Macedonia, le elezioni della discordia
USA e UE mettono in discussione la data delle elezioni anticipate in Macedonia: senza accordo tra governo e opposizione la situazione rischia di precipitare. Un’analisi in collaborazione con l’ISPI
Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul sito dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI).
In Macedonia «non ci sono le condizioni per tenere elezioni credibili il prossimo 24 aprile». Il perentorio giudizio, contenuto in una missiva recapitata domenica 21 febbraio al governo di Skopje dall’ambasciatore americano Jess Baily – e che sintetizza la posizione congiunta Ue-Usa – rimette seriamente in discussione la data delle prossime consultazioni anticipate.
Elezioni pensate come strumento per sanare la profonda spaccatura politica che divide il paese, ma che potrebbero diventare lo scoglio su cui la Macedonia rischia di affossare definitivamente nel caos istituzionale.
Obiettivo ufficiale della chiamata alle urne è sciogliere il nodo politico creatosi in Macedonia a partire da inizio 2015: da quando, cioè, il leader dell’opposizione socialdemocratica (Sdsm) Zoran Zaev, iniziò a rendere pubbliche scandalose registrazioni di intercettazioni ambientali e telefoniche (ottenute da fonti mai chiarite).
Nelle registrazioni, secondo Zaev, si trovano prove abbondanti che il governo guidato dal conservatore Nikola Gruevski (Vmro) – al potere dal 2006 – si sarebbe macchiato di brogli elettorali, corruzione, arresti e detenzioni illegali, oltre allo spionaggio di almeno 20.000 cittadini macedoni.
Per Gruevski le “notizie bomba” divulgate da Zaev non rappresentano invece altro che un tentativo di colpo di stato, ordito dall’opposizione ai danni del suo esecutivo con l’aiuto di un non precisato “servizio segreto straniero”.
Con il muro contro muro ed un clima politico sempre più rovente, segnato dalle proteste di piazza dell’opposizione, la comunità internazionale – Unione europea in testa – ha tentato di portare i contendenti al tavolo delle trattative e delineare una road map per traghettare la Macedonia fuori dalla crisi politica.
Il risultato degli sforzi diplomatici, coordinati dal Commissario Ue ai negoziati per l’allargamento Johannes Hahn, si è concretizzato negli “accordi di Pržino”, firmati da tutti i principali attori politici macedoni nel luglio 2015.
L’intesa prevedeva tra l’altro la creazione di una procura speciale incaricata di indagare le accuse basate sulle intercettazioni, le dimissioni di Gruevski e la nascita di un governo di transizione (aperto alla partecipazione dei socialdemocratici) per portare il paese a elezioni anticipate. Fissata anche una data per andare alle urne, il 24 aprile 2016, appunto.
Gli accordi di Pržino sono stati salutati come un importante successo, ma fin da subito si sono resi evidenti problemi e discordie sulla sua implementazione. La procura speciale, ad esempio, affidata all’ex procuratore di Gevgelija Katica Janeva, ha iniziato ad operare in ritardo sui tempi previsti, e restano dubbi sulle sue capacità di operare efficacemente in un contesto polarizzato come quello macedone.
Anche il delicato processo di preparazione politica alle elezioni è stato punteggiato di scontri, polemiche e decisioni unilaterali.
Per il governo la data fissata per andare alle urne è il faro che guida la strada verso la soluzione della crisi. Incurante delle proteste dell’opposizione, che denuncia falle sostanziali nella creazione di condizioni minime per un voto libero e democratico, Gruevski si è dimesso a metà gennaio, dando via libera al “governo elettorale” – guidato dal segretario generale della Vmro, Emil Dimitriev ed eletto con i socialdemocratici assenti dal parlamento – incaricato di preparare il voto per il 24 aprile.
L’opposizione però parla di gara elettorale falsata, evidenziando due problemi principali. Il primo è il forte sbilanciamento e la dipendenza dei media nei confronti della compagine governativa: giudizio negativo confermato da Reporter senza Frontiere, che indica nella Macedonia il paese con i media meno liberi dell’area balcanica (con l’eccezione della Turchia).
Il secondo invece riguarda le liste elettorali, che sarebbero obsolete e piene di nominativi fittizi, facilmente utilizzabili dal governo per pilotare i risultati del voto: una situazione che, secondo l’opposizione, riguarderebbe almeno 100.000 (falsi) elettori, pari al 12% del corpo elettorale.
Queste le principali questioni sottolineate anche da Ue e Usa, che hanno chiesto uno spostamento in avanti delle elezioni, in linea con le richieste dell’opposizione: la prima data utile sembra essere il 5 giugno, per dare alla Commissione elettorale tempo sufficiente a controllare le liste in modo credibile.
Nonostante le critiche interne ed internazionali, la Vmro sembra però decisa a forzare i tempi e a portare il paese al voto il 24 aprile. L’opposizione parla di “mancata implementazione sostanziale degli accordi” e minaccia il boicottaggio delle urne e il ritorno delle proteste di piazza.
Difficile prevedere la possibile soluzione di un rebus divenuto sempre più intricato. Di certo un mancato accordo o elezioni senza opposizione potrebbero avere conseguenze molto pesanti sia sul paese, già isolato (candidata ufficialmente alla membership Ue dal 2005, Skopje vede le prospettive di integrazione europea ed atlantica bloccate dal veto di Atene, che considera il nome “Macedonia” come parte inalienabile del patrimonio culturale e storico ellenico) e in grave crisi economica.
L’eventuale incancrenirsi del caos istituzionale in Macedonia potrebbe costar caro anche all’Ue: oltre alla perdita di credibilità dopo un forte impegno diplomatico, a rischio c’è l’ulteriore destabilizzazione di un interlocutore chiave sulla questione migrazioni, visto che a partire dal 2015 la Macedonia è divenuta porta d’ingresso e tappa fondamentale della cosiddetta “rotta balcanica”.
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