Macedonia: Skopjegate
Un casuale controllo della polizia nei pressi della capitale macedone. Alcuni camion con targa bulgara pieni zeppi di armi. Le forze armate macedoni al centro di uno scandalo i cui confini sono ancora tutti da valutare
Tre autoveicoli bulgari, guidati da autisti della stessa nazionalità, sono stati fermati un paio di settimane fa a Skopje, per un controllo di routine. I Tir sono risultati carichi di armi, da fucili automatici a lanciagranate. La polizia, verificando rilevanti irregolarità nel trasporto, ha sequestrato il carico e posto in stato d’arresto gli autisti. I documenti di trasporto non erano in regola e i camion non erano scortati dall’esercito, come previsto dalla legge in questi casi.
All’inizio sembrava una questione di mere irregolarità: i funzionari del ministero della Difesa hanno subito sottolineato come si trattasse di un trasporto di armi vendute regolarmente. Il ministro della Difesa Lazar Elenovski ha commentato che si trattava esclusivamente di un "trasporto con qualche irregolarità". Ma il quadro è progressivamente cambiato.
In seguito ad un accordo dell’aprile scorso tra il ministero della Difesa e una grande azienda metalmeccanica di Skopje, la MZT, una serie di armamenti desueti venivano scambiati con macchine industriali ed altro equipaggiamento. Il valore dell’accordo si aggirava attorno ai 180.000 euro. La MZT poi aveva il diritto di rivendere a terzi le armi, cosa che poi ha fatto. Il convoglio fermato era il quarto di una serie, che trasportava armi in Bulgaria. I primi tre erano stati completati con successo. Trasportava 300 fucili del valore stimato (dall’esercito) di 300 dollari l’uno.
Secondo l’Esercito si sarebbe trattato di un valore appropriato, ma gli investigatori di polizia hanno subito avuto dei sospetti. I fucili sembravano infatti nuovi di zecca.
"La mia responsabilità è quella di guidare l’Esercito. E’ il ministero a stabilire i prezzi delle armi attraverso un’apposita commissione", la difesa del generale Miroslav Stojanovski, a capo dell’Esercito macedone. Quest’ultimo però non è stato in grado di chiarire come mai il settore dell’intelligence macedone che si occupa di armamenti non sapesse nulla della questione, venuta alla luce solo grazie alle forze di polizia.
"Dovreste scoprirlo voi il perché …", ha affermato alla stampa il generale.
Esperti del ministero degli Interni hanno ispezionato le armi. Secondo questi ultimi si trattava di armi nuove, mai usate. Erano ancora nelle loro confezioni. Il loro valore di mercato, secondo la polizia, sarebbe di 3.600 dollari al pezzo, e non i 300 dichiarati.
I fucili automatici facevano parte di una donazione USA avvenuta nel 1999. Secondo la stampa può darsi che le condizioni poste al momento della donazione impedissero di rivenderle. Ma la documentazione attestante la donazione non è più reperibile. E’ forse convenientemente sparita dal cassetto di qualche scrivania. Una cosa purtroppo non rara nell’amministrazione macedone.
Gli esperti dichiarano che il paese riceve molte donazioni di armi. Dato che l’Esercito non può utilizzarle tutte, e il loro mantenimento costa, ne vende una parte. Molte di queste sarebbero arrivate alla Bulgaria, che è considerato un paese esportatore di armi verso aree di crisi.
"Le armi sono in Bulgaria", ha dichiarato l’ambasciatore bulgaro a Skopje Miho Mihov la scorsa settimana. "E’ un’informazione confermata. L’ho verificata personalmente con funzionari di alto livello. Abbiamo controllato tutto, non solo le quantità ma anche i numeri di serie. E’ tutto là".
"In casi come questi è lo stesso governo, in questo caso quello bulgaro, ad emettere un documento nel quale si garantisce che le armi non finiranno in aree di crisi, in qualsiasi parte del mondo, poste sotto embargo dall’Onu", ha chiarito il ministro della Difesa macedone Manasievski.
Ciò nonostante, la questione più delicata riguarda il valore delle armi. Secondo i calcoli della polizia lo Stato potrebbe essere stato frodato di un milione di dollari, e solo per quanto riguarda il trasporto sequestrato.
Il ministero degli Interni ha chiesto l’aiuto dell’Interpol. Ma a livello internazionale nessuno sembra voler rilasciare dichiarazioni mentre sono in atto le investigazioni.
In seguito ad ulteriori indagini la polizia ha emesso ordini di cattura nei confronti di tre funzionari dell’Esercito. Questi ultimi sono stati portati immediatamente davanti ad un giudice e incarcerati per abuso d’ufficio. Tra questi il responsabile della logistica dell’esercito, Ilija Skodrovski, il cui nome era stato il primo ad emergere, Nelko Menkinovski, a capo della logistica presso il ministero della Difesa e il suo consigliere Viktor Raicki. Sono tutti accusati di aver falsato i documenti ufficiali in modo da vendere le armi come se fossero state usate. Inoltre la polizia ha accusato altre tre persone come complici dell’affare: due membri della Commissione sulle armi del ministero della Difesa e un dirigente della MZT.
"Abbiamo supportato le nostre accuse con prove rilevanti. Il pubblico ministero ha accolto le nostre richieste", ha affermato il ministro degli Interni Gordana Jankulovska, evitando però ulteriori commenti.
La polizia ha inoltre scoperto che la gara di appalto per il contratto poi firmato con il ministero della Difesa era irregolare, essendo l’MZT l’unica azienda che vi ha preso parte. Offerte fasulle di altre aziende sono state aggiunte ex post per far sembrare verosimile l’assegnazione del contratto.
Il ministero della Difesa si è affrettato a sospendere i sospettati e ha annunciato riforme in seno alle forze armate. Ha anche rimosso dall’incarico i responsabili dei servizi di sicurezza militari per non aver impedito il crimine. Ha annunciato di aver avviato un monitoraggio su tutta le gestione logistica dell’Esercito.
"Analizzeremo tutti i contratti, controllando cosa va e cosa non va", ha affermato il ministro della Difesa che ha inoltre sospeso il contratto con la MZT.
Lo scandalo non ha potuto non assumere una dimensione politica. Il ministro della Difesa e il Presidente condividono la responsabilità delle forze armate. Spetta al presidente della Repubblica nominare e revocare l’incarico ai generali. Il VMRO-DPMNE, partito di maggioranza in seno al governo, ha chiesto al Presidente Branko Crvenkovski di fare la sua parte di lavoro.
"Spetta al presidente Crvenkovski punire chi, in questa vicenda, ha delle responsabilità di comando, e chi poteva fare e non ha fatto nulla per evitare questo enorme scandalo", ha affermato il portavoce del VMRO-DPMNE Aleksandar Bicikliski.
Il ministero della Difesa e il governo stanno mettendo pressione sul Presidente affinché decida un cambio ai vertici delle forze armate. Ma Crvenkovski ha annunciato di voler attendere sino a quando emergeranno nuove prove.
Dal canto loro invece i socialdemocratici, maggior partito all’opposizione e vicini al Presidente della Repubblica, hanno chiesto le dimissioni del ministro degli Interni Jankulovska.
"Ha affermato che a un alto funzionario del ministero della Difesa è stato revocato l’incarico perché non aveva controllato le azioni dei suoi subordinati. Ora tocca a lei", hanno affermato alcuni parlamentari del partito socialdemocratico, riferendosi ad un altro recente scandalo nel quale alcuni poliziotti appartenenti ad un’unità speciale sono risultati coinvolti nel racket ai danni di locali notturni.
Secondo il parlamentare socialdemocratico Igor Ivanovski "scandali come questi mettono a rischio l’integrazione della Macedonia in seno alla NATO".
In merito a queste accuse la coalizione di governo sino ad ora non ha reagito.
"Abbiamo avuto anche in passato casi come questo che però non sono stati risolti. Il ministero degli Interni sta lavorando a questo con celerità, e lo risolverà. Questa è la differenza principale tra noi e il governo precedente dell’SDMS (Socialdemocratici, ndr)", ha affermato il primo ministro Nikola Gruevski, sfruttando il caso per attaccare l’opposizione.
Secondo alcuni media, accordi come quello recentemente scoperto erano un business ben oliato che coinvolgeva Esercito e ministero della Difesa.
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