Macedonia, la rivoluzione di Pavle
Pavle Bogoevski, laurea in criminologia e neodeputato indipendente al parlamento macedone. E’ uno dei leader delle proteste contro il governo Gruevski e da quest’ultimo considerato “traditore della patria”
“Scusami, possiamo rimandare l’incontro a domani?”. Al telefono, Pavle Bogoevski abbozza una spiegazione e descrive le ragioni del suo ritardo, poi ammette: “C’è tanta gente in giro stasera, preferisco non venire in centro… Non vorrei prenderle”. Il 21 marzo, il giorno in cui il Commissario europeo all’Allargamento Johannes Hahn è arrivato a Skopje, c’era effettivamente “tanta gente” per le vie della capitale macedone. Migliaia di persone: 9mila secondo l’Osce e più di 50mila secondo gli organizzatori della manifestazione “Per una Macedonia unita”. Una marea umana, in ogni caso, scesa in strada per mostrare il proprio sostegno al presidente Gjorge Ivanov e all’ex Primo ministro Nikola Gruevski, entrambi esponenti del partito conservatore Vmro-Dpmne, sul punto di passare all’opposizione dopo dieci anni di governo. E per questi militanti, Pavle Bogoevski è un “traditore della patria”, come testimoniano i poster apparsi in vari angoli della capitale e riportanti una foto segnaletica di Pavle sotto alla scritta “Wanted” .
Questo giovane laureato in criminologia all’Università di Skopje è un “ricercato” dal maggio scorso, ovvero da quando è diventato uno dei leader della “Rivoluzione colorata”, prima di fare il suo ingresso al parlamento macedone come deputato indipendente. Alto, con i capelli corti e la barba di qualche giorno, Pavle Bogoevski si fa dunque trovare nel centro di Skopje quando Johannes Hahn è ormai rientrato a Bruxelles e l’imponente corteo conservatore continua a sfilare solo sugli schermi televisivi. “Ho già ricevuto delle minacce, degli insulti e degli sguardi torvi per strada, per non parlare del fatto che al Tg, hanno mostrato più volte la casa dove abito, con tanto di indirizzo”, racconta, giustificando la sua prudenza della vigilia. Quest’onorevole di 31 anni, dalle voce grossa e dai modi un po’ sgraziati, non passa però inosservato negli spazi pubblici e il suo amico, che funge da assistente per la comunicazione, deve più volte pregarlo di abbassare il volume, perché infervorandosi, sta attirando l’attenzione del locale.
Dalle barricate al parlamento
“Per anni, quando Gruevski era al potere (2006–2015, ndr.), i miei amici, che vedevano la corruzione, lo sfascio delle istituzioni e dei media, mi chiedevano spesso ‘che facciamo?’. Ma io mi limitavo ad alzare le spalle e non sapevo cosa dire”, ricorda Pavle, che negli ultimi tre anni ha collaborato con il Comitato Helsinki per i Diritti dell’uomo e il Centro di supporto alla comunità Lgbt. “Ma quando nell’aprile scorso, il presidente Ivanov ha annunciato che avrebbe perdonato i crimini commessi da più di 50 politici, ho sentito che quella era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso”, aggiunge. La grazia che il capo di stato stava per firmare avrebbe compromesso il lavoro del Procuratore speciale istituito dopo la mediazione dell’Ue per indagare sugli abusi dell’era Gruevski e quella decisione avrebbe marcato l’inizio della Rivoluzione colorata. “Siamo scesi in strada e i primi due giorni sono stati violenti: l’ufficio della presidenza è stato assaltato e ci sono stati degli scontri con la polizia. Poi, abbiamo trovato un modo non violento di esprimere la nostra rabbia”.
Le immagini dei lanci di vernice colorata contro gli edifici bianchi voluti dal governo Gruevski avrebbero fatto in seguito il giro del mondo, mentre i quasi tre mesi di proteste quotidiane finirono per costringere Ivanov a ritirare la grazia e per convincere Pavle che un cambiamento era ancora possibile in Macedonia. “Mi sono detto Gruevski doveva perdere alle elezioni”, prosegue il giovane militante, spiegando gli inizi della sua “carriera da politico”. Dopo una campagna elettorale da indipendente ma all’interno della coalizione di opposizione, guidata dal leader socialdemocratico Zoran Zaev, Pavle Bogoevski è stato eletto deputato alle elezioni anticipate dell’11 dicembre, entrando in parlamento con un simbolico salto della barricata che tuttora protegge le sedi delle principali istituzioni di Skopje. Da allora, però, il parlamento macedone non è ancora stato riunito e l’onorevole Bogoevski non ha avuto l’occasione di mettere in pratica la sua promessa, di continuare la sua attività da deputato con le stesse scarpe da ginnastica che aveva da attivista.
Lo spauracchio del conflitto etnico
Dopo le elezioni, infatti, lo stallo politico è ricominciato. Né il fronte conservatore di Gruevski (Vmro-Dpmne), né la coalizione socialdemocratica di Zaev (Sdsm) hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi e sono iniziate delle lunghe trattative post-elettorali con i partiti rappresentanti la minoranza albanese (circa un quarto della popolazione). Alla fine, l’ha spuntata Zoran Zaev, che ha accettato la cosiddetta “Dichiarazione congiunta dei partiti albanesi”, meglio nota come “Piattaforma di Tirana”, perché sottoscritta nella capitale albanese con la benedizione del premier Edi Rama. Ma proprio quando la formazione del nuovo governo sembrava vicina, è intervenuto nuovamente Gjorge Ivanov, giudicando l’accordo come “incostituzionale”, in quanto volto a “dividere il paese” e “promosso da uno stato estero”. A inizio marzo, il capo di stato rifiutava dunque di concedere a Zaev il mandato da premier. Seguiva un invito dell’Ue a ripensarci e un intervento della Russia a difesa del presidente. Nel centro di Skopje, iniziavano le manifestazioni del fronte conservatore, il cui culmine veniva raggiunto il 21 marzo per dare il “benvenuto” a Johannes Hahn.
La sera in cui Pavle preferiva rimane rintanato nel suo appartamento, migliaia di persone sfilavano per opporsi alla “federalizzazione del paese” e “il cambio dell’inno, della moneta, della bandiera macedone”, come spiegava ad esempio Dimitar, uno dei manifestanti. Poco importa che oltre il fiume Vardar, attorno al vecchio bazar turco dove oggi vive la maggior parte della comunità albanese, il portavoce del movimento albanese “Besa”, Orhan Muntezani, assicuri che il federalismo non li interessa. “Non vogliamo assolutamente dividere il paese, non siamo noi il problema, questa è solo una scusa per non permettere la formazione di un nuovo governo!”, esclama Muntezani, che assicura che “la comunità albanese non vuole modificare la costituzione, ma vuole che lo stato multietnico qual è la Macedonia sia rispecchiato in istituzioni multietniche”.
“Stiamo solo proponendo di intavolare una discussione”, spiega il portavoce di Besa. Ma la proposta congiunta dei partiti albanesi, con la sua simbolica firma a Tirana, è arrivata nel momento sbagliato, permettendo ai fedelissimi di Gruevski di riportare in campo un vecchio spauracchio della politica macedone: il rischio del conflitto etnico, ancora in grado di portare migliaia di persone nelle strade della capitale.
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