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Maidan 3.0

Nelle settimane scorse l’anniversario della fine di Euromaidan. Quale l’eredità lasciata da quegli avvenimenti? E’ probabile una nuova Maidan?

29/02/2016, Danilo Elia -

Maidan-3.0

Nel giorno del secondo anniversario della fine di Euromaidan, quando cento manifestanti furono uccisi dai colpi dei cecchini in piazza, è successo qualcosa di stonato con il ricordo del sangue versato. Mentre molti ucraini a Kiev deponevano fiori in memoria dei nebesna sotnja – la “centuria celeste”, come vengono chiamate le vittime del 20 febbraio 2014 – un migliaio di manifestanti in mimetica e passamontagna si sono radunati in piazza Nezaležnosti. Sventolavano bandiere di Svoboda, il partito nazionalista di Oleh Tyahnybok, e del battaglione Azov, una delle formazioni di volontari che hanno combattuto nell’est del paese. Prima hanno protestato rumorosamente attirando l’attenzione della polizia antisommossa, e poi assaltato e vandalizzato due filiali di banche russe, l’Alfa Bank e la Sberbank, sulla Kreschatik.

"Si sente l’odore della Maidan", ha scritto su Facebook Paul Gogo, corrispondente da Kiev di Libération. Il nome della rivoluzione che ha portato alla destituzione di Viktor Janukovič non è stato rievocato a caso. Il fantasma di una Maidan 3.0 – terza dopo la Rivoluzione arancione e quella che ha deposto il presidente Viktor Yanukovich – viene agitato già da mesi dalle facce più irrequiete della popolazione. E comincia a trovare sempre più adesioni.

Ma chi erano quegli uomini e contro chi o cosa protestavano?

Dimissioni

L’Ucraina si trova ad affrontare forse il momento più difficile da quella che è stata ribattezzata la Rivoluzione della dignità, e che ha scoperchiato il vaso di Pandora portando all’annessione russa della Crimea e alla guerra nell’Est. L’ubriacatura di Euromaidan è definitivamente passata e ora non rimane che il mal di testa.

Il malcontento nei confronti dei politici è ormai argomento di discussione quotidiano e il sentimento più diffuso tra la popolazione è la sensazione di essere stati traditi. Non solo le riforme per la desovietizzazione dell’economia e la democratizzazione delle istituzioni si sono perse nel pantano della politica di Kiev, ma sono sempre di più i segnali che mostrano come, dietro una cambiamento di facciata, siano sempre gli stessi personaggi – e le stesse logiche di spartizione del potere – a governare il paese. E la lotta alla corruzione, avvertita come il male peggiore, non fa molto più che riempire la bocca dei governanti.

Non più di un paio di settimane fa si è dimesso il ministro dell’Economia, il lituano Aivaras Abromavičius, uno degli stranieri voluti dal presidente Petro Poroshenko per dare un’energia nuova alla squadra di governo. Abromavičius, che aveva la delega alla lotta contro la corruzione, ha detto chiaramente di aver gettato la spugna contro un sistema corruttivo radicato nelle istituzioni fino ai massimi livelli. Pochi giorni dopo è toccato al Procuratore generale, Viktor Shokin, lasciare la poltrona. Per lui l’accusa è stata di insabbiare le inchieste contro i corrotti.

Elezioni anticipate

Ma c’è una persona che manca alla lista. Il procuratore Shokin si è dovuto dimettere su espressa richiesta del presidente Petro Poroshenko, che assieme a lui aveva additato anche il primo ministro Arseniy Yatsenyuk tra i principali responsabili del mancato cambiamento. "Il governo ha perso la fiducia della coalizione", aveva detto. "Per ristabilire la fiducia non bastano delle cure. Ci vuole un intervento chirurgico". Le parole del presidente si sono trasformate in una mozione di sfiducia in parlamento, il cui esito sembrava scontato. Soprattutto quando, all’inizio della seduta, la Rada ha votato una mozione non vincolante di disapprovazione sull’operato del governo, con 247 voti a favore su 422. Ma appena un quarto d’ora dopo, al momento di votare la sfiducia, i sì si sono ridotti a 194, salvando di fatto Yastenyuk e il suo governo.

Solo nel partito di Poroshenko sono stati 22 i deputati che hanno cambiato idea e non hanno seguito le indicazioni del presidente. Alcuni parlamentari hanno gridato allo scandalo, suggerendo un accordo sottobanco tra il presidente e il premier. Altri hanno detto che Poroshenko non ha più il controllo del suo stesso partito. Per tutta risposta il partito Patria di Yulia Tymoshenko, l’eroina della Rivoluzione arancione e di Euromaidan, è uscito dalla coalizione di governo in segno di protesta, seguito da Samopomich del sindaco di Leopoli Andriy Sadovyi. Lo spauracchio delle elezioni anticipate, così, non si allontana.

Rivoluzione

Il momento non potrebbe essere peggiore. L’Ucraina sta attraversando una lunga e dolorosa crisi economica che ha impoverito le fasce più deboli della popolazione. Mentre la guerra per il potere rimbalzava tra la Rada e la Bankova, la hryvnia toccava il minimo da quasi un anno, essendo scambiata a 29 contro un euro. E come una doccia fredda sono arrivate le parole del capo del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde: "Senza nuovi significativi sforzi per migliorare la governance e la lotta contro la corruzione, difficilmente il programma sostenuto dal Fmi potrà continuare". Il prestito di 17,5 miliardi di dollari in quattro anni, concesso lo scorso anno, rischia quindi di essere sospeso. Finora solo 6,7 miliardi sono stati versati nelle casse di Kiev, insufficienti a evitare il default.

Come se non bastasse, il processo di pace nel Donbass segna il passo, mentre i combattimenti che hanno brusche e improvvise riprese fanno anche temere per la tenuta della tregua in vigore da un anno. Molti dei manifestanti dei giorni scorsi, riferiscono testimoni sul posto, sono proprio ex volontari che hanno prestato servizio al fronte, scontenti di vedere il sangue versato inutilmente in battaglia e le speranze della Maidan tradite. Dicono di essersi uniti in un gruppo e si fanno chiamare Forze rivoluzionarie di destra. Dopo aver occupato un albergo, hanno piantato delle tende in piazza e minacciano di non andarsene prima che ci sia un cambio al governo. È così che iniziò Euromaidan. I riferimenti alle destre estreme, però, fanno pensare a gruppi che non rappresentano la maggioranza degli ucraini e che non godono di grande supporto tra i cittadini. Sempre che il grido “Terza Maidan” non finisca per agitare troppi animi.

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