori è prezioso. Nella maggior parte dei casi, invece, il rapporto di lavoro si gioca tra l’art director di una casa editrice e l’illustratore. Il libro che ne risulta è frutto di un compromesso tra le idee dell’uno e dell’altro, ma non è semplice trovare il giusto equilibrio. Lavorando con un editore straniero mi è capitato di dover realizzare delle tavole sulla base di indicazioni molto serrate che, a mio parere, mi hanno pesantemente condizionata. Ne è nato un prodotto che evito di mostrare, eppure è un libro importante.
Ci sono state circostanze, luoghi o persone che consideri più significativi?
Aver studiato all’Istituo Europeo di Design è stato fondamentale. Sono stata allieva di Adelchi Galloni, Beppe Giacobbe, Guido Scarabottolo, Marco Ventura, Paolo Daltan, Massimo Giacon, tutti grandi nomi dell’illustrazione italiana e internazionale che poi sono diventati colleghi. Più tardi ho conosciuto un altro maestro dell’illustrazione contemporanea: Fabian Negrin, grazie a cui ho esposto e venduto i miei disegni presso la galleria L’Affiche di Milano, un centro importante per quanto riguarda l’illustrazione d’autore.
Tecnicamente come lavori?
Generalmente uso acrilico su carta. Sto approfondendo il disegno a matita e la tecnica in bianco e nero, che ho recentemente utilizzato per alcune tavole che verranno presto pubblicate sulla rivista Hamelin. L’acrilico è una tecnica che ti permette di fare moltissime cose: puoi usare pochissima acqua, quindi il risultato è più secco, o usarla quasi acquarellata. Mi piacciono molto anche i pastelli però non ho mai sperimentato. C’è un altro problema. Quando non ho molte commissioni c’è molto più tempo. Ma sono talmente ossessionata dalla ricerca di lavoro che questa prende il sopravvento su tutto e non riesco a concentrarmi su nessun’altra cosa. Ho solo in mente: come lavorare, come guadagnare per vivere, come andare avanti.
Credi che in un altro paese sarebbe diverso?
In Croazia penso di no. Si dice invece, che in Francia sia quasi "un altro mondo".
Quali sono i tuoi rapporti professionali con la Croazia o la Slovenia?
Se si escludono rare collaborazioni con il giornale Glas Istre e alcune mostre, non ho rapporti di lavoro con questi due Paesi. In seguito a un’esperienza deludente, che risale al 1999, mi è risultato difficile accostarmi a editori sloveni. Mi venivano contestati aspetti che proprio non capivo. Oggi il mio atteggiamento sta cambiando e in occasione della prossima Fiera del Libro di Bologna, ho in programma alcuni appuntamenti.

Pensi che in ex Jugoslavia ci siano stati cambiamenti profondi a livello editoriale rispetto a quando tu eri lettrice bambina, e perciò dalla fine degli anni settanta a oggi?
Non ho una grande conoscenza, ma all’epoca della Jugoslavia, le persone che si occupavano di illustrazione erano di professione pittori. C’era una grande qualità. Ho in mente un libro storico, Jezeva kucica, che tradotto significa "casa di riccio". I libri che vedo adesso, quando vado in Croazia, non mi piacciono. Anche se devo ammettere che ho gusti molto difficili, non mi piace quasi niente.
I concorsi sono importanti per chi inizia il tuo mestiere?
Non si può generalizzare. Ognuno ha la sua storia. Certo è un modo per farsi vedere, per far sapere che ci sei. Ma non è tutto. Anche se vinci, non è certo che qualcosa nascerà.
Quale città, attualmente, ti sembra più sensibile e dinamica dal punto di vista editoriale, in Slovenia e Croazia?
A Zagabria c’è più concentrazione di editori. Però bisogna tenere presente anche Lubiana, che si sta muovendo molto nell’ambito del design, della grafica, del cinema. Quando penso alla Slovenia ho molta nostalgia. Per me la Slovenia è un amore incredibile e al tempo stesso un incredibile dolore.

Hai mai pensato di tornare in Croazia?
Inizialmente pensavo di finire la scuola e tornare. Sono stata nove anni a Milano e l’ho sempre criticata quando ci abitavo. Non per la gente, per cui nutro massimo rispetto. Però trovavo una grande difficoltà a vivere in quella città, anche perché lavoravo in casa, in un appartamento molto buio ed era molto costoso.
Guardando i tuoi disegni non si perde mai il filo del reale, anche quando questo subisce delle alterazioni o presenta curiose anomalie. È davvero così?
Sì, è così. Sono sempre stata appoggiata moltissimo alla realtà. Cerco di partire da una cosa reale, che c’è, e poi trovare un elemento che sposti e vada oltre le banali spiegazioni, perché è nella realtà che accadono continuamente cose inspiegabili. Trovo che i mondi fantasiosi siano ripetitivi, fiabeschi per essere fiabeschi.
A quali illustratori o pittori ti senti in qualche modo vicina?
Già citavo prima gli incontri avvenuti a Milano. L’illustratore a cui mi sento più vicina è Luigi Raffaelli, perché il suo tavolo da disegno dista circa un metro e mezzo dal mio. Ammiro molto il lavoro di Simona Mulazzani. A Pesaro c’è una buona concentrazione di disegnatori, che stanno realizzando alcune tra le cose più rilevanti pubblicate in questo momento. La mia ammirazione va anche a Guido Pigni con cui, insieme a Luigi, ho condiviso gusti, ansie e risate. Ci sono pittori che sono un punto di riferimento costante: penso a David Hockney, ma anche Balthus, Pieter Bruegel, Hieronymus Bosch. Cercando di non farsi troppo influenzare.

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