Macedonia: si infiamma la violenza religiosa
A metà gennaio durante il carnevale di Vevcani, il più famoso della Macedonia, alcune maschere ritenute offensive dell’Islam hanno dato il via a scontri etno-religiosi. Eventi che mettono a nervo scoperto le fragilità del Paese e sottolineano al tempo stesso l’imprescindibilità della responsabilità individuale in una società democratica
A metà gennaio, in una replica locale del noto caso delle caricature di Maometto pubblicate nel 2005 da un quotidiano danese, il sentimento religioso ha generato episodi di violenza in occasione del carnevale di Vevcani, probabilmente il più noto del Paese. La comunità musulmana macedone (in gran parte composta da albanesi, ma anche da turchi e macedoni etnici) si è infatti ritenuta profondamente offesa da una maschera che a suo avviso prendeva in giro i rituali della preghiera islamica. Nelle proteste organizzate dalla comunità islamica di Struga (città nel sud-ovest della Macedonia), diverse migliaia di persone hanno manifestato marciando attraverso il centro della città, inneggiando ad Allah e gridando slogan come "a fuoco Vevcani" e "morte ai cristiani".
Durante la protesta, la bandiera nazionale macedone è stata strappata dal palazzo municipale e sostituita con la bandiera verde dell’Islam. In altri incidenti legati alle proteste, un autobus è stato preso a sassate e molte altre bandiere macedoni sono state strappate dagli edifici istituzionali, alcune bruciate.
Gli incidenti sono proseguiti nei giorni seguenti, con la distruzione di una croce di legno di una chiesa di paese e di molte finestre di un centro medico locale. A fine gennaio, la chiesa del villaggio di Labunista è stata data alle fiamme, anche se l’edificio è stato salvato dal tempestivo intervento della gente del posto.
Scaricabarile
"Tutta colpa del carnevale di Vevcani" ha dichiarato Ramiz Merko, sindaco del comune di Struga (che comprende diversi villaggi, tra cui Labunista), infiammando ulteriormente gli spiriti. Merko ha chiamato a scusarsi il suo omologo, il sindaco di Vevcani. Quest’ultimo, fedele alla tradizione politica macedone per cui nessun funzionario si sente mai responsabile di alcunché, ha pubblicamente rifiutato di farlo, con argomenti che andavano da "il comune non è l’organizzatore" (quindi non ha nulla di che rispondere) alla ben nota libertà di espressione e così via.
Toni lievemente concilianti sono arrivati dai partecipanti al carnevale, alcuni dei quali si sono scusati sostenendo che non volevano offendere nessuno. Con la tensione già alta, tuttavia, questo non è stato sufficiente. Le prime pagine dei quotidiani lanciavano avvertimenti contro la minaccia del fondamentalismo islamico; i soliti teorici della cospirazione ricordavano che nulla è ciò che sembra; gli editorialisti dibattevano su chi aveva cominciato. Su Facebook esplodeva la violenza verbale, in gran parte ad opera di giovani. I politici si accusavano a vicenda di sfruttare la vicenda per ottenere facili consensi.
Nikola Gruevski, primo ministro e leader del partito di destra VMRO DPMNE, ha accusato l’opposizione (SDSM) e il suo leader Branko Crvenkovski di essere dietro le proteste. Crvenkovski ha a sua volta biasimato la coalizione di governo guidata dal VMRO e dal partner albanese dell’Unione Democratica per l’Integrazione (DUI) per l’aumento delle tensioni etniche.
Ritorno alla calma
Dopo la sfuriata iniziale, la situazione ha cominciato a calmarsi. La leadership della comunità islamica in Macedonia ha invitato i credenti a non lasciarsi fuorviare dalle provocazioni. Ermira Mehmeti (DUI) ha ragionevolmente invitato a non dibattere oltre su chi avesse appiccato il fuoco (gli analisti di destra macedoni avevano sostenuto che la maschera fosse stata una risposta a precedenti provocazioni albanesi, come la bandiera macedone recentemente bruciata durante alcune partite di calcio), ma su come spegnerlo.
Il Comitato parlamentare per i rapporti interni alla comunità (CRI) ha tenuto una sessione agli inizi di febbraio e tutti hanno invitato alla tolleranza, anche se governo e opposizione hanno continuato con le accuse reciproche senza riuscire a giungere a conclusioni comuni, dato che il Partito Democratico degli Albanesi ha rifiutato di votare.
A fine gennaio, in risposta agli eventi, l’Alto Commissario OSCE per le minoranze nazionali Knut Vollebaek è arrivato in Macedonia per una serie di incontri con la leadership politica del Paese. Il 9 febbraio, in un discorso ai membri del CRI, ha ricordato che "non manca molto perché la situazione degeneri e vada fuori controllo" e ha chiesto una risposta adeguata agli eventi recenti. L’OSCE ha riproposto il suo progetto di istruzione integrata, naufragato nel 2010 a causa dell’opposizione della comunità albanese. Il progetto prevedeva anche che i bambini albanesi studiassero il macedone dalla prima elementare, idea respinta dalla maggior parte dei genitori albanesi.
Il difficile esercizio della tolleranza
Non c’è dubbio che i politici abbiano sfruttato gli eventi per guadagnare consenso. È loro abitudine. Ma finché cercano consensi smorzando il clima di violenza, non è un problema. Le preoccupazioni sorgono quando cercano consensi incitando all’odio.
Stavolta, però, non sono stati i politici a creare la tensione, ma stupide, insensibili maschere di carnevale. Come al solito, nessuna cospirazione: solo irresponsabilità. Chi ha creato quelle maschere avrebbe dovuto pensarci due volte. La libertà di espressione è una bella cosa, ma non assolve da ogni responsabilità. Diversi mesi fa, alcuni giovani albanesi sono stati arrestati per aver dipinto un graffito sulla Grande Albania su un muro a Tetovo. Sono stati rilasciati, ma dovranno difendersi in tribunale dalle accuse di incitamento all’odio etnico e religioso. È ragionevole pensare che siano colpevoli come i creatori delle maschere di Vevcani, che però non hanno subito alcun provvedimento.
Durante il recente campionato europeo di pallamano a Niš, Serbia, la scritta sul muro "la Macedonia è terra serba" ha guadagnato le prime pagine dei giornali di Skopje. Tutti si sentivano offesi. Ma i tifosi macedoni cantano il loro inno nazionalista dicendo che "la terra intorno a Salonicco sarà nostra", e nessuno a Skopje si ferma a pensare “un attimo, questo potrebbe essere offensivo per qualcuno”. Spesso, l’odio viene da noi stessi, da dentro di noi. Dobbiamo continuare a ricordare a noi stessi che la responsabilità individuale è un valore fondamentale in una democrazia.
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