Macedonia: tre anni dopo, cos’è accaduto a Kumanovo?
Sono stati i servizi segreti macedoni a mettere in scena la “piccola guerra” di Kumanovo dove tra il 9 e il 10 maggio 2015 sono state uccise 18 persone? Un’inchiesta di BIRN solleva dubbi inquietanti
(Pubblicato originariamente da Courrier des Balkans il 22 maggio 2018)
Il 9 maggio del 2015, all’alba, la città di Kumanovo si è trasformata in zona di guerra. Lo ricorda BIRN in una sua recente inchiesta. Combattimenti violenti, durati due giorni, hanno visto contrapposte le forze speciali macedoni e 39 combattenti albanesi asserragliati in un quartiere residenziale della città. Dopo più di 36 ore di assalto il bilancio fu pesante: facciate delle case sventrate, vetture incendiate, veicoli blindati rovesciati per strada. Nella serata il primo ministro dell’epoca Nikola Gruevski è intervenuto in televisione rivolgendosi alla nazione. Ha accusato “un gruppo terrorista” venuto dall’estero di aver programmato una serie di attentati contro commissariati e centri commerciali. “Una cosa è certa, il loro scopo è di destabilizzare la Macedonia”.
Tre anni dopo un nuovo governo guida la Macedonia e ancora nessuno è in grado di dire quali fossero le vere intenzioni di questi uomini armati. Il 2 novembre del 2017 la giustizia macedone ha comminato sentenze per 745 anni di detenzione per “terrorismo” contro 33 imputati, sette condannati all’ergastolo e gli altri a pene dai 12 ai 40 anni. Quattro persone sono state prosciolte. Il processo comunque ha fallito nel far luce sulla questione più importante: chi erano i mandanti dell’operazione?
Ancor prima che si aprisse il processo, giravano voci sul fatto che lo scontro potesse essere una messa in scena per alimentare le tensioni inter-etniche e sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dagli scandali di corruzione che stavano colpendo il VMRO-DPMNE. “Numerosi elementi vanno a far ritenere che si tratti di uno scenario orchestrato da chi è al potere”, affermava il giorno successivo all’assalto Zoran Zaev, allora a capo dell’opposizione social-democratica (SDSM) ed ora a capo del governo.
Ora Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) pubblica rivelazione di un alto ufficiale dei servizi segreti macedoni, che accreditano la versione di un complotto organizzato da chi era al governo. Secondo questa fonte, che ha richiesto l’anonimato, i combattenti albanesi sarebbero stati reclutati e armati con il sostegno dei servizi segreti macedoni, che avrebbero anche permesso loro di raggiungere Kumanovo nell’anonimato. “Gli incidenti di Kumanovo sono stati interamente organizzati dall’Agenzia di intelligence macedone. Uno scenario mal concepito che poi si è rivelato, sul terreno, un completo disastro”, assicura la fonte di BIRN che ha consegnato queste informazioni anche ai servizi macedoni. Ha risposto direttamente il presidente macedone – e membro del VMRO-DPMNE – Gjorge Ivanov in quanto a capo del Consiglio nazionale di sicurezza, smentendo formalmente questa versione dei fatti.
Nel suo discorso alla nazione al termine del fine settimana di sangue Nikola Gruevski ha fatto appello “all’unità”. Un modo di nascondere lo scandalo sollevato dalle cosiddette “bombe” rivelate dall’opposizione ogni settimana fin dal febbraio precedente? Lo pensano in molti in Macedonia. Le intercettazioni illegali rese pubbliche dall’opposizione permisero di rivelare che nel paese 20.000 cittadini erano stati sorvegliati illegalmente, l’1% della popolazione macedone. Il governo Gruevski ha sempre accusato servizi segreti stranieri di aver fabbricato queste registrazioni.
Qualche giorno dopo gli “incidenti di Kumanovo” l’SDSM ha pubblicato una conversazione tra un uomo e una donna, presentati come Martin Protuger, allora capo di gabinetto di Nikola Gruevski e Gordana Jankuloska, influente ministra degli Interni. “Perché non facciamo una guerra [con gli albanesi]?”, chiede Martin Protuger. “Li schiacceremmo in un’ora”, risponde Gordana Jankuloska. Poco dopo la ministra degli Interni si dimetteva, al pari di Sašo Mijalkov, a capo dei servizi segreti e cugino del primo ministro Gruevski. Entrambi negarono che le loro dimissioni avessero a che fare con la questione Kumanovo, ma che ritenevano potessero essere un modo per uscire dalla crisi che scuoteva la Macedonia “a causa dell’opposizione”.
“Non vi è mai stata alcuna prova che membri del nostro partito siano stati coinvolti in una qualsiasi orchestrazione di quanto accaduto a Kumanovo”, ha spiegato Ivo Kotevski, portavoce del VMRO-DMPNE, contattato da BIRN dopo la fine del processo ai combattenti albanesi. Contemporaneamente Goran Mitevski, che ha diretto l’Agenzia macedone di contro-spionaggio dal 1999 al 2001, affermava di aver avuto informazioni – non confermate – che gli attacchi “erano stati organizzati ai più alti livelli del potere”. Se la strategia avesse funzionato – e non è stato il caso – si sarebbe manifestata un’occasione per il VMRO-DPMNE di giustificare una dichiarazione di stato d’emergenza e promuovere elezioni politiche anticipate, assicura l’ex funzionario.
Nel momento in cui a Kumanovo imperversavano i combattimenti tra polizia e il gruppo di uomini armati, i social network macedoni si infiammavano relativamente ad un discorso pronunciato – qualche settimana prima – da un ex funzionario di polizia, Stojance Angelov. A capo di un piccolo partito d’opposizione, Dostoisntvo («Dignità»), aveva preso la parola il 4 aprile alla fine di una manifestazione contro il governo per le strade di Skopje. “Qualcuno nel nostro paese sta preparando un piano mostruoso per provocare un conflitto inter-etnico”, aveva urlato al microfono. “Ho informazioni secondo le quali sarebbero stati pagati due milioni di euro a degli albanesi. Il loro compito è quello di uccidere dei poliziotti e dei soldati e di provocare un conflitto inter-etnico in nome dell’UÇK-M [ramo macedone dell’Armata di liberazione del Kosovo, che aveva imbracciato le armi nel 2001, ndt]”.
Stojance Angelov ha dichiarato a BIRN che le sue informazioni provenivano da “persone che lavoravano per la sicurezza dello stato e da altri servizi”. Il piano era quello di pagare dei criminali per reclutare uomini “creduloni e ideologicamente motivati” per effettuare attacchi in Macedonia, giustificandoli come difesa dei diritti degli albanesi. “A mio avviso nessuno voleva un esito così tragico. Penso che ad un certo punto abbiano perso il controllo”, precisa ora l’ex funzionario di polizia.
Sei giorni dopo l’intervento in manifestazione di Angelov venne gettata una granata nella corte della sede del governo, senza fare vittime. Un certo ‘Comandante Kushtrimi’ rivendicò il gesto in una mail che riportava il logo dell’UÇK-M e, in modo bizzarro, riportava anche la firma falsificata del governatore della Banca centrale europea. L’autore della mail minacciava altri attacchi nel caso in cui gli albanesi non avessero ottenuto gli stessi diritti dei macedoni. Il 21 aprile la polizia macedone dichiarò che 40 uomini in divisa, con i segni distintivi dell’UÇK-M, avevano attraversato il confine con il Kosovo ed attaccato un commissariato di polizia nei pressi del villaggio di frontiera di Gošince, picchiando e legando 4 poliziotti, prima di fuggire con un arsenale rilevante, tra cui decine di mitragliatori.
Cinque giorni dopo l’attacco di Gošince, un certo Mirsad Ndrecaj affermava su Facebook di esserne l’ideatore. “L’UÇK-M ha sempre raggiunto i suoi obiettivi”, scriveva, “noi non vogliamo la guerra ma se ci viene imposta siamo sempre pronti a difendere la nostra amata nazione albanese”. L’uomo, ufficialmente ucciso durante l’assalto a Kumanovo, è stato più tardi identificato come il capo del gruppo armato. Le autorità di Skopje hanno anche riconosciuto che le armi e le munizioni sottratte a Gošince erano state utilizzate a Kumanovo. All’indomani dell’attacco a Gošince, il VMRO-DPMNE annunciava l’anticipo di una settimana del propri congresso per rinnovare il mandato del suo capo. L’incontro si sarebbe dovuto tenere originariamente a Kumanovo il 9 e 10 maggio. Nikola Gruevski era l’unico candidato il lizza.
Originario di Gjakovë/Djakovica, nell’ovest del Kosovo, Mirsad Ndrecaj era un ex membro dell’UÇK ed ha combattuto nel 1998-1999 nella guerra contro la Serbia. Circa un mese dopo la sua morte a Kumanovo la stampa kosovara ha pubblicato la trascrizione di una conversazione che sarebbe avvenuta poco dopo i fatti di Gošince tra Ndrecaj e un uomo identificato più tardi come un agente albanese dei servizi segreti macedoni, Shenasi Memedi. “Ti ho mandato un messaggio ma il tuo numero non funziona”, dice l’agente. “Ho visto la tua reazione ieri sera, (…) Quella che hai scritto su Facebook, che l’UÇK-M ha attaccato il commissariato”. “E ti è piaciuta?”, risponde Mirsad Ndrecaj. “Molto bene, molto bene”.
BIRN non è mai riuscita ad entrare in contatto con Shenasi Memedi ma la sua fonte in seno ai servizi di sicurezza macedoni assicura che era coinvolto nella preparazione dell’attacco di Kumanovo ed identifica anche il “cervello” dell’Agenzia: Siniša Aleksovski, che lavora al fianco del presidente Ivanov come consigliere sulla sicurezza. “Tutto era sotto il suo controllo e Shenasi Memedi lavorava sul terreno”, entra nel dettaglio. Anche Zoran Zaev aveva puntato il dito sul ruolo di Siniša Aleksovski nell’operazione: “Abbiamo ascoltato una conversazione tra lui e un individuo soprannominato ‘Comandante Nato’, Mirsad Ndrecaj, un criminale ben noto, che opera in Kosovo, in Serbia e in Macedonia”, aveva affermato alla televisione l’attuale primo ministro nel maggio 2017.
Durante il processo, numerosi combattenti di Kumanovo hanno descritto di un incontro a Pristina dei capi del gruppo, Mirsad Ndrecaj e Beg Rizaj, con Shenasi Memedi e un’altra spia mai identificata. Secondo la loro versione l’incontro sarebbe stato fatto per preparare Kumanovo. Nell’occasione sarebbe stato girato anche un video, mai ritrovato.
Senza prove materiali, le sole persone che avrebbero potuto confermare quest’incontro e il suo contenuto sono Mirsad Ndrecaj e Beg Rizaj, entrambi ufficialmente uccisi durante l’assalto, lo stesso Shenasi Memedi e la seconda spia, mai identificata. La magistratura macedone non ha però potuto interrogare Shenasi Memedi perché lo ha impedito l’agenzia di intelligence sollevando la sicurezza nazionale. Anche la morte dei due capi del gruppo armato ha sollevato ampio dibattito: potrebbero non essere stati uccisi a Kumanovo.
Due giorni dopo il sanguinoso fine settimana, del 9 e 10 maggio. Il ministero degli Esteri macedone ha infatti mandato una lettera all’ambasciata del Kosovo a Skopje dove si precisava che Mirsad Ndrecaj e Beg Rizaj erano stati arrestati vivi, come anche vivo sarebbe stato Arben Rexhaj, che è poi stato contato tra le vittime. Dal ministero si è poi affermato che si era trattato di un errore. Secondo le autopsie entrambi sarebbero stati uccisi con un colpo d’arma da fuoco in fronte. Molti degli imputati al processo hanno dichiarato che i loro capi erano vivi al momento della resa.
Per mettere fine a tutte queste voci su cosa sia effettivamente accaduto il 9 e il 10 maggio 2015 a Kumanovo molti macedoni sperano venga avviata a tempi brevi un’inchiesta internazionale, come hanno chiesto ufficialmente sia Kosovo che Macedonia. Il ministro degli Interni Oliver Spasovski si è dichiarato concorde. “Si tratta di una procedura trasparente”, spiegava nel settembre 2017. Ma da allora nessun progresso.
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